Responsabilità e speranza
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Responsabilità e speranza

  1. 104 pagine
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Responsabilità e speranza

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Noi non siamo mondi isolati, ma mondi aperti all'ascolto in una circolarità di esperienze che ci rendono consapevoli di quanta sia la nostra responsabilità nel determinare i modi di essere e di comportarsi degli altri. Sentiamo tale responsabilità nello scorrere delle giornate in cui siamo continuamente chiamati ad ascoltare gli altri, a rispondere alle loro angosce e alle loro speranze. Conoscere se stessi e gli altri è il modo piú intenso di essere responsabili. Nessuno si conosce del resto fino a quando è soltanto se stesso, e non, al medesimo tempo, anche un altro. Quale rapporto lega la responsabilità alla speranza? Quest'ultima è apertura al futuro, ci obbliga a pensare non solo alle conseguenze presenti e passate delle nostre azioni e delle nostre parole, ma anche a quelle future. Non lasciamo morire in noi la speranza se vogliamo aiutare chi la sta perdendo. Lo dice Walter Benjamin: «Solo per chi non ha piú speranza ci è data la speranza».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
ISBN
9788858422250

Eugenio Borgna

Responsabilità e speranza

Einaudi

Responsabilità e speranza

Sono grato ad Antonella Tarpino della passione e della speranza con cui ha seguito questo mio libro.
Le premesse filosofiche.
Quante, e quali, definizioni di responsabilità si hanno, e non è possibile elencarle, ma vorrei solo richiamarmi a quello che ne dice Nicola Abbagnano sulla sua connotazione filosofica alla quale il mio discorso non può non essere estraneo. La responsabilità è considerata come la possibilità di prevedere gli effetti delle nostre azioni, e di modificarle, di correggerle, in base a tale previsione. Il concetto e il termine di responsabilità sono recenti, e sono comparsi per la prima volta in inglese e in francese alla fine del Settecento. La prima definizione semantica del termine è stata politica, in espressioni come «governo responsabile» o «responsabilità del governo», che indicavano la ragione d’essere di un governo costituzionale che agisce sotto il controllo dei cittadini, e in vista di questo controllo. In filosofia la nozione di responsabilità è intrecciata a quella di scelta, di una scelta libera e consapevole, e anche nel linguaggio comune si dice «responsabile» una persona, e se ne elogia il «senso di responsabilità», quando essa includa nei motivi del suo comportamento la previsione degli effetti possibili che ne scaturiscano. (Non vorrei nemmeno sfiorare il tema delle correlazioni fra responsabilità e imputabilità che sono state magistralmente analizzate, ad esempio, da Max Scheler).
La responsabilità è stata definita con radicale chiarezza da Umberto Galimberti come la consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni che consente di modulare le proprie scelte, e che non può non avere nella sua premessa la libertà: intesa come assenza di costrizioni, o di impedimenti, e come capacità di determinarsi secondo scelte autonome orientate a conseguire finalità dotate di senso.
Responsabile insomma è una azione compiuta volontariamente, e in piena coscienza, in una condizione che consenta di passare liberamente dalla intenzione all’atto.
Etica della responsabilità.
In un suo libro, incentrato sulle grandi problematiche etiche della vita, e in particolare sull’etica della responsabilità, Romano Guardini sostiene drasticamente che essere uomini significa essere responsabili dell’esistenza, essere chiamati al bene, ed è questo che conferisce senso alla vita. Ma responsabilità è una parola di radicale significazione umana: essa ci dice che, quando mi viene richiesto qualcosa, non posso non rispondere: io sono responsabile. Non esiste una responsabilità collettiva ma solo una responsabilità personale che consiste nel dovere rispondere delle azioni, e delle omissioni, da noi realizzate sulla base delle nostre cognizioni e delle nostre decisioni. Ovviamente, quando si ha il dovere di vigilare sulla loro condotta, esiste anche una forma di responsabilità per quello che fanno gli altri.
Queste premesse etiche sono indispensabili alla comprensione della responsabilità, dei suoi modi di essere, dei suoi modi di articolarsi, nella nostra vita, e a queste premesse non dovremmo mai venire meno.
