Mai tardi
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Diario di un alpino in Russia

  1. 224 pagine
  2. Italian
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Diario di un alpino in Russia

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Questo diario racconta giorno per giorno l'odissea degli alpini della «Tridentina» in Russia, sino alla tragica conclusione della ritirata. Molte pagine da allora sono state scritte su quell'evento, ma le annotazioni scarne che Nuto Revelli ha affidato al suo taccuino continuano a costituire una testimonianza viva e indimenticabile.
Cronaca autentica di una delle pagine piú terribili della guerra fascista, il libro traccia anche la storia di una esperienza individuale che riflette una svolta decisiva nella storia di tutti gli italiani. «Non è solo e non tanto uno spietato e rovente atto di accusa contro le cricche degli alti papaveri politici e militari, la criminale imprevidenza e impreparazione, le vergogne dei profittatori nelle retrovie, la prepotenza disumana e sprezzante dell'alleato tedesco. È prima di tutto la tragedia dei "poveri cristi" gettati allo sbaraglio, beffati, traditi, e che pure, nello sfacelo immane di un esercito e poi di uno Stato, riscoprono in sé le ragioni profonde del vivere».

Alessandro Galante Garrone

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2017
ISBN
9788858422342
Argomento
Storia

La ritirata

16 gennaio 1943.
Sul Don tutto è apparentemente fermo, nel freddo, nel silenzio.
Nel baracchino sotterraneo della 46 incontro Grandi, il capitano Panzeri dell’82a divisionale ed altri ufficiali. Ambiente pesante: carte topografiche e fogli sparsi, un lumino ad olio che funziona male, aria di chiuso e fumo di sigarette. Il telefono chiama senza sosta.
Grandi, il miglior comandante di uomini che abbia mai conosciuto, è mal ridotto di salute, è stanco. Ha perduto il tono spregiudicato di chi va in guerra con due sacchi, uno per darle, l’altro per prenderle, senza pensarci troppo su. Anche su quota 228, anche nel vivo del combattimento, era solito accogliermi rumorosamente, alla «Taras Bulba», come diceva lui. Stasera invece non parla, è triste.
Da un foglio dattiloscritto del comando battaglione apprendo che la sera del 17 gennaio il grosso della divisione dovrà ripiegare sulla «linea prestabilita di Podgornoje». «Ricuperare tutte le munizioni, i telefoni, le linee telefoniche, le stufe di postazione [che idea!], gli attrezzi da zappatore che a Podgornoje saranno preziosissimi. Un’aliquota dei reparti [un terzo della forza in postazione] resterà in linea fino ad ordine dei superiori comandi, per mascherare il ripiegamento del grosso».
Il peggio sarà restare a Belogorje con il «mascheramento»!
Da come Grandi mi guarda, sento che toccherà a me. Grandi conosce il mio passato, conosce le mie condizioni di salute. Aveva scelto Perego, ma Perego non si regge in piedi, dovrò sostituirlo.
Incasso con rassegnazione; riesco ancora a pensare al meglio.
Mettiamo giú la forza che resterà a Belogorje, 87 alpini su 346: 3 squadre fucilieri a Madonna, 3 squadre fucilieri e 2 cannoni anticarro da 47/32 nella piana.
A mezzanotte le telefonate continuano, come se i comandi avessero fretta di dire tutto, prima che le linee vengano ripiegate. Zaccardo ha la febbre altissima e delira; nella notte verrà a sostituirlo il maggiore Maccagno del comando reggimento.
Mi sdraio sul divano di Grandi. Sono stanco, snervato, dovrei riposare nelle poche ore che rimangono. Non riesco a non fumare.
17 gennaio.
Di buon mattino raggiungo Tresenda, nel settore di centro della «porta di Belogorje». Con Perego e De Filippis mi oriento sulla sistemazione difensiva della piana, poi torno alle «case rosse».
Mangio quel poco che c’è, le cucine sono già ripiegate.
Mentre la compagnia inizia i preparativi per la partenza seguo con lo sguardo lo schieramento della 46. In alto, sullo sperone di sinistra, il caposaldo Madonna: poi la piana e Tresenda. Lungo lo sperone di destra la 48.
Images
La linea che unisce Belogorje a Belgorod indica la direzione di movimento della Tridentina durante la manovra di ripiegamento. I nomi in maiuscoletto indicano le località dove hanno avuto luogo i combattimenti piú importanti. Le frecce A, B, C indicano la prima fase del ripiegamento (17-20 gennaio) rispettivamente delle divisioni Vicenza, Cuneense e Julia.
1. Podgornoje: punto di radunata della divisione Tridentina: 17-19 gennaio 1943.
2. Skororyb: località in cui si svolsero le prime azioni di sfondamento dei reparti alpini in ritirata: 19 gennaio.
3. Novo Charkovka: combattimenti nella notte fra il 20-21 gennaio.
4. Sceljakino: combattimenti del 22 gennaio.
5. Nikitovka-Arnautovo: località ove avvennero i piú cruenti combattimenti del battaglione Tiràno: mattino del 26 gennaio.
6. Nikolajevka: grande azione di sfondamento svolta dalla divisione Tridentina: sera del 26 gennaio.
7. Belgorod: località dove avvenne l’incontro con il nuovo schieramento mobile tedesco: 4 febbraio.
È un fronte molto ampio, estremamente vulnerabile. Nella situazione in cui verrò a trovarmi, i collegamenti sarebbero preziosissimi. Ieri notte ho chiesto al comando battaglione almeno un telefono tra Tresenda e Madonna. Slataper, l’ufficiale del Tiràno addetto ai collegamenti, mi ha risposto che l’ordine di recuperare tutte le linee telefoniche è categorico, che nessuna eccezione è possibile. Con tre squadre fucilieri buttate lassú, a Madonna, la situazione non sarà allegra.
Consegno al sergente Robustelli una pistola Verj con quattro razzi: se a Madonna la situazione sarà disperata li sparerà tutti.
Alle 14 lascio le «case rosse», per raggiungere definitivamente Tresenda. Incontro Grandi che rientra dalle linee. Mi abbraccia, è stranamente espansivo.
Ovunque c’è movimento; i pochi che restano si perdono tra i molti che partono.
Alle 15,30 comincia ad imbrunire. Sento troppo baccano. Il freddo è intenso, sui 35 gradi sotto zero. Tutto fa rumore, gli slittini che viaggiano, il vociare degli uomini, il succedersi degli ordini; anche a camminare sulla neve ghiacciata si fa rumore.
Avrei dovuto avere una radio, per collegarmi con il comando del mascheramento di battaglione; poi era venuto il contrordine. Due telefonisti incominciano a stendere una nuova linea telefonica fra Tresenda e la 49.
Alle 16, con il buio, le squadre abbandonano le postazioni di linea, raggiungono la «piazzetta del carro armato». I bunker si vuotano.
Guardo gli alpini che se ne vanno. È triste vederli partire. La linea si alleggerisce tremendamente; soltanto il Don ci dividerà dai russi. In caso di attacco dovremo sacrificarci dal primo all’ultimo, per concludere ben poco.
Sono spariti quaranta metri della linea telefonica appena stesa; ne hanno fatto tiranti per le slitte. Cosí, fino alle 20, nemmeno l’unico collegamento potrà funzionare.
Dopo le notti bianche di Madonna e di «case rosse» prevedo un’altra notte bianca a Tresenda. Forse a Podgornoje incontreremo il nuovo fronte, forse esistono l’armata tedesca e il corpo d’armata ucraino di rincalzo…
Quante cose dovrò dirmi stanotte per farmi coraggio!
Il freddo è sempre molto intenso.
Fuori del comando un alpino di guardia è collegato a vista con Madonna: attende le segnalazioni di allarme.
In linea incontro i sottotenenti Darè e Belgrano, poi Pilis e Paride. Tutto è tranquillo.
Le stufe sono accese, anche quelle dei bunker abbandonati. È necessario che dai boschi di Pavlovsk vedano che i tubi fumano.
Le armi hanno l’ordine di sparare a tratti, come se l’alleggerimento non fosse avvenuto, come se le provassimo in una notte normale. Si finge di disincepparle dal gelo, spostandole nei bunker vuoti, lungo tutta la linea.
Far credere che lo schieramento è ancora intatto non è facile. Abbiamo soltanto fucili mitragliatori e l’aria del Don ci tradisce: in quest’aria sottile le raffiche di mitragliatore hanno un suono diverso dalle raffiche di mitraglia.
Verso le 18 torno a Tresenda, nel baracchino sotterraneo. Un colpo di artiglieria, vicinissimo, in arrivo, mi fa uscir fuori di volo.
È una nostra batteria che spara una quarantina di colpi in tutto. Scoppi vicini, metallici, fortissimi. Crederanno di sparare sulle linee russe!
Altra novità. Sul rovescio del Val Chiese bruciano cinque o sei isbe piene di munizioni e bombe a mano. Gli incendi e le vampe sono visibilissimi dalle linee russe, gli scoppi numerosi e violenti.
Una staffetta della 49 arriva con un foglio del capitano Frascoli. Purtroppo la linea telefonica è ancora interrotta.
Mangio senza appetito una pastasciutta di tubi. Ho un gran bisogno di riposo, la situazione mi tiene sveglio.
Alle 20 la linea telefonica è riattivata. Mi collego con Frascoli e ricevo risposta. Nessuna novità.
Spero di far passare il tempo sfogliando qualche libro, ma il tempo non vuol passare.
Alle 21 torno in linea. Ultime disposizioni.
Finalmente alle 23 Frascoli segnala che il ripiegamento inizierà domani alle 4. È una buona notizia che mi rialza il morale. Negli attimi di maggiore pessimismo avevo pensato che i superiori comandi potessero dimenticarsi di noi.
Spedisco le staffette con gli ordini di ripiegamento. Il caposaldo Madonna, piú lontano, ripiegherà alle 3,45. Quando la pattuglia Marchetti mi segnalerà l’arrivo di Madonna alle «case rosse», farò ripiegare la piana. Le stufe di postazione dovranno essere piene e accese. Massimo silenzio.
Torno in linea. Lontano, dall’ansa del Don, i cecchini sparano. Le nostre armi automatiche, sempre in movimento da una postazione all’altra, rispondono con brevi raffiche.
Il 16 gennaio i russi hanno attaccato l’Edolo, nella piana di Basovka. Se tentassero stanotte anche a Belogorje? I russi conoscono la situazione disperata del corpo d’armata alpino.
18 gennaio.
Alle 2, da Komunas, un riflettore taglia il cielo con un fascio di luce. Ho l’impressione che cerchi i due «samaliot» che poco fa hanno sorvolato il Don. Ma il fascio di luce si abbassa, rischiara Madonna, si sposta, illumina Belogorje.
Mai visto un riflettore in tanti mesi di linea. Le paure riaffiorano. Finalmente si spegne.
Sul mattino il freddo è piú intenso. Abbiamo avuto una notte limpidissima.
Sulla destra, verso la 48, brucia un’isba. L’incendio è breve. Sono le 2,30.
Alle 3 spedisco le staffette Regazzoni e Scanzi a Madonna, con l’ora esatta per l’orologio scassato di Robustelli.
Poco fa hanno ripiegato la linea telefonica con la 49.
I due cannoni anticarro del sottotenente Belgrano sono ormai in via di ripiegamento. Raggiungeranno direttamente quota 181.
Il tempo non passa, i minuti durano giorni. Sono le quattro meno cinque e della pattuglia Marchetti nessuna notizia.
Tutta la linea sta ripiegando; ormai i mascheramenti del Val Chiese, del Tiràno, dell’Edolo avranno abbandonato il Don. Noi non possiamo muoverci.
Alle 4 finalmente arriva la pattuglia Marchetti. Due staffette portano alle squadre della piana l’ordine di ripiegamento.
Lascio Tresenda e raggiungo le «case rosse». Incontro Madonna, proseguiamo verso la «piazzetta del carro armato».
Nel buio ci contiamo. Mancano due alpini all’appello. Tra mezz’ora arriverà l’alba, non abbiamo tempo da perdere.
Sul Don sono rimaste soltanto le stufe accese a guardare i russi. Il punto di radunata del mascheramento di battaglione è quota 181.
La colonna si fa lunga e lenta, ogni alpino trascina il suo carico. Incontriamo la 49 e riprendiamo coraggio.
Su quota 181 i reparti si frammischiano. Il cielo è rosso, il sole sta nascendo.
Siamo in alto, e dal Don i russi guardano. È necessario «pistare» subito.
Riordinamento e si riparte quasi di corsa. La 46 è in coda.
Sono «ufficiale di coda», sono proprio l’ultimo della colonna. Sento il vuoto alle spalle, fisicamente, come se camminassi nella neve senza scarpe.
Frascoli vuole che la 46 segua un itinerario diverso. Mi parla di un bivio dove dovrei prendere a sinistra poi a destra. Non sono d’accordo. Insiste, precisa che avrò una guida. La guida però non conosce la strada; cosí, si rinuncia.
È in salita che dobbiamo correre, quando siamo visibili dal Don. Nelle conche prendiamo un po’ di fiato.
Arriviamo alle postazioni dell’artiglieria alpina. Di lí stanotte spararono quaranta colpi convinti di colpire i russi. Lo sbarramento fu cosí ravvicinato da accoppare un mulo della 49.
Ogni tanto uno scoppio. Il capitano Frascoli si sente robusto, lancia le bombe a mano raccattate lungo la pista. Si stancherà presto. Si dice che stanotte la sua risposta all’ordine di ritirata del comando reggimento sia stata questa: «Morale altissimo». Beato lui!
Non muovo due dita della mano destra. Il dottor Taini mi consiglia di massaggiarle. Infilo la mano sotto il cappotto e tornano normali.
A Morozovka dovremmo incontrare un battaglione di fanteria sistemato a caposaldo.
Lungo la pista, autocarri e autocarrette abbandonate, le prime cassette di munizioni buttate.
Non si cammina, si rotola verso ovest quasi correndo. Sono sempre in fondo alla colonna, con i ritardatari. Urlo di continuo di stare sotto.
Un alpino della 46, arrivato sul Don con i complementi, trascina faticosamente il suo slittino con su lo zaino. È stanco, procede a stento, s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Mai tardi
  3. Presentazione 1989
  4. Mai tardi
  5. Verso il fronte: dall’Italia al Don
  6. In linea sul Don
  7. Retrovie ed ospedali
  8. Ritorno in linea
  9. La ritirata
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright