Notizie dalla crisi
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Notizie dalla crisi

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Notizie dalla crisi

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Dopo il boom degli anni settanta, pare che la critica stia scivolando sempre più nel dubbio. Liberatosi da insidiose proposte e scoramenti, Cesare Segre mostra in questo volume che il modo migliore per uscire dalle secche è rimettersi al lavoro: riflettere sui principi, verificare i metodi; ma sempre in maniera sperimentale, cioè nel concreto esercizio di analisi, decisamente storicizzate, sui testi. Entro un vero, e inconsueto, "racconto critico", Segre affronta con nuove proposte la tematica del comico, dei generi letterari e dell'autobiografia; si sofferma sui suggerimenti dell'ermeneutica e sull'essenza narrativa del "motivo"; rivendica i diritti della corporeità come sorgente di ogni punto di vista. La varietà degli assaggi si riflette nell'ampia gamma degli autori sottoposti a indagine: da Boccaccio a Manzoni, illustrato come teorico della letteratura, da Petrarca ad Alfieri, dai primi "macaronici" a Cervantes e a Corneille maestro d'illusioni.

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Informazioni

1.

Una crisi anomala

1.
Insinuazione, supposizione, impressione: che la critica letteraria sia in crisi, è da qualche anno che lo si dice, e alla fine bisogna riconoscerlo, anche se con molti distinguo. Si tratta di una malattia ancora mal nota, perciò difficile da diagnosticare. Tutta la storia della cultura è fatta di movimenti (e movimenti letterari) che vengono scalzati da altri, magari quando sembravano ancora pieni di promesse: basta pensare al passaggio dall’erudizione del «metodo storico» alla critica estetica di matrice idealistica. Ma nel nostro caso non abbiamo a che fare con questo fenomeno.
Quando oggi si parla della critica, a parte la militante o giornalistica, si allude per lo piú a quella di stampo strutturalistico-semiologico, la piú combattiva e ricca di risultati tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta. Questa critica, fattasi dilagante anche a livello di mass media sull’onda della «nouvelle critique» francese, ha in realtà radici molto profonde, che risalgono sino all’estetica di Leibniz e Humboldt, al formalismo tedesco e russo dei primi del Novecento (che tra l’altro ha avuto il merito di rivelare una continuità nientemeno che con Aristotele), infine allo strutturalismo della Scuola di Praga (1929)1. L’impianto di questa critica è stato dunque elaborato in secoli di continuo approfondimento, lungo un arco che parte ancor piú da lontano del pensiero idealistico.
Non è inutile rilevare il diverso funzionamento delle cose della cultura in Francia e in Italia. In Francia, proprio perché la cultura ha un maggior impatto sulla quotidianità e sulla gente comune, essa ricorre quasi necessariamente a teatralizzazioni e colpi di scena: successi vittoriosi e cadute piú o meno rovinose, contrapposizioni e alternanze partecipate passionalmente dal pubblico e, in senso proprio o figurato, fortemente politicizzate. Dato fondamentale poi la personalizzazione: ogni movimento s’incarna in uno o piú portabandiera, ed è legato alle loro fortune. La critica strutturalistico-semiologica fa dunque tutt’uno con personaggi la cui morte (Foucault, Barthes, Greimas) o il cui passaggio ad altre attività e altri interessi (Kristeva, Todorov, Bremond) ha praticamente segnato il declino del movimento.
In Italia tutto va (o almeno è andato in questo caso) in modo piú ponderato e tranquillo. Con poche eccezioni, i rappresentanti della corrente strutturalistico-semiologica hanno tenuto conto dei raggiungimenti della cultura precedente, e soprattutto hanno tutelato i legami con la storia, sconfessati invece dall’impegno razionalistico dei colleghi francesi. C’è di piú: i critici italiani non hanno esaltato i nuovi metodi come scoperte rivoluzionarie ed esclusive, ma li hanno semplicemente considerati strumenti utili per approfondire la descrizione e la comprensione dei testi letterari. Questa mancanza di dogmatismo, questo atteggiamento prevalentemente operativo, ha poi permesso di assimilare molte delle proposte diffuse o rese note in seguito: dalle ricerche sul punto di vista all’individuazione del plurilinguismo e della plurivocità (Bachtin), dalla teorica degli atti linguistici a quella dei mondi possibili.