Le articolazioni semantiche.
Dal bellissimo Dizionario analogico della lingua italiana di Donata Feroldi e Elena Dal Pra vorrei stralciare le articolazioni tematiche e gli sconfinamenti semantici di una parola cosí complessa, e cosí enigmatica, come è quella di responsabilità, quando sia intesa nei suoi sconfinati orizzonti di senso. Dal Dizionario riemergono vertiginose scomposizioni semantiche della parola: dovere (di coscienza) si intreccia a obbligo, a vincolo e a impegno, carico a onere, a fardello e a peso, corresponsabilità a concorso di colpa, a complicità e a favoreggiamento. Responsabilità ha diverse forme di espressione, giuridica, civile, penale, patrimoniale, diretta, personale, indiretta e morale, ma non la si può intendere nelle sue diverse prospettive semantiche se non la si inserisce nel contesto di articolazioni tematiche analogiche. Non posso se non indicarne alcune: «rispondere del proprio operato, delle proprie azioni», «farsi carico, prendersi a cuore, prendere sopra di sé, farsi avanti, fare la propria parte, non tirarsi indietro», «ammettere, riconoscere le proprie responsabilità», «non assumersi una responsabilità», «coprire, nascondere, occultare le responsabilità, le colpe (proprie, altrui)», «dividere, condividere le responsabilità», ma sono solo alcune. Le ultime citazioni da questo straordinario Dizionario riguardano gli sconfinamenti tematici di responsabilità: assunzione di responsabilità, coscienza, senso del dovere, senso di responsabilità, ma anche irresponsabilità, fuga dalla realtà, leggerezza, superficialità, palleggiamento di responsabilità.
Queste dilatazioni semantiche allargano i confini della responsabilità, e mi consentono di svolgere in questo mio lavoro un discorso aperto alle fondazioni etimologiche della parola.
La meta.
La responsabilità non è se non la possibilità di prevedere gli effetti delle nostre azioni, e delle nostre parole, di modificarle, e di correggerle, in base a tale previsione. Non è facile scegliere le parole, scritte o dette, che esprimano le cose che pensiamo, e sentiamo, e che cor-rispondano alle attese di chi ci ascolta, e di chi ci parla, ma dovremmo sentirci responsabili di questo. Prendere coscienza di questi problemi è premessa alla ricerca di parole gentili e umane che aprano ponti fra noi e gli altri, fra gli altri e noi. Sono i ponti di cui parla Nietzsche, e sono i ponti che ci uniscono; e questo anche perché la parola responsabilità contiene al suo interno «risposta», «rispondere», e sottintende il dialogo, il non rimanere indifferenti alle forme di vita e di esperienza dell’altro. Sono riflessioni di una vertiginosa e originale significazione tematica che devo a Donata Feroldi.
(Questo libro è stato scritto sulla scia di un invito di Giovanna Cavazzoni, fondatrice, e ora presidente onoraria, di Vidas, che a Milano, e non solo, svolge una straordinaria opera di gratuita assistenza ai malati terminali associata a emblematiche iniziative culturali, a tenere una relazione su responsabilità e speranza nel contesto di alcuni seminari dedicati al tema della responsabilità).
Le parole che si dicono.
Noi non siamo solo responsabili delle nostre azioni, ma anche delle parole che diciamo, o scriviamo, e allora come conoscere, e come scegliere, le parole che fanno del bene, e quelle che fanno del male, quelle che sono donatrici di speranza, e sono di aiuto agli altri, e quelle che non lo sono? Al di là di ogni nostra intenzione, siamo sempre responsabili delle parole che diciamo, delle parole che scriviamo, delle parole che non diciamo, e che dovremmo invece dire. Sí, le parole nascono e muoiono senza fine, ed è cosí facile, ed è cosí frequente, che sulla scia di leggerezze e di dimenticanze, di disattenzioni anche involontarie, si parli senza valutare le conseguenze delle nostre parole.
Certo, siamo responsabili delle parole che diciamo, e che sono talora inconsistenti, e volubili, come farfalle che sfrecciano nell’azzurro del cielo, affascinandoci, e straziandoci, con i loro colori, la loro ebbrezza e la loro futilità; ma le parole dette lasciano talora tracce che la memoria trattiene, rielabora, o modifica, senza che si possa ricordarne l’origine e la verità, le intenzioni, con cui sono state pronunciate. Delle parole che diciamo, grande e bruciante è la nostra responsabilità, e dovremmo ogni volta tenerne presenti le conseguenze sugli stati d’animo e sulla sensibilità, sulle fragilità e sulle debolezze, di chiunque le ascolti. Una parola, una sola parola, quanta fatica a volte cercarla, e trovarla, ma quanta fatica a volte dimenticarla: quando ferisce, non si cancella dalla memoria, e continua a richiamare intono a sé come una medusa altri pensieri e altre immagini.
Le angosce, che si sprigionano da una parola infelice, o sbagliata, possono talora estendersi nel tempo, e non oscurarsi piú.
Le risonanze.
Le risonanze emozionali alle parole che diciamo si rispecchiano nei volti e negli occhi, negli sguardi e nelle lacrime, di chi le ascolti; e questo aiuta le parole a essere piú umane, e piú luminose. Essere responsabili di questo, in famiglia, nella scuola, nelle quotidiane relazioni sociali, alla radio, alla televisione, nei social network, è dovere, e nondimeno quante volte ci si dimentica di pensare alle parole che si dicono: al peso umano e psicologico che anche una sola parola può avere. Certo, il mio non è un invito a selezionare le parole, a scegliere parola per parola, nella articolazione di un discorso, perché ovviamente verrebbero meno spontaneità e naturalezza, chiarezza e comunicatività. Sí, basterebbe tenere presenti questi problemi, e, se il nostro cuore è limpido e aperto all’ascolto, non correremmo questi pericoli, e saremmo testimoni di accoglienza e di comprensione del dolore dell’anima, e della gioia, che vivano nelle relazioni che dovremmo costruire ogni giorno: nel segno della speranza. Ovviamente, non illudiamoci sulla possibilità che questa esigenza di parole aperte alla accoglienza e alla speranza possa di solito ritrovare una qualche risonanza nelle parole della televisione, o dei social network. O almeno temo che sia cosí in molte circostanze della comunicazione televisiva e digitale.
Una parola poetica.
La fatica nel ricercare e nel trovare una parola rinasce dalla vertiginosa esperienza poetica di Paul Celan, forse il piú grande poeta in lingua tedesca del secolo scorso, dilaniato da una radicale disperazione, che lo ha condotto a scegliere di morire nelle acque della Senna a Parigi; e questa è una sua poesia: non ha titolo.
Quanta fatica per proferire una parola
a chi è corrotto,
e non sa distinguere un sogno
dai robusti rami del pero.
Quanta fatica per una parola
su questa strada polverosa,
nemica delle mie scarpe
piú che il sole per la neve
e l’acqua per il deserto.
Quanta fatica per una parola
a mio padre e a mia madre,
quanta fatica per una parola
a tutti quelli che vedono me che invecchio
in un trafitto autunno.
Quanta fatica per una parola
in questi giorni che sono smemorati.
Quanta fatica per una parola.
La poesia, in misura ancora piú radicale che non la filosofia, o la psichiatria, giunge a cogliere il senso profondo della vita, e cosí mi sembra che Celan riesca fulmineamente a indicare la fatica nella ricerca di una parola che abbia a dare un senso alle nostre quotidiane relazioni interpersonali, e a quelle piú importanti in particolare.
Le parole che si scrivono.
Ma vorrei ora dire come sia diversa invece la responsabilità verso le parole scritte.
Le parole scritte non sono solo quelle dei testi di letteratura, o di filosofia, di psichiatria, o di scienze naturali, ma sono quelle delle lettere, o delle e-mail, che si inviano, e si leggono, e dovremmo sempre ricordarci delle responsabilità che abbiamo anche in queste nostre comuni forme di espressione. Ma cosa distingue la responsabilità delle parole, che si dicono, da quella delle parole che si scrivono?
Nel Fedro, uno dei suoi celebri dialoghi, Platone fa dire a Socrate cose bellissime su questo tema: «Una volta che sia stato scritto, ogni discorso rotola da tutte le parti, indifferentemente, nelle mani di chi se ne intende e in quelle di chi non è interessato, ignorando a chi deve parlare e a chi no. E se è offeso o ingiustamente vituperato, ha sempre bisogno del soccorso del padre: da solo è incapace di rintuzzare un attacco o difendersi».
Cosa può significare questo discorso se pensiamo alle cose talora banali, e ovvie, che scriviamo e leggiamo nelle nostre lettere e nelle nostre e-mail? Fra le altre cose, significa che nello scrivere un testo, di qualsiasi natura sia, e anche una semplice lettera, non dovremmo mai dimenticare che delle parole scritte siamo (forse) ancora...

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  1. Copertina
  2. Responsabilità e speranza
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