Dove siamo arrivati, cento pagine dopo? Abbiamo sviluppato la tesi fondamentale per cui è opportuno procedere all’analisi delle connessioni esistenti fra passioni e politica, invece di relegare l’una e l’altra nelle loro rispettive sfere. Non solo a livello teorico, ma anche per ciò che concerne la prassi politica, si tratta di un esercizio estremamente proficuo, in grado di produrre in maniera inaspettata relazioni e linguaggi, comportamenti e significati. Quanto piú sapremo prestare un’attenzione minuta e programmatica alle passioni che circolano fra noi, tante piú probabilità avremo di costruire una sfera democratica contraddistinta da dignità (nel senso weberiano del termine), efficacia e longevità.
Dobbiamo essere consapevoli che il compito non è semplice. Non siamo spensierati cacciatori di farfalle in un luminoso pomeriggio estivo, con l’obiettivo di catturare i migliori esemplari per la nostra collezione. Non esiste una chiara gerarchia delle passioni da adottare in politica, quelle “buone” ai vertici, quelle “cattive” in coda. Le passioni sono mutevoli e ambivalenti, persino il loro nome cambia nel tempo. Ciò nonostante è possibilissimo individuarle e utilizzarle nel campo politico. La metodologia da noi proposta ha evidenziato la necessità di ideare un sistema di combinazioni, perché le passioni assumono risonanza e utilità se collegate specificamente e ripetutamente con altre passioni o con comportamenti e stati d’animo che possano in qualche modo condizionarne l’uso e l’intenzione.
Una combinazione chiave tra quelle che proponiamo è tra mitezza e fermezza; un’altra, riferita alla famiglia, associa la curiosità al rispetto della privacy, un’altra ancora unisce l’ambizione – la passione per eccellenza della politica – con la temperanza. Sono combinazioni che sfiorano il paradosso perché mettono insieme passioni in apparente contraddizione, mentre in realtà l’una rafforza l’altra. Lo sforzo di combinare le passioni può rivelarsi assai produttivo senza alcuna presunzione di essere definitivo o completo.
Del resto ogni epoca ha sempre ridefinito l’utilità politica delle passioni in funzione dei differenti contesti, dei valori acquisiti o delle rivendicazioni emergenti. Alcune combinazioni di passioni e comportamenti – come abbiamo ampiamente mostrato – risulterebbero ormai del tutto fuori luogo. È assai strano che oggi, in un’epoca in cui il controllo delle passioni contribuisce fortemente al predominio di un sistema di valori e di organizzazione sociale gravemente iniquo, alcune passioni vengano assolutizzate mentre altre vengano taciute, senza che si senta la necessità di una riflessione e di una cura collettiva del loro governo con le sue conseguenze politiche.
Non convinti né dall’entusiasmo indiscriminato nei confronti delle passioni né dalla tesi che le vuole sacrificate sull’altare della Ragione, proponiamo quindi un “alfabeto delle passioni”. Come sempre è bene partire da se stessi. L’autogoverno che abbiamo proposto nel terzo capitolo ha l’obiettivo di prepararci all’impegno nel mondo politico, ma in maniera totalmente diversa, attribuendo grande attenzione sia alla forma sia al contenuto. Per dirla in parole povere significa capacità di ascoltare, non solo parlarsi addosso; capacità di sviluppare i propri talenti umani assieme a quelli altrui, astenendosi dalla perenne competizione; capacità di riconoscere il narcisismo al proprio interno e all’esterno, con la consapevolezza dei suoi possibili effetti letali se lasciato incontrollato.
L’“alfabeto delle passioni” non implica solo l’autogoverno con le sue ramificazioni. Significa imparare a distinguere le passioni, a comprenderne la complessità e a incoraggiare l’uso di quelle che hanno il potere di innescare ulteriori azioni. Le passioni inclusive costituiscono forse la componente piú preziosa di questo alfabeto. In precedenza, riferendoci alla Volksgemeinschaft nazista abbiamo individuato un certo numero di passioni e attitudini irriducibili: sono l’inclusione, la condivisione, l’accettazione, il rifiuto di stigmatizzare l’altro da sé e d’identificare il nemico per poter prima escluderlo e poi liquidarlo. Esse sono totalmente estranee al corredo di passioni tipiche del nazismo.
Queste passioni e attitudini, cosí rilevanti in questo momento della storia, possono avere una funzione attiva per orientare altre passioni che sono necessarie di fronte allo sbiadito paesaggio della democrazia attuale, quali l’indignazione e persino l’ira. Prese da sole, l’indignazione e l’ira sono spesso passioni impotenti, destinate a produrre ulteriori frustrazioni o a ridurre – come spesso sta accadendo – il nostro desiderio di trasformazione comune in semplice ansia di distruzione o in un incessante sospetto. Accompagnata da un desiderio di condivisione o da comportamenti e passioni inclusive, anche l’indignazione potrebbe incentivare la costruzione di processi capaci di trasformare le rivendicazioni individuali in credibili conflitti politici.
È tempo che le discussioni sulle passioni, invece di essere ignorate, sottovalutate o strumentalizzate, diventino parte stabile dei curricula delle scuole repubblicane. Sarebbe un grande passo in avanti. Ci piacerebbe che le distinzioni analitiche che abbiamo cercato di proporre contribuissero alla formazione di una base popolare informata.
Dobbiamo anche ricordare di fare ciò che coloro che ci hanno preceduto hanno dimenticato di fare – o forse non l’hanno mai imparato: connettere la politica con la sfera familiare. Vale la pena di riaffermare in chiusura che le famiglie sono il luogo privilegiato di emozioni e affetti, straordinaria sede di formazione, socializzazione e costruzione di opinione. Le ignoriamo, a nostro rischio e pericolo.
1 Cfr. A. TARPINO, Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani, Einaudi, Torino 2008.
2 N. GINZBURG, Prefazione, in G. FALASCHI (a cura d...