Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni
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Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni

  1. 176 pagine
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Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni

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Siamo circondati da miracoli: i santi proclamati al giorno d'oggi sono sempre piú numerosi e si sa che ogni santo dovrebbe aver fatto qualche miracolo. Annunciatori televisivi dànno notizia di miracoli con la stessa sicurezza con cui ragguagliano sugli incidenti stradali. Capi politici un tempo considerati campioni di laicità partecipano con rispetto alle cerimonie di canonizzazione, giornalisti specializzati guidano lungo i sentieri del meraviglioso e del paranormale, e medicina alternativa, astrologia, magia riscuotono grandi successi. Credenze popolari - si dirà. Mica tanto: credenze e pratiche comuni alle persone piú diverse, con maggiore o minor cultura. Del resto proprio la cultura dotta ha fortemente contribuito a "rendere normali" i miracoli, e cosí a farli «sparire». In questo libro si racconta la storia delle trasformazioni subite dal concetto di miracolo, di come lo si è fatto diventare invisibile, anche allo sguardo sospettoso di chi vorrebbe metterlo in dubbio. Fino al Settecento la storia del miracolo si è intrecciata con quella dell'impostura, una parola uscita dal vocabolario dotto a partire dall'Ottocento. Questo libro vorrebbe rimettere in onore l'idea di impostura, non tanto contrapponendo prodigi e certezze scientifiche, quanto mostrando che i miracoli sono imposture rispetto alle esperienze pubbliche sulle quali si reggono le istituzioni di una società articolata, una società in cui talvolta non si fa ciò che si crede.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
ISBN
9788858423875

Capitolo quinto

Verità private e pubbliche esperienze

1. Leggi di natura ed esperienza.
L’argomento humiano contro i miracoli aveva fatto un grande effetto e aveva anche irritato un po’, perché Hume aveva esibito la pretesa di aver trovato la confutazione definitiva di qualsiasi prodigio. Brillanti, anche se sospettate di essere sbrigative, le argomentazioni humiane avevano messo in chiaro il nucleo centrale della discussione avviata dai deisti: si trattava di decidere se l’improbabilità intrinseca di un evento, senza la quale un evento non è un miracolo, lo rendesse incredibile e screditasse i suoi testimoni o se la qualità dei testimoni dovesse essere l’unico criterio di giudizio. Il concetto di ordine naturale aveva una funzione centrale nel dibattito: la voce «Miracle» dell’Encyclopédie aveva registrato tutti i modi nei quali il miracolo era stato posto in relazione con l’ordine prodotto dalle leggi di natura, e aveva esposto le soluzioni proposte da Agostino e da Tommaso, da Spinoza e da Clarke, da Houtteville e da Calmet1. Si poteva invocare l’ordine naturale per sostenere la possibilità o l’impossibilità del miracolo, oppure per distinguere i miracoli veri da quelli falsi. E piú o meno in questa prospettiva si era mosso anche Voltaire nel Dictionnaire philosophique. Nelle Questions sur l’Encyclopédie si era richiamato a deisti inglesi come Woolston e Bolingbroke, ma non si era scostato dall’impianto della voce dell’Encyclopédie. Nel Settecento tedesco l’ordine della natura era apparso piú rigido, soprattutto con Kant, anche se veniva declassato a prodotto di una facoltà minore come l’intelletto.
Scrivendo nel 1860 ad Alexander Bain2 a proposito di The Order of Nature considered in Reference to the Claims of Revelation (London 1859) di Baden Powell, John Stuart Mill diceva che, come Voltaire, Powell considerava i miracoli impossibili, ma sosteneva che quelli cristiani andassero accettati per fede. Nella Logica3, a partire dall’edizione del 1856, Mill aveva mostrato di apprezzare la proposta di Powell di considerare segno della divinità gli eventi prevedibili, e non quelli imprevedibili: sembrava che Mill volesse soprattutto eliminare i miracoli, e infatti John Napier gli rimproverava di non aver tenuto conto di Butler4. In una lettera del 18625 Mill gli rispondeva che da tempo non prendeva in mano le opere di Butler, ma gli pareva di ricordare che egli avesse distinto tra l’improbabilità degli eventi casuali e l’improbabilità che rende incredibile un evento. L’anno dopo, scrivendo di nuovo a Napier6, Mill ammetteva di essersi sbagliato: nella seconda parte dell’Analogy of Religion Butler sosteneva che in linea di principio l’improbabilità dei miracoli non è maggiore di quella propria di molti altri eventi. Ma Mill osservava che la bassa probabilità antecedente attribuibile a un fatto casuale, come l’estrazione di un biglietto con un certo numero da un’urna che ne contiene un milione, non rende incredibile l’estrazione, mentre l’improbabilità antecedente del miracolo è una vera e propria impossibilità, perché un miracolo contrasta con le leggi di natura.
Cosí nell’edizione della Logica del 1868 Mill ammetteva che l’interpretazione butleriana dei miracoli aveva anticipato la critica di George Campbell7 a Hume, alla quale si era riferito nella prima edizione, del 1843. Campbell aveva osservato che gli uomini hanno una disposizione originaria ad accettare la testimonianza come fonte di formazione dell’esperienza, allo stesso titolo della constatazione diretta. Non si possono respingere testimonianze di eventi straordinari, che invece vanno saggiate, contrapponendole ad altre testimonianze e tenendo conto del numero e dell’attendibilità dei testimoni. Il naufragio di una nave è un evento straordinario, ma a volte basta anche un solo testimone per provarlo. L’attendibilità dei testimoni e la frequenza degli eventi appartengono a due ordini diversi e non si può sottrarre la seconda dalla prima, come suggeriva Hume, con un’aritmetica del tutto immaginaria. Le generalizzazioni empiriche, che Hume considerava un criterio di giudizio delle testimonianze, sono meno certe della conoscenza diretta del presente e delle testimonianze sul passato8. Le nuove testimonianze non vanno subordinate all’esperienza accumulata perché, come le constatazioni dirette, possono indurre cambiamenti nell’esperienza. Il caso lockiano del re del Siam tornava a proposito. Invano Hume aveva cercato di distinguere il congelamento dell’acqua, opposto all’esperienza di chi è vissuto sempre in climi caldi, dal miracolo, che sarebbe contrario all’esperienza di chiunque. Perché – domandava Campbell – la morte inaspettata di uno che sta bene non è un miracolo, mentre la risurrezione di un morto lo è?9.
Richard Price10 rilevava che proprio Hume aveva fatto del-l’esperienza un sistema di aspettative, mostrando che anche le conoscenze certe generano probabilità: se si sa che un dado ha cinque facce con il medesimo numero (poniamo 0) e una sola con 1, ci si aspetterà che 0 esca piú frequentemente di 1. Ma non sempre l’imputazione di probabilità a eventi futuri avviene sulla base di una conoscenza certa: se non si conosce il modo in cui è fatto un dado, si possono fare congetture tenendo conto dell’esito dei lanci. Se escono soltanto 0 e 1, dopo un po’ si incomincerà a congetturare che questi siano gli unici numeri sulle facce del dado e a fare supposizioni sul rapporto tra le facce con 0 e quelle con 1. Le stesse leggi di natura, quando non derivano dalla conoscenza di precise relazioni causali, si stabiliscono sulla base dell’attesa che ciò che è accaduto si ripeta. In natura le cause possono agire in sensi contrari e dar luogo a eccezioni apparenti all’ordine causale dei fenomeni11. L’uscita di 1 con un dado con cinque 0 e un 1 sembra un evento eccezionale, e invece è semplicemente improbabile, proprio come un miracolo. Ma se un testimone dice che è uscito 1, non verrà disatteso soltanto perché riferisce un evento improbabile, e lo si giudicherà tenendo conto della sua veridicità abituale12. Un testimone si scredita soltanto se riferisce qualcosa di impossibile, ma tra improbabilità e impossibilità c’è una differenza infinita, anche se non sempre è facile stabilire che cosa sia possibile o impossibile13.
Se un testimone annunciasse che il primo numero estratto in una lotteria è 1500, nessuno si stupirebbe, mentre se annunciasse che è 1, sorgerebbe qualche incredulità, anche se 1500 ha la medesima improbabilità di 1. Chi poi annunciasse l’uscita di un numero, essendo al corrente del fatto che si è scommesso su quel numero sarebbe meno credibile di chi ignorasse del tutto la cosa, anche se la probabilità di quel numero resta la stessa. Ciò dimostra che nessun fatto storico, per quanto improbabile, è di per sé incredibile e che la credibilità dipende da circostanze relative ai testimoni. Anche i miracoli sono eventi che vanno creduti, se riferiti da testimoni oculari non sospettabili di voler ingannare qualcuno. E su questo punto Price poteva riprendere ciò che piú volte gli apologisti cristiani avevano detto: che gli apostoli erano stati testimoni diretti dei miracoli di Gesú e che non c’era nessuna ragione per dubitare della loro attendibilità14.
Mill riteneva impossibile ciò che è contrario a una legge di natura causale, stabilita con un’induzione completa, che neppure cento testimoni potrebbero smentire15. Eventi poco probabili accadono; ma di qui non si può concludere che tutto è possibile e che dunque qualsiasi testimonianza può essere di per sé veritiera. Laplace aveva sostenuto la compatibilità tra probabilità e ordine naturale determinato dalle leggi di natura. Che cento dadi lanciati in aria ricadano esponendo tutti la medesima faccia è un evento (chiamiamolo E) improbabile, tanto da non credere ai nostri occhi, se lo constatassimo; eppure lo accetteremmo, piuttosto di ammettere che sono cambiate le leggi naturali della visione. Le leggi di natura sono piú probabili di un evento che, come il contrario di E, sarebbe piú probabile di qualsiasi avvenimento storico dato per sicuro. «Si può dunque capire che autorità immensa debbano avere le testimonianze per farci credere ad una sospensione delle leggi naturali», e «tutti coloro che … puntellano ciò che testimoniano con racconti di avvenimenti contrari a quelle leggi, in luogo di aumentare il credito che sollecitano, lo diminuiscono, perché i loro racconti rendono molto probabile l’errore e la menzogna dei loro autori». Laplace sapeva che «un’opinione dominante» può far apparire probabili cose del tutto improbabili: perfino uomini come Racine e Pascal avevano ammesso i miracoli vantati dai giansenisti. E lo stesso Locke aveva accettato i miracoli, in violazione delle regole sulle testimonianze, che aveva contribuito a illustrare16.
Laplace riprendeva il ragionamento con cui Campbell e Price avevano mostrato che gli annunci di due eventi con la medesima probabilità antecedente (le estrazioni dei biglietti contrassegnati con 1 o con 1500) hanno credibilità diversa per ragioni che non hanno nulla che fare con gli eventi, e osservava che l’avverarsi di un evento con una piccola probabilità antecedente, come l’estrazione della palla numero 79 da un’urna con 1000 palle (con probabilità di 1 su 1000), non autorizza a ritenere che la credibilità degli annunci sia indipendente dalla probabilità antecedente degli eventi. Se le 1000 palle non avessero un numero, e ce ne fossero 999 nere e 1 bianca, l’annuncio che è stata estratta la palla bianca sarebbe meno credibile dell’annuncio che è stata estratta la palla con il numero 79. Infatti nel primo caso il testimone che menta dovrebbe annunciare un numero diverso dal 79, scegliendo tra gli altri 999 numeri, ciascuno dei quali avrebbe soltanto la probabilità di 1/999 di essere scelto. Nel secondo caso il testimone che menta, dovrebbe scegliere soltanto tra bianco e nero, e il nero ha una probabilità di 999/100017. Gli annunci di due eventi («è uscito il numero 79» e «è uscita la palla bianca») che hanno la medesima probabilità (1/1000), dati da due testimoni con il medesimo tasso di veridicità, non sono ugualmente credibili, perché presuppongono due sistemi diversi di alternative. Qualcosa del genere accade se si prendono due urne, A e B, ciascuna con 1 000 000 di palle, A con palle bianche e B nere. Una persona estrae una palla da A e la pone in B, da cui un’altra persona estrae una palla. Due testimoni, rispettivamente della prima e della seconda estrazione, dicono di aver visto una palla bianca, senza indicare l’urna da cui è stata estratta. Le testimonianze, prese isolatamente, non sono improbabili. Ma la composizione delle testimonianze lo è, perché la palla estratta da A dovrebbe essere poi estratta da B con una probabilità di 1/1 000 00118. Anche in questo caso la credibilità di un testimone dipende dal modo in cui si presentano gli eventi e le loro probabilità. Il miracolo fondamentale del cristianesimo, la risurrezione di Gesú, era costituito dalla combinazione di due testimonianze, ciascuna di per sé credibile, perché se due testimoni riferiscono di aver visto la stessa persona, uno morta quindici giorni prima e l’altro viva tredici giorni dopo il primo avvistamento, entrambe le testimonianze, singolarmente prese, sono credibili; ma la loro combinazione è improbabile, e se la combinazione delle testimonianze è impossibile, una di esse deve essere falsa, perché il valore di una testimonianza diventa zero quando se ne ricava qualcosa di impossibile e comunque diminuisce se riferisce un fatto straordinario19.
Anche Mill, come Laplace, riteneva c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni
  3. Introduzione
  4. Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni
  5. I. Le pie imposture
  6. II. Segni di Dio e utili menzogne
  7. III. Improbabili testimoni
  8. IV. L’impenetrabile natura e la storia ospitale
  9. V. Verità private e pubbliche esperienze
  10. Indice dei nomi
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Copyright