Stesso sangue
  1. 224 pagine
  2. Italian
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La morte scorre nelle vene. Non sempre è quella che vedi. A volte è cosí assurda che neanche vuoi sentirne parlare. La morte confonde vittime e carnefici.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
ISBN
9788858423530

Questo incanto non costa niente

racconto in nero di Francesco Guccini
e Loriano Macchiavelli

1.

Una morte accidentale

Il muso della macchina travolse le poche piante ai bordi della scarpata, su quella strada non c’erano di certo muretti di protezione. La parte anteriore della vettura rimase un istante in bilico sul bordo del precipizio, coi fari che illuminarono, lambendola, la sponda di fronte, poi, trascinata dalla forza di gravità, l’automobile cabrio color grigio verde e capote verde scuro, bellissima, elegante e slanciata, cominciò a rotolare sul pendio quasi perpendicolare che portava al fiume. Prima lentamente, quasi saggiasse il terreno, poi sempre piú rapida; prendendo via via velocità. Spezzò i giovani fusti di castagno e di salici selvatici, travolse e spazzò via i ciuffi di piante spontanee e trascinò con sé piccole frane di pietre che finirono nel fiume, dove sollevarono leggeri sbuffi d’acqua.
Il tutto durò qualche secondo. Le ruote anteriori baciavano l’acqua, un faro rimase accecato esplodendo contro un ramo piú robusto, l’altro sfiorava la corrente.
L’automobile non era tanto danneggiata, solo il muso era un poco saccagnato e il parabrezza era volato via, disfacendosi in mille cristalli.
L’autista era a bordo, il corpo appoggiato alla portiera, le braccia a pendere lungo i fianchi, le mani inerti, la testa sul volante, un filo di sangue che scorreva lungo il lato destro del volto.
Anche se la luce dell’unico faro acceso illuminava ancora tutta la scena, quell’uomo, sicuramente, non vedeva piú nulla di quello che gli stava attorno.
Il cameriere li vide avvicinarsi e andò a sistemare il tavolino al quale sedevano ogni sera, appena usciti dal cinema. Di solito arrivavano in una decina fra ragazzi e ragazze. Giovani, sui vent’anni, in vacanza estiva in quel paese termale della montagna bolognese, Bagni dell’Appennino. Quella sera erano solo quattro e solo uomini: Romano, Stefano, Gladio e Vittorio. Si accomodarono e accesero le sigarette.
– Dove avete messo le ragazze? – chiese il cameriere. Non aspettò la risposta. – Vi servo il solito, immagino.
– È la prassi, – confermò Romano. – Si esce dal cinema, ci si ferma al bar per due chiacchiere inutili, si beve un Campari e poi si va… – Il giovane si rivolse agli amici: – A proposito, dove si va stasera? – Quelli si guardarono e si strinsero nelle spalle. – Sono arrivati i tuoi? – chiese allora a Stefano.
– Arriveranno sabato.
– Ottimo. Io passo a prendere le ragazze e andiamo a casa tua per l’ultima festa prima che arrivino i parenti. E chi non viene con me, peste lo colga!
Finirono le sigarette e i Campari e, pagata la consumazione, lasciarono il bar.
– Quando arrivano le ragazze, sempre che arrivino?
Il villone liberty era dei genitori di Stefano, quello che aveva fatto la domanda. Pieno di stanze con disegni floreali e un piccolo parco attorno, con qualche abete piantato qua e là per dare l’illusione di essere in una montagna piú alta, piú importante.
Il gruppo dei giovani era arrivato da poco e si era sistemato nel salone.
– Arrivano, arrivano, vai tranquillo. Ha detto Romano che le porta su lui, con l’Isotta, e quando una ragazza vede quell’automobile, boh, non so, ci salta sopra. È come il richiamo della foresta, – disse Gladio.
Gladio era il piú giovane e, a giudicare dall’aspetto, anche il piú deciso. Doveva il nome al padre, che aveva partecipato alla Marcia su Roma, sempre in prima fila quando Mussolini era nei paraggi e suo convinto sostenitore della prim’ora.
– Sarà anche il fascino del bel Romano.
– See, e il fascino dei soldi e della macchina.
– Ma per te, scusa, le donne sono tutte troie?
– Tutte, meno le sorelle e le mamme.
– A proposito di troie: nell’Isotta ce ne staranno due. E le altre?
– Vedrai che Romano in qualche modo farà. L’importante è che vengano.
Stefano e Gladio, che si erano scambiati queste battute, sogghignarono.
– Com’è che i tuoi non ci sono? – chiese un altro, Vittorio.
– Sono a Riccione. Mia sorella, dice, ha bisogno di mare, perché c’è l’aria ricca di iodio e il sole che irradia la vitamina, so mai me. Per me spera invece di trovare marito e poi i miei sperano di incontrare il Duce. Ci va sempre, lui, a Riccione.
– E quando l’hanno ben incontrato? Cosa fanno? – chiese ancora Vittorio. – Lo salutano, eia eia, e poi? Bisogna essere pezzi piú grossi, come il babbo di Gladio. O di Romano, l’avvocato Adolfo Pareschi, federale, altro che balle, quello sí che è un pezzo grosso, pieno di grana, e si permette pure di regalare una macchina di quel tipo al figlio. Siamo giovani fascisti come lui, ma intanto io sono figlio di un semplice ragioniere e vado a piedi.
Mentre parlava, Vittorio scartabellava le buste dei dischi in un mobiletto sotto il fonografo a manovella. – Ehi, ma qui non c’è niente di buono, guarda qua: Non dimenticar le mie parole, canta il Trio Lescano. Non sono ebree?
– Corre voce, per questo non si sentono piú tanto. L’Eiar le ha dimenticate.
– Non si sentiranno piú tanto, ma si sentivano. Ecco, Tornerai, sempre il Trio Lescano. Poi Rabagliati, Natalino Otto. E qui? Un’ora sola ti vorrei, canta Fedora Mingarelli accompagnata dall’orchestra di Pippo Barzizza. Ma chi è ’sta Mingarelli?
– Bel repertorio. Un’ora sola ti vorrei, per farne quattro, cinque o sei, – canticchiò Stefano.
– Certo. Va mò là, che una ti basterebbe e ti avanzerebbe.
– Senti chi parla, che quando hai compiuto diciott’anni ti sei presentato a casino con la carta d’identità fra i denti.
– Come te, che ci passavi le giornate, a baito.
Stefano rise. – Sí, ma ci andavo a studiare.
– Ci andavi mo’ a guardare le pensionanti mezze nude e a farti spruzzare di Flit dalla maîtresse di via delle Oche. Stefano il re della flanella. Piuttosto, c’è qualcosa da bere, in questa casa?
– Guarda in quell’armadietto, qualcosa ci dev’essere, – disse Stefano.
– Perbacco. Abbiamo dell’Arzente.
– Arzente le balle, fallo dire da quel fighetto di D’Annunzio, – disse il padrone di casa. – Quello è cognac francese invecchiato di venticinque anni.
– Allora trasgrediamo alle regole e assaggiamo il cognac.
Sedettero a un tavolo. – Sai che è proprio buono, anche se non arriva Romano con le ragazze, la serata non è del tutto sprecata.
– E io, trasgredire per trasgredire, potrei fare un salto a casa a prendere qualche disco di jazz.
– Ma è vietato!
– Vietato cosa?
– Boh, dicono cosí.
– Eeeh, quante ne dicono. Hai una sigaretta?
– Tieni, – e Stefano porse un pacchetto quadrato rosso con una losanga nera.
– Accidenti, sigarette turche!
– No, sono italiane, le Macedonia, ma sono buone.
Fumarono in silenzio, sorseggiando il cognac.
– Ci capite qualcosa nella situazione internazionale?
– Mah. Certo che baffino, là, per me prima o poi si muove. Cerca lo spazio vitale, lui.
– Su Danzica?
– Non solo su Danzica, per me tira piú in là.
– Vi ricordate lo strillone sotto palazzo Re Enzo. Gridava: Ocio a Danzíga e a chi la stuzíga. La sta stuzigando. Per me finisce che si va in guerra. E ci andremo anche noi. Bene, ho voglia di menar le mani –. La battuta era stata di Gladio, il piú disposto di tutti all’azione.
– Io la sapevo un po’ diversa, la storia di stuzíga. Al posto di ocio c’era viva, e al posto di Danzíga un’altra parola che finisce anche lei in iga.
– Pensi sempre solo a quella roba lí, tu?
– Be’, sempre no, ma adesso sí –. Da fuori, dal giardino arrivò il rumore di un motore d’automobile e poi di una portiera che sbatteva. – Ecco Romano. E quindi anche le ragazze –. Si sentí l’arrivo di un’altra automobile. – Quante ne ha portate? Romano esagera sempre.
Il nominato Romano entrò, solo. Era alto, occhi scuri, moro, capelli lisciati all’indietro. Aveva un paio di pantaloni di misto lino e un maglioncino bianco col collo a V bordato di blu.
– Be’, le ragazze?
– Tranquilli, sono appena arrivate. Non ci stavano sulla mia Isotta e le ha portate su Franco con la Balilla. Solo che ha fretta, che deve fare un altro servizio. È venuto su per farmi un piacere.
Infatti la seconda automobile non spense neppure il motore e, richiuse le portiere, ripartí.
Una dopo l’altra entrarono quattro ragazze eleganti e sorridenti. Si fermarono poco oltre la soglia, valutarono i giovani seduti al tavolo e una di loro, Lorena, si rivolse alle amiche. – Una noia, no? Sempre gli stessi.
– E io che mi aspettavo chissà chi, – disse un’altra.
Romano, l’unico in piedi, andò a riceverle. – Sappiamo, sappiamo: vorresti Osvaldo Valenti ma stasera aveva un impegno. Non lamentatevi, ragazze, un giorno o l’altro ve lo presenterò, il vostro amante preferito. Accontentatevi, accomodatevi e divertitevi in questo covo di sovversivi. Vedete, cognac. Di chi è?
– Di chi vuoi che sia? Dei miei.
– Sovversivi anche loro, – e tornò agli amici. – Maledetti sediziosi, non sapete che è vietato? Bisogna distruggere le prove –. Prese il bicchiere, lo sollevò verso le ragazze e lo vuotò d’un sorso. – Be’, coraggio, fate amicizia. Divertitevi. Io adesso devo andare –. Fermò con un gesto i mormorii di protesta. – No, no, devo proprio andare, ma fra un po’ torno, ci vediamo piú tardi, – e, stringendo il braccio di Stefano, disse a bassa voce: – Non so quando torno, ho colpito ancora –. Gli diede un colpetto sullo stomaco. – Be’, ciao a tutti, a fra poco, ci vediamo.
Anche se la luce dell’unico faro acceso illuminava ancora tutta la scena, quell’uomo, sicuramente, non vedeva piú nulla di quello che gli stava attorno.
Non aveva visto neppure il muso della macchina travolgere le poche piante ai bordi della scarpata, la parte anteriore rimasta un istante in bilico sul bordo del precipizio, né i fari che illuminavano, lambendola, la sponda di fronte.
Non aveva visto perché i suoi occhi erano spenti, quando l’auto cabrio color grigio verde e capote verde scuro, bellissima, elegantissima e slanciata, aveva cominciato a rotolare sul pendio quasi perpendicolare che portava al fiume.
La mezzanotte era passata e Vittorio, che, a occhio, aveva bevuto piú degli altri, si guardò attorno: – Romano non è ancora tornato.
– Avrà avuto di meglio da fare, – disse Stefano.
– Aveva promesso di riportarmi a casa. Accidenti, lo sai dove abito, no? Mezz’ora a piedi, accidenti! A essere in forma. Nelle mie condizioni ci metterò fino a domattina.
– Cosí smaltirai i fumi dell’alcol e se ne andranno gli odori proibiti e i tuoi non si accorgeranno di avere un figlio depravato.
– Che coglione, che coglione! Mi doveva accompagnare. Forse tornerà a prendermi.
– Non credo. Mi ha parlato di un appuntamento.
– E con chi?
Stefano sorrise e guardò la compagnia. Nella penombra alcune coppie strette strette ciondolavano al ritmo di un lento senza uscire dalla mattonella. Altri erano stravaccati sul divano e sulle poltrone. – Non ti sembra che manchi qualcuno?
Il bevuto passò in rassegna i complici e scosse il capo. – Mi pare che ci siamo tutti.
– Tutti ma non tutte. Guarda meglio.
– Ci siamo tutti.
– Manca Beatrice. Sei proprio andato.
– Sí, e anche stanco. Dormirò qui.
Bagni dell’Appennino: in una valle formata da due catene montuose, una a levante e l’altra a ponente, a metà strada fra Bologna e Firenze, per chi ci abita è una città, se pure piccola. Per chi è di passaggio, un paese, se pure grosso. In realtà si potrebbero sostenere entrambe le definizioni poiché Bagni dell’Appennino è l’una e l’altro. Della città ha la vita diurna e notturna, negozi eleganti, passeggio. Di notte è illuminata con la luce elettrica. Solo le vie principali: la strada dalla stazione alla piazza, la statale che l’attraversa da nord a sud, la salita verso le terme e lo slargo che costeggia il palazzo comunale. Quattro vie piú la piazza...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Stesso sangue
  3. Questo incanto non costa niente di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli
  4. Coco Butternut di Joe R. Lansdale
  5. Siero di Jo Nesbø
  6. Ti ho fatto male di Marcello Fois
  7. Il libro
  8. Gli autori
  9. Copyright