Storia del mondo greco antico
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Storia del mondo greco antico

  1. 520 pagine
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La puntuale esposizione degli eventi, nel loro sviluppo sincronico e diacronico, si accompagna ad approfondimenti tematici, in cui la riconosciuta competenza dell'autore in ambito storico ed epigrafico consente di mettere a frutto - e a disposizione dei lettori - i risultati delle indagini specialistiche, arricchendo la ricostruzione e l'interpretazione storica.
Dall'analisi delle testimonianze antiche, dalla valutazione dei problemi ancora aperti, dalle sfide attuali della ricerca emerge il fascino di una civiltà straordinaria che, pur nella varietà delle esperienze vissute e pur adattandosi nel tempo e nello spazio alle piú diverse condizioni, seppe sempre custodire il senso profondo della sua identità. Anche per questo, la storia del mondo greco antico continua a nutrire la riflessione dell'Europa sulle proprie radici e sul proprio futuro.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858421796
Argomento
History

Parte terza

L’epoca classica

Capitolo decimo

Le guerre persiane

Con le riforme di Clistene, Atene raggiunge il grado di maturità politica che caratterizza l’età classica. Ciò nonostante, la periodizzazione tradizionale fa cominciare l’epoca classica con il V secolo e le guerre persiane. Esse segnano l’avvento di un’arma antica, ma che ha beneficiato di diversi perfezionamenti, la marina, e potenziano la democrazia ateniese, ormai abbastanza forte per mettersi alla testa di un impero. In questa evoluzione decisiva per l’insieme del mondo greco nel V secolo e anche oltre, si distingue un altro Ateniese d’eccezione, Temistocle, personaggio tanto ambiguo quanto affascinante. Mancando purtroppo fonti persiane, questi episodi celebri, ma le cui implicazioni non sono sempre facili da individuare nei particolari, ci sono noti soprattutto attraverso Erodoto. Ora, si è osservato da tempo che le Storie, che pongono in primo piano il ruolo svolto dagli Ateniesi, presentano gli eventi dei due decenni 499-479 secondo una continuità logica, se non una coerenza, che potrebbe essere in parte illusoria (cfr. il posto riservato al meccanismo della vendetta). Bisogna aggiungervi un altro capolavoro, I Persiani di Eschilo, che combatté a Maratona e a Salamina. Ricordiamo infine Diodoro Siculo (libri X e XI), Plutarco (Vite di Aristide e di Temistocle) e altri documenti, come il celebre e molto controverso «decreto di Temistocle», scoperto a Trezene1, oggi considerato per lo piú un apocrifo del IV secolo.
1. Le cause.
L’appellativo «guerre contro i Medi» (Medika)2 dato nelle fonti a questo conflitto tra Greci e Persiani viene dal nome dei Medi, che dominarono i Persiani all’epoca dei primi contatti tra questi popoli e le popolazioni elleniche, prima di essere loro sottomessi e associati da Ciro il Grande, verso il 550. Ora, i Greci hanno continuato a utilizzare questa denominazione, benché non corrispondesse piú alla realtà politica in Oriente. Sotto l’impulso di Ciro (559-530), di Cambise (530-522), in seguito di Dario I, l’impero achemenide (nome del clan familiare di Ciro) si è esteso su immensi territori che vanno dall’Indo all’Egeo e all’Egitto. Le cause dello scontro con i Greci vanno ricercate nella Ionia, regione in cui la grecità ha uno sviluppo particolarmente brillante nel VI secolo. Vi si trovano città potenti, come Samo, dove si distinse il tiranno Policrate, messo a morte dal satrapo di Sardi3, e altre particolarmente prospere come Mileto, a cui si attribuiscono diverse decine di colonie, e che conosce a sua volta la tirannide (cfr. cap. IX). Fra queste città, una dozzina è compresa all’interno della lega ionica, che celebrava il culto di Poseidone Eliconio nel santuario comune del Panionion, a Capo Micale: organizzazione essenzialmente religiosa, non poteva avere l’efficacia politica che alcuni, come Biante di Priene o Talete di Mileto, avrebbero voluto conferirle. La produzione letteraria e filosofica della Ionia è notevole (Mimnermo e Senofane di Colofone; Talete, Anassimandro ed Ecateo di Mileto; Eraclito di Efeso), cosí come la scultura e l’architettura (grandi templi di Era a Samo e di Artemide a Efeso), dove si distinsero gli artisti polivalenti Rhoikos e Theodoros, che introdussero in Grecia la tecnica della fusione del bronzo a cera persa, con modello cavo. Nella seconda metà del secolo, la regione che prima era sotto l’influenza lidia (regno di Creso: cfr. cap. VII) era caduta sotto la dominazione dei Persiani: costoro vi esercitano il controllo con l’intermediazione di tiranni che condividono ampiamente i loro interessi e impongono un tributo a quanto pare tollerabile.
La rivolta che agita la regione al passaggio del secolo è dunque difficile da spiegare. Erodoto la imputa ad Aristagora, tiranno provvisorio di Mileto, in assenza del titolare, suo cugino e suocero Istieo, trattenuto da Dario a Susa. Tramando con il satrapo di Sardi Artaferne, lo avrebbe trascinato in un’impresa che egli prometteva come facile e lucrosa. Il suo progetto era quello di impadronirsi dell’isola di Nasso, dove era esploso un movimento popolare contro alcuni aristocratici ai quali Aristagora era legato, prima tappa della conquista di altre Cicladi e dell’Eubea. Ma di fronte alla resistenza degli abitanti di Nasso, l’impresa sarebbe fallita. Nell’incapacità di mantenere le sue promesse, Aristagora fu indotto alla rivolta, strada rispetto alla quale lo stesso Istieo lo incoraggiava. Questa fuga in avanti lo costrinse a proclamare l’isonomia a Mileto e in altre città: con il suo aiuto o seguendo i suoi consigli, queste si sbarazzarono dei loro tiranni ed elessero degli strateghi (500/499). Cosa nasconde di fatto il percorso di questo personaggio ambizioso e un po’ confusionario? Se gli specialisti non credono piú a una crisi economica (declino del commercio ionico diretto verso le colonie pontiche, a causa della spedizione compiuta da re Dario I contro una parte del paese degli Sciti e negli Stretti nel 513/512), la scappatoia politica scelta da Aristagora tradisce probabilmente un sentimento antitirannico e dunque antipersiano abbastanza forte tra il demos milesio e nel resto della Ionia, che si può immaginare al contempo ricettivo verso le innovazioni ateniesi e scontento di un equilibrio giudicato poco equo rispetto all’esazione dei tributi (cfr. piú avanti gli adeguamenti consentiti da Mardonio e Artaferne dopo il 494). Dunque, propriamente parlando, non si tratta del risveglio di una coscienza nazionale contro l’occupante barbaro, spiegazione che risulta anacronistica per l’epoca, ma piuttosto di una crisi sociopolitica che sarebbe alla base della rivolta.
Aristagora si recò in seguito a Sparta, contando di ottenervi l’appoggio dei migliori opliti della Grecia. A dispetto di un brillante discorso illustrato da una tavoletta di bronzo su cui era incisa una carta «della terra intera», egli fu respinto da Cleomene, scoraggiato dalle distanze da percorrere. Trovò invece un’accoglienza favorevole presso gli Ateniesi, che videro certamente in quella circostanza l’occasione di porsi come campioni degli Ioni in generale e delle città isonomiche in particolare, ma che guardavano soprattutto a Ippia, il Pisistratide in esilio presso Artaferne. Atene inviò dunque venti navi e gli Eretriesi, anch’essi di origine ionica, cinque. Sardi, capitale della Lidia, fu incendiata nel 498, dopo di che il corpo di spedizione si imbarcò nuovamente, non senza aver subito alcune perdite. I Persiani in seguito riconquistarono le posizioni perdute, riportando a Lade (isolotto situato al largo di Mileto) una vittoria navale decisiva contro le 353 triremi riunite dagli Ioni indecisi e male organizzati, malgrado gli sforzi meritori del foceo Dionisio. In seguito saccheggiarono Mileto, la cui popolazione fu in parte deportata (494). Mardonio e Artaferne riorganizzarono allora la Ionia con moderazione e pragmatismo, e relativa soddisfazione degli abitanti: adeguandosi ai regimi isonomici stabiliti nelle città, imposero a queste di dirimere da quel momento le loro controversie in base al diritto e conferirono ai tributi basi piú eque. Le cose avrebbero potuto fermarsi a quel punto. Ma Dario, o perché riteneva che la sua vendetta contro Atene ed Eretria non fosse stata consumata4, o piuttosto per consolidare il suo dominio sull’Egeo e assicurarsi che nessuna minaccia sarebbe piú venuta dalla Grecia, inviò dapprima suo genero Mardonio a imporre la supremazia persiana in Tracia e a confermare l’alleanza della Macedonia (492). Taso, che in questa occasione si era sottomessa, l’anno seguente dovette smantellare le sue mura (o aprirvi dei varchi) e consegnare le sue navi. Successivamente il Gran Re rivolse ai Greci un ultimatum, esigendo «terra e acqua» (491). A detta di Erodoto, si trovò di fronte al rifiuto degli Ateniesi e a quello degli Spartani. Oltre a fornire allo storico un’occasione per un aneddoto edificante (gli Ateniesi avrebbero lanciato l’araldo persiano nel precipizio del Barathros, mentre gli Spartani lo avrebbero gettato in un pozzo, il che equivaleva a consegnare in modo simbolico e provocatorio la terra e l’acqua), vediamo delinearsi precocemente in quella situazione, attraverso lo scontro greco-persiano, un duello a distanza tra le due grandi città del momento. Alcuni indizi potrebbero tuttavia suggerire che gli Ateniesi fossero divisi sull’atteggiamento da adottare nei confronti dei Persiani: in linea con l’alleanza auspicata da alcuni (responsabilità di Clistene?) nel 507/506 (cfr. cap. IX), si è per esempio subodorata l’azione di un partito piú favorevole alla conciliazione (ruolo degli Alcmeonidi?) dietro la condanna del poeta Frinico, per aver rappresentato una tragedia sulla presa di Mileto che suscitò una grande commozione tra la popolazione nel 493, lo stesso anno in cui, da parte sua, Temistocle dava un impulso decisivo alle opere di fortificazione del Pireo (cfr. infra).
2. La prima guerra.
Nel 490, l’uomo forte ad Atene sembrava essere Milziade il Giovane, eletto stratego dopo essere rientrato dai suoi possessi nel Chersoneso (Tracia), ereditati dallo zio omonimo. Minacciato dall’espansione persiana nel Nord dell’Egeo, era anche un feroce avversario di Ippia, che in passato aveva fatto assassinare suo padre. Peraltro, membro del genos dei Filaidi, non doveva avere una simpatia particolare per l’isonomia e nemmeno per gli Alcmeonidi. È sempre lui che comanda le operazioni contro le forze barbare condotte da Dati, certamente assai modeste a dispetto delle cifre riportate da Erodoto. Partito dalla Cilicia, Dati conquista Samo e quindi sottomette le isole dell’Egeo, incendiando in particolare Nasso; Eretria, che resiste sei giorni prima di essere consegnata da due dei cittadini piú in vista, è duramente punita (templi saccheggiati e incendiati, popolazione ridotta in schiavitú e in parte deportata nella regione di Susa). In seguito, su consiglio di Ippia, che aveva conservato dei sostenitori nella regione, Dati sbarca nella baia di Maratona, vicina a Eretria e giudicata adatta alle evoluzioni della cavalleria (anche se questa non parteciperà alla battaglia, assenza che fino a oggi non ha avuto una spiegazione del tutto soddisfacente). Milziade si reca all’incontro con gli opliti ateniesi, rinforzati da un contingente inviato dalla città vicina e amica di Platea (cioè al massimo 10 000 uomini contro circa il doppio da parte dei barbari?). Dopo avere atteso invano un aiuto promesso da Sparta, ritardato dalla celebrazione delle feste di Apollo Carneio, Milziade persuade lo stato maggiore a passare all’azione (questo nel momento in cui, come pensano alcuni, i Persiani imbarcavano la loro cavalleria per recarsi dall’altra parte dell’Attica?). Erodoto insiste sullo straordinario eroismo degli Ateniesi che si scagliarono contro un nemico molto superiore di numero. Soprattutto, lo svolgimento della battaglia mostra la maturità tattica della falange ateniese, che pur sfondata al centro, sguarnito per mancanza di effettivi, è superiore nelle ali, dove peraltro non commette l’errore di inseguire i fuggiaschi, ma si chiude a tenaglia per annullare il vantaggio ottenuto dai Persiani al centro del fronte della battaglia. Con 192 morti, i cui resti furono sepolti sul posto, sotto un tumulo ancor oggi visibile, contro piú di 6000, gli Ateniesi trionfano.
Dati ritorna in Asia senza tentare altri sbarchi: i suoi avversari, tornati in tutta fretta ad Atene, lo hanno dissuaso dal farlo (Erodoto ricorda qui, per smentirla, l’accusa, diffusa probabilmente dagli avversari politici, secondo la quale gli Alcmeonidi sarebbero stati pronti a consegnare la città ai Persiani, mentre essi erano tutt’al piú favorevoli a un’alleanza con il Gran Re: cfr. supra). Per i Persiani, questa disfatta è insomma abbastanza secondaria poiché due dei loro principali obiettivi (sottomissione dell’Egeo e punizione di Eretria) sono stati raggiunti. Anziché rancore nei confronti degli Ateniesi, Dario, morto nel 486, lascia invece in eredità al figlio Serse la necessità di un recupero dell’impero (cfr. infra). Di contro, i successi dei suoi «maratonomachi» (combattenti di Maratona, tra i quali il fratello di Eschilo, che ebbe la mano mozzata mentre abbordava la poppa di una nave persiana) apportano ad Atene un immenso prestigio, e la vittoria consacra il nuovo regime rafforzando al contempo il partito della resistenza ai Persiani. Inoltre, l’evento conferma la superiorità degli opliti. Tuttavia, non è solo da questi che dipenderà la salvezza dei Greci dieci anni piú tardi.
Carta 8.
Le guerre persiane.
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3. L’intermezzo tra le due guerre.
Milziade è ben presto screditato da una spedizione contro Paro le cui motivazioni sono poco chiare: l’impresa, che va male, gli costa un processo e una forte ammenda che sarà saldata dal figlio Cimone dopo la sua morte (per una ferita alla coscia subita a Paro e che era andata in cancrena). Ormai, la figura decisiva ad Atene è quella di Temistocle. La sua origine è nota (il padre appartiene a un genos di secondo piano, i Licomidi, mentre la madre si pensa che fosse barbara), ma l’esatta cronologia della sua azione resta discussa, in particolare la relazione tra il suo arcontato del 493/492 e l’ambiziosa politica navale che egli mette in atto a partire dal 483/482. Essa pare inserirsi nel quadro di feroci lotte per il predominio tra fazioni, in cui sembra infine avere la meglio la corrente democratica. A partire dal 487/486, gli arconti sono estratti a sorte e la loro funzione, che perde al contempo una parte della sua coloritura aristocratica e della sua efficienza politica, si trova sempre piú limitata ad attribuzioni amministrative e protocollari (il polemarco Callimaco, morto a Maratona, è l’ultimo ad avere combattuto con gli strateghi). Senza che sia possibile coglierne tutte le implicazioni, si succedono gli ostracismi, il primo contro un parente dei Pisistratidi rimasto ad Atene, Ipparco figlio di Carmo (488/487), poi contro Santippo, il padre di Pericle (485/484) e contro Aristide, portavoce della classe degli opliti, che passa per «conservatore» a causa della sua ostilità alla politica navale di Temistocle (483/482). Di fatto sono i teti, vale a dire i piú modesti, a fornire la maggior parte dei quasi 170 rematori necessari a una trireme (nave da battaglia per eccellenza a partire dall’ultimo quarto del VI secolo), mentre lo sviluppo della marina non è privo di legami con l’evoluzione del regime politico (cfr. capp. XI e XIII).
Temistocle sembra avere gettato le basi di questo sviluppo nel 493/492, con il progetto di costruire un porto al Pireo, sito perfettamente adeguato con le sue tre anse di Cantaro, Zea e Munichia, mentre Atene fino ad allora era rimasta pressoché priva di infrastrutture di questo tipo. Ma il passo decisivo è compiuto nel quadro del conflitto senza fine che oppone la città alla sua vicina Egina, e che ha ripreso vigore nel corso di questi anni: Temistocle ne trae pretesto per far passare la sua «legge navale», dopo avere persuaso i suoi compatrioti inizialmente reticenti a non dividersi, com’era usuale, i guadagni di un nuovo giacimento di piombo argentifero scoperto nel massiccio del Laurio, ma dedicarli alla costruzione di triremi, al costo unitario di almeno un talento (Atene non sembra affatto averne possedute prima, se non in numero ridotto). In un secondo tempo, la misura viene estesa all’insieme dei rendimenti del Laurio, il che permette agli Ateniesi, che s’improvvisano marinai, di allineare 200 triremi al momento dell’invasione di Serse. Secondo Erodoto, è perché aveva previsto tutto ciò che Temistocle procedette a questo armamento senza precedenti, mentre Tucidide gli attribuisce persino un disegno visionario, quello di dotare Atene di una forza capace di assicurarle l’egemonia: la conoscenza di esempi del passato, come l’assedio inefficace condotto alla fine del VII secolo da Sadiatte e successivamente da Aliatte, re di Lidia, contro i Milesii padroni del mare, avrebbe potuto essere per lui fonte di ispirazione. In ogni caso, risulta capitale la svolta che condizionerà le relazioni politiche e la strategia in Grecia per tutto il secolo, e Pericle non farà che riprendere a sua volta questi principî per applicarli sistematicamente. Temistocle si afferma inoltre come un temibile politico, esperto in manipolazione dell’opinione pubblica e in disinformazione (cfr. le pressioni esercitate sulla Pizia, inizialmente favorevole ai barbari, e il famoso oracolo secondo il quale Atene si sarebbe salvata grazie a un «muro di legno», opportunamente interpretato nel senso che la salvezza sarebbe stata raggiunta grazie alle triremi, mentre molti Ateniesi vi avevano visto un incoraggiamento a innalzare una palizzata sull’Acropoli). Questo gli permette non solo di controllare l’opinione pubblica ateniese, ma anche di essere l’eminenza grigia dello stato maggiore alleato durante la guerra, mentre Sparta è stata designata come capo della coalizione.
4. La seconda guerra.
Dopo avere domato rivolte che riguardavano altre parti del suo regno (Egitto, Babilonia), Serse riprende i progetti di conquista occidentale di suo padre, spinto da Mardonio, la cui insistenza trova un sostegno opportuno nell’appello di alcuni Tessali (Alevadi di Larissa). L’esercito, riunito al termine di preparativi molto lunghi, è considerevole se si crede a Erodoto, che si compiace nel descriverne le vari componenti: 1,7 milioni di fanti, 80 000 cavalieri e una flotta che comprende tra l’altro 1207 triremi, di cui un quarto circa ha equipaggi greci (Ioni, Insulari, ecc.). Di queste cifre, solo l’ultima è parsa accettabile ad alcuni, ma di norma gli studiosi diminuiscono l’effettivo reale a 600 navi e tra i 60 000 e i 200 000 soldati, il tutto apparentemente privo di coesione, tranne l’élite dei Persiani di cui Erodoto vanta il valore (cfr. il corpo dei 10 000 «Immortali», cosí chiamati perché un uomo morto o malato vi era subito rimpiazzato, cosí che l’effettivo restava costante). Nella primavera del 480, queste truppe guidate da Serse in persona attraversano ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Storia del mondo greco antico
  3. Premessa all’edizione italiana
  4. Premessa
  5. Nota del curatore
  6. Elenco delle illustrazioni
  7. Elenco delle carte
  8. Storia del mondo greco antico
  9. INTRODUZIONE
  10. PARTE PRIMA - La preistoria e l’Età del Bronzo
  11. PARTE SECONDA - L’epoca arcaica
  12. PARTE TERZA - L’epoca classica
  13. PARTE QUARTA - L’epoca ellenistica
  14. Cronologia
  15. Bibliografia
  16. Elenco dei nomi di persona, famiglia e divinità
  17. Elenco dei luoghi, dei popoli e simili
  18. Elenco dei termini greci e latini
  19. Il libro
  20. L’autore
  21. Copyright