Ora in molti paesi si tende a parlare di poststrutturalismo, alludendo all’abbandono o al diverso trattamento di elementi tipici dello strutturalismo (lo studio immanente dei testi, l’entusiasmo per l’analisi delle funzioni) e della semiotica, in particolare di Greimas (il «quadrato semiotico», le modalità, ecc.). Si potrebbe dire, in base a quanto appena notato, che in Italia lo strutturalismo è nato come poststrutturalismo, sicché il cambio di prospettive e di proporzioni si trova già messo in atto senza troppo rumore. Lo stesso vale per la Scuola russa di Tartu e Mosca, come la nostra fondata su basi filologiche (si risale sino a Potebnja e Veselovskij), come la nostra piú storicizzante che razionalizzante. Ho parlato piú volte, a proposito delle scuole italiana e russa, di impianto realista.
Altro carattere costitutivo della nuova critica italiana è il fatto che si sia sviluppata nelle università, perciò fruendo del tesoro di esperienze raccolto dalla precedente tradizione di studi. In Francia, com’è noto, il primo strutturalismo nacque fuori dell’università e in polemica con gli esponenti di questa, nel quadro di una contrapposizione, senz’altro feconda, che comunque da noi non ha ragion d’essere. Il legame con l’università è stato a tutta prima produttivo, perché quella localizzazione è tale da garantire afflusso di giovani adepti e formazione di scuole.
Scarso dogmatismo, apertura a nuovi stimoli, duttilità, legami con la tradizione, sono caratteristiche che potrebbero assicurare un sereno avvenire alla nostra critica. E, se si fosse in vena di ottimismo, sarebbe lecito affermare, specie dopo la fecondissima assimilazione del pensiero di Bachtin, che non ha piú senso parlare di critica strutturalistica o semiologica, solo perché ormai è in opera una critica che, pur nata su quel terreno, va molto al di là dei presupposti fondanti. E a questa critica non si possono porre limiti di tempo.
Al discorso «interno» deve ora seguire un discorso «esterno». C’è forse qualche nuova tendenza che abbia soppiantato la critica di cui stiamo parlando? Si sa che, mentre in Germania ha molto seguito l’estetica della ricezione, in America ha avuto una fiammata di successo, non appena giunto dalla Francia, il decostruzionismo. Su entrambi i movimenti aleggia, piú che come teoria come stimolo speculativo, la cosiddetta neoermeneutica. Apparentemente attigua alla critica semiologica, in verità sgretolatrice, e segretamente affine al decostruzionismo, è la critica reader-oriented. Tutte queste posizioni sono ben note e discusse tra noi, ma nessuna è riuscita a soppiantare la critica elaborata in precedenza; che sembrerebbe dunque poter proseguire il lavoro senza ostacoli.
2.
E tuttavia la crisi c’è, e si avverte. Cercherò di dare qualche concretezza al fantasma. Non si deve tacere, prima di tutto, la crisi delle ideologie e dei valori in cui ci hanno precipitato gli avvenimenti politici degli ultimi anni. Direttamente o indirettamente, alle ideologie ora screditate o contestate si faceva riferimento; e il quadro generale di convinzioni e impegni era (sembrava) assodato. È in corso un rimescolamento da cui si dovrà uscire prima o poi, ma che per ora porta confusione e incertezza. In questo quadro, è difficile azzardare nuove elaborazioni in qualunque campo del sapere umanistico, perciò anche in quello della critica. Di qui, quanto meno, un’impressione di stasi. La crisi è generale, investe anche la critica, non solo la critica.
Non va dimenticato, per contrasto, il fatto che le nuove metodologie critiche si erano affermate da noi contestualmente e successivamente ai fermenti del ’68, al boom dell’editoria saggistica, e in particolare linguistica, alla fondazione e alla fortuna di riviste impegnate a diffondere le idee piú stimolanti in ambito di lingua e letteratura. Lévi-Strauss, Barthes, Foucault, Jakobson, Benveniste venivano letti, in contrasto o in appoggio, comunque insieme a Benjamin, Brecht e Lukács, ad Adorno, Horkheimer e Marcuse.
Si pone poi, purtroppo, al di fuori della contingenza un rimescolamento dei rapporti di prestigio conseguente al tipo di cultura imposto dal neocapitalismo attraverso la civiltà multimediale. L’umanesimo che ha fatto, bene o male, da supporto a tutti i movimenti letterari, è ora in posizione di difesa, se non di regresso. La letteratura ha un prestigio sempre piú scarso tra le molte e rumorose offerte del mondo attuale. La critica letteraria, che non è altro che l’interprete e la celebratrice della letteratura e delle sue funzioni edonistiche ma anche gnoseologiche, suggestive ma anche stimolatrici di smascheramento e di rinnovamento, è portata a declinare col declino della letteratura stessa.
Uno dei luoghi di resistenza istituzionale al dilagare delle spinte antiumanistiche è certo la scuola, la secondaria e l’università. Ma in quelle sedi sta facendosi prevalente l’impegno utilitaristico, la ricerca di risultati pratici immediati; la scuola dà sempre meno spazio alle discipline riguardanti la riflessione storica o estetica o letteraria, che insomma possono favorire la maturazione dello spirito critico; dà invece maggiore importanza alle materie di consumo immediato, dalle lingue (in senso pratico) alla psicologia (applicata).
Dipende poi da una spartizione tra gruppi di potere se esistono pochissime cattedre di Teoria della letteratura, pochissime di Semiotica, e nessuna di Semiotica letteraria. Ciò significa che la sperimentazione critica si svolgerà ormai solo nell’ambito delle singole letterature, sotto il controllo non benevolo dei docenti piú tradizionalisti, che sono la maggioranza. Un’osservazione che pare pettegolezzo accademico, ma che spiega il ridursi, negli ultimi anni, della produzione critica teoricamente impegnata (chi dirige riviste ne ha la misura precisa): i giovani pensano anche al proprio avvenire, e non si può incoraggiarli al fallimento.
3.
Portiamo ora le cose all’interno dell’attività critica. Occorre chiedersi se nelle metodologie ormai correnti non si siano rivelate crepe, e se i movimenti che si sono diffusi piú recentemente, pur acquistando fra noi poco seguito, non abbiano messo in forse impostazioni e principî. Anche reagendo agli altri, si potrebbe constatare che qualche posizione mantenuta sinora non sia solida come pareva.
Fra le tendenze critiche diffuse all’estero e da noi meno invadenti (decostruzionismo, critica reader-oriented, neoermeneutica ed estetica della ricezione) ci sono evidenti affinità e rapporti diretti, cosí come ci sono differenze persino decisive. Nessuna di queste tendenze accetta il primato del testo predicato dagli strutturalisti-semiologi; non solo, ma nessuna pare interessata all’analisi testuale (linguistica, stilistica, ecc.). Si tratta di attitudini critiche miranti direttamente ai significati, anzi al senso, se non alle ripercussioni, e spesso con un approccio che sarebbe troppo definire filosofico, ma forse si può dire raziocinante.
La teoria della ricezione, in partenza, si propone di seguire i modi in cui un’opera letteraria del passato è stata interpretata, assimilata, imitata. Da questo studio delle successive reazioni all’opera dovrebbe venir fuori la possibilità di un giudizio che integri i successivi modi di percezione dell’arte entro il nostro di uomini d’oggi. Quest’attenzione al percorso storico riformula intuizioni della Scuola di Praga, in particolare di Mukařovský, secondo le quali i mutamenti del gusto variano la posizione di ogni opera o genere letterario nell’apprezzamento collettivo, valorizzando di volta in volta una o l’altra funzione del prodotto artistico (il giudizio di valore è dunque esso stesso da storicizzare). Con questo atteggiamento storiografico la teoria della ricezione cerca di soddisfare un’esigenza espressa dall’ermeneutica, quella di superare la distanza tra il momento dell’emissione del messaggio e quello della nostra ricezione.
Sul piano critico, la teoria della ricezione si propone d’individuare l’«orizzonte di attesa» (espressione di Gadamer) entro il quale l’opera letteraria viene giudicata. Se il tipo di attesa vigente ci aiuta a valutare la singola opera, le violazioni delle attese sono segno di innovazioni apportate al contesto culturale dall’opera, e perciò della sua capacità di affermazione e di rinnovamento dell’orizzonte. Qui si nota qualcosa di comune ai Formalisti, e cioè l’apprezzamento, di tipo avanguardistico, per opere «rivoluzionarie» rispetto al contesto. La stessa teoria però sarebbe anche passibile di un’utilizzazione in senso conservatore, solo che la coincidenza dell’opera con l’orizzonte di attesa fosse considerata un fatto positivo. In complesso, si può dire che in Italia la teoria della ricezione è stata accolta soprattutto come stimolo a una Überlieferungsgeschichte allargata: non solo tradizione testuale, ma storia e illustrazione della fortuna in tutti i suoi aspetti2.
Le teorie reader-oriented non hanno subito esibito i pericoli che celavano in sé. Anche ponendo al centro dell’attenzione il testo, non si era mai mancato di riconoscere l’azione fondamentale del lettore, in assenza del quale i significati che il testo contiene resterebbero solo potenziali. È il lettore che verifica e ravviva l’intelligibilità di quella lunga successione di segni grafici (o di fonemi e pause, in caso di lettura ad alta voce) che costituisce il testo. Il lettore insomma riscopre, dai significati che si trova sott’occhio o nell’udito, i significati analitici – quelli di ogni monema – e sintetici – quelli dei sintagmi, e poi delle serie di frasi, e infine del testo intero. Su questo non si può che esser d’accordo. Salvo che le teorie reader-oriented hanno finito per consegnare in pratica al lettore ogni responsabilità del significato. L’emittente, si sa, è un’entità solo assiomatica: vivo o morto che sia, è ormai separato dal messaggio e non ha contatti col destinatario, il lettore. Il testo appare inerte prima dell’atto della lettura. Ed ecco allora il lettore, dotato d’infinite possibilità, signore assoluto dei significati.
Bisogna dire che questo tipo di critica tende ad allontanarsi presto non solo dal testo, ma persino dai significati, per muoversi subito nella stratosfera del senso. Lo spazio del senso è davvero libero a qualunque acrobazia, se non lo si riferisce al testo, di cui il senso è una specie di quintessenza non solo difficilmente formalizzabile, ma persino difficilmente dimostrabile. Già in partenza, diciamo nella mente dell’autore quando lo si può interrogare personalmente o documentariamente, un’opera non ha un senso, ma vari sensi. Poi, in rapporto con l’ambiente ideale in cui viene a trovarsi, e perciò anche con le predisposizioni dei singoli lettori, di sensi ne può sviluppare ulteriormente, quasi all’infinito.
In una situazione cosí aleatoria, dovrebbero moltiplicarsi per ogni ipotesi i controlli sul resto dell’opera dell’autore, sul suo sviluppo, sui suoi legami con le correnti culturali e con l’epoca. Non pare che i partigiani di questo movimento lo facciano. Essi si collegano piuttosto con la celebrazione, già in Barthes, di una scrittura infinita, di un linguaggio che, unico protagonista, continua a elaborare discorsi. La critica è appunto, per costoro, un discorso che parte dall’opera, che ne fa un pretesto. Inizia cosí una catena di metadiscorsi, incontrollata, in cui il critico estrinseca se stesso, dimenticando il testo da cui ha preso l’avvio. È il trionfo del metadiscorso.
Siamo ormai vicini ai procedimenti del decostruzionismo, che contempla la deriva dei significati, partendo da affermazioni forse non ben approfondite di Peirce. Il grande filosofo e semiologo dichiarava di fatto che qualunque definizione di un segno è a sua volta un segno, e che per definire il nuovo segno occorre ricorrere ad altri segni, senza fine. Ma Peirce non si poneva, in quelle sue speculazioni, problemi ontologici, mentre nel caso del testo c’è appunto una quiddità a cui le nostre affermazioni devono necessariamente far r...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. NOTIZIE DALLA CRISI
  3. 1. Una crisi anomala
  4. I. Fino allo strutturalismo
  5. II. Critica delle varianti e isotopie
  6. III. L’area del comico
  7. IV. Nella storia dei generi letterari
  8. V. Nuove indagini sulla «funzione Gadda»
  9. VI. Riflessioni contro corrente sui motivi
  10. VII. Al centro, il corpo
  11. VIII. Ermeneutica e storiografia
  12. Elenco dei nomi e delle opere anonime
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright