Passeggeri notturni
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Passeggeri notturni

  1. 104 pagine
  2. Italian
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Passeggeri notturni

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Informazioni sul libro

Voci che risuonano nell'oscurità di vagoni semivuoti, lampi che scaturiscono da frammenti di conversazione, profumi nascosti negli anfratti della memoria. I titoli di questa singolare raccolta - trenta scritti di tre pagine ciascuno - rappresentano di volta in volta un genere diverso, in un susseguirsi di aneddoti, brevi saggi, racconti fulminei. Li popolano soprattutto figure femminili sfuggenti e indimenticabili, mentre a vicende drammatiche, o amare, si alternano situazioni comiche, sempre in un gioco di specchi tra realtà e finzione. A tenere tutto insieme, come in un mosaico, è una scrittura tersa quanto l'aria notturna, capace di svelare le verità celate nei dettagli dell'esistenza con una magistrale economia di parole. «Un monaco incontrò un giorno un maestro zen e, volendo metterlo in imbarazzo, gli domandò: "Senza parole e senza silenzio, sai dirmi che cos'è la realtà?" Il maestro gli diede un pugno in faccia».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
ISBN
9788858422441

Confessioni 1

La convinzione che chiunque confessi un reato ne sia davvero colpevole è diffusa non solo nell’opinione pubblica, ma anche fra gli appartenenti alle forze di polizia e fra i magistrati. Sembra infatti difficile immaginare che una persona confessi un crimine che non ha commesso. In realtà, purtroppo, si tratta di un’eventualità pericolosamente ripetuta.
Nel 1989 cinque adolescenti confessarono di avere picchiato e stuprato una donna che faceva jogging a Central Park, a New York. In seguito ritrattarono la confessione, dichiarando di essere stati indotti a renderla con forme varie di manipolazione psicologica e violenza fisica.
La ritrattazione non fu creduta e solo dopo molti anni di carcere i ragazzi vennero scagionati grazie alla prova del Dna che portò all’identificazione del vero colpevole.
Jorge Hernández fu accusato dello stupro di un’anziana signora. Sottoposto a un duro interrogatorio molti mesi dopo il delitto, sosteneva di non riuscire a ricordare cosa avesse fatto la notte in cui si era verificata la violenza. Gli investigatori gli dissero allora – mentendo – di avere trovato le sue impronte digitali in casa della vittima e addirittura di avere acquisito filmati delle telecamere di sorveglianza da cui risultava con chiarezza che lui era stato in quel luogo quella notte. Di fronte all’esibizione di queste false prove e di fronte all’offerta di sconti di pena se avesse confessato, Hernández si persuase di non riuscire a ricordare l’accaduto perché, con ogni probabilità, quella notte era ubriaco. Si lasciò cosí convincere ad ammettere un fatto che non aveva commesso. Qualche mese dopo una perizia tecnica stabilí che il suo Dna era incompatibile con quello trovato sulla scena del crimine e lui fu scagionato.
Eddie Lowery confessò l’omicidio di una donna di settantacinque anni fornendo particolari che poteva conoscere solo l’autore del crimine. I test del Dna dimostrarono, molti anni dopo, che il colpevole non era Lowery e che quei particolari erano stati in realtà suggeriti – imbeccati, si dovrebbe dire – dagli stessi ufficiali di polizia che avevano condotto l’interrogatorio
Dal 1976 a oggi, negli Stati Uniti si contano almeno quaranta rei confessi poi scagionati dal test del Dna. Il fenomeno delle false confessioni non è però solo americano.
Fra gli anni Ottanta e gli anni Novanta un gruppo di spietati criminali chiamati «la banda della Uno bianca» terrorizzò l’Emilia Romagna, commettendo un numero enorme di rapine e omicidi. Nel 1994 i componenti della banda furono infine catturati e confessarono i loro delitti, fra cui una serie di rapine per le quali non erano nemmeno sospettati. Per alcune di queste erano stati condannati dei ragazzi, anche a seguito della confessione resa da uno di loro: la confessione di un crimine che non aveva commesso. È probabile che pure in quel caso fossero state messe in atto forme piú o meno intense di coercizione psicologica.
Il problema, dunque, è che le violenze sui sospettati o sui testimoni reticenti non sono solo illegali e immorali, sono anche pericolose per l’accertamento della verità. A parte ogni considerazione etica e giuridica, una confessione ottenuta con la violenza non dà nessuna garanzia di attendibilità.
Tanti anni fa un vecchio poliziotto da cui ho imparato molto su cosa significa fare l’investigatore mi disse una frase che non ho piú dimenticato: «Io non mi fido mai di una confessione cui non ho assistito. E, a dire la verità, non mi fido nemmeno di quelle cui ho assistito, se non so esattamente cosa è successo prima».

Confessioni 2

Il metodo corretto e piú efficace per interrogare un sospettato e cercare di ottenere una sua confessione è tutto il contrario della violenza fisica o morale. Esso si compone in sostanza di quattro passaggi.
In primo luogo è necessario istituire un rapporto fra l’investigatore e il sospettato; bisogna creare un piano di comunicazione in cui i ruoli rimangano distinti ma che produca una condizione di reciproco rispetto. Questa prima fase riduce la tensione e apre la possibilità di un dialogo.
In secondo luogo è necessario che l’investigatore faccia percepire all’indagato di capire le sue azioni, naturalmente senza giustificarle. Di comprendere il contesto che ha determinato il suo gesto criminale, spingendosi talvolta a dire che molti, in condizioni analoghe, avrebbero potuto comportarsi come lui. Questo passaggio serve a collocare il fatto in un quadro di tollerabilità psicologica – attenua l’ansia dell’interrogato – e a distinguere fra la persona dell’indagato (verso la quale l’investigatore mostra disponibilità all’ascolto) e la sequenza di accadimenti che hanno portato a un epilogo tragico.
La terza fase, delicatissima dal punto di vista pratico ed etico, consiste nella cosiddetta proiezione delle responsabilità. Se è possibile, bisogna spostare psicologicamente parte della responsabilità su un’entità esterna all’indagato – l’ambiente sociale, la famiglia, una situazione difficile, una provocazione della vittima. Ciò serve a ridurre il peso della colpa e a introdurre il tema delle eventuali attenuanti. La proiezione è fondamentale per superare le resistenze del sospettato, ma è il momento piú pericoloso dal punto di vista etico, perché comporta il rischio di giustificare il reato. Dunque occorre essere ancora molto chiari sul fatto che non si sta legittimando l’accaduto, ma solo tentando di collocarlo nel suo contesto, per comprenderlo adeguatamente.
In questa, come nelle altre fasi, la scelta delle parole è fondamentale. È indispensabile usare espressioni il piú possibile neutre dal punto di vista emotivo. Per intenderci, non si devono adoperare parole come stupro, omicidio, morto, delitto e simili, ma espressioni come fatto, incidente, episodio. Le espressioni cariche dal punto di vista emozionale (come, appunto, stupro, omicidio, morto, delitto) riportano il soggetto alla gravità del suo comportamento, evocano conseguenze indistinte e paurose, riducono le possibilità di una confessione.
La parole giuste sono importanti, in questo e altri contesti, piú di quanto si possa immaginare. Come ha scritto un linguista francese, Brice Parain, detto non a caso lo Sherlock Holmes del linguaggio, le parole sono pistole cariche.
Il quarto passaggio del metodo consiste nell’offrire onesti incentivi alla confessione. Non bisogna certo fare promesse che non è possibile mantenere, come prospettare un’assoluzione, una pena minima o un’immediata scarcerazione; occorre però far capire con chiarezza che una confessione sincera ed esauriente, da cui sia possibile ricostruire cosa è effettivamente accaduto, può garantire molti benefici, attenuanti generiche e riduzioni di pena.
L’investigatore – poliziotto, carabiniere o pubblico ministero – in grado di fare tutto questo con efficacia è assai diverso da certi stereotipi cinematografici, televisivi o giornalistici. È una persona in grado di vedere le cose da piú punti di vista, di notare i dettagli e percepire le sfumature, poco incline ai giudizi sommari e soprattutto munito di una dote fondamentale (non solo nelle indagini): la capacità di nutrire dubbi e, in ogni momento, di mettere in discussione con intelligenza le proprie certezze.

Il biglietto

Casimer accompagna le ragazze dall’appartamento in cui vengono tenute prigioniere al luogo in cui devono prostituirsi. Viaggiano in treno, è piú sicuro. Se stai guidando un furgone con sei o sette puttane e la polizia ti ferma, sei nei casini. In treno invece non corri rischi. Le sorvegli, ma se arrivano gli sbirri fai finta di non conoscerle. Sei lí per caso e le recuperi quando il controllo finisce.
A Casimer piace il suo lavoro. E la parte che gli piace di piú è quando qualcuna cerca di scappare e bisogna andare a riprenderla e farle capire che non deve riprovarci. Farlo capire a lei e alle altre. A volte Casimer usa le mani, a volte il rasoio, altre volte ancora l’acido.
A Casimer piace la loro faccia terrorizzata. Gli piace quando lo implorano di non farlo. Gli piace l’odore che emanano in quei momenti. A volte addirittura si pisciano addosso. Questo senso di potere assoluto è meglio di una scopata, è meglio della coca, è meglio di tutto.
Casimer dice che il treno è il suo ufficio. Quando viaggia verso casa, dopo aver riaccompagnato le ragazze, si fa una dormita veloce. Non piú di mezz’ora e lui si sveglia sempre due o tre minuti prima che il treno entri in stazione.
Anche stavolta si sveglia e si avvia verso le porte attraversando il vagone deserto. Guarda fuori e pensa che, strano, deve essersi svegliato in anticipo, perché ancora non si vedono le luci della periferia. Dunque aspetta, ma passano almeno dieci minuti e il treno continua a viaggiare veloce nel buio.
Casimer mette una mano in tasca per prendere il cellulare e vedere che ora è, ma non lo trova. Prova a pensare dove potrebbe averlo perso, solo che non riesce a ricordare cosa ha fatto subito prima di salire sul treno. In realtà, avvertendo un principio di panico, si rende conto di non ricordare nemmeno a quale stazione è salito. Forse per il futuro sarà bene andarci piano con la coca. Comunque ora stai calmo, si dice. Cerca qualcuno su questo maledetto treno e fatti dire che ora è e dove siamo.
Cosí passa nell’altro vagone e lo percorre tutto. Non c’è nessuno. Dà i brividi questo cazzo di treno, e poi va sempre piú veloce, e questa cazzo di campagna è sempre piú buia.
Finalmente, entrando nel quarto, o forse nel quinto o nel sesto vagone, Casimer vede un controllore che cammina rapido. Che strano, ha i capelli lunghi. Lunghissimi. Mai visto un controllore con i capelli tanto lunghi.
– Ehi, – grida Casimer, ma quello non sente e passa – scompare – nell’intercomunicante. Casimer lo segue, accelerando, quasi di corsa. Quando arriva nell’altra carrozza, però, non vede nessuno; le luci sono basse, anzi è buio. Adesso il panico si fa piú difficile da controllare. Solo alla fine del corridoio si accorge di una persona seduta accanto a un finestrino. Sembra assopita e a Casimer ci vuole qualche istante per rendersi conto che è il controllore.
– Benvenuto, – gli dice quello senza voltarsi.
Che cazzo vuol dire benvenuto? Mai sentito un controllore che dice benvenuto. Il controllore chiede il biglietto e basta. Ah, certo, il biglietto. Casimer si fruga nelle tasche. L’altro rimane seduto, appoggiato al finestrino, la faccia rivolta verso l’oscurità di fuori.
– Non trovo… non trovo il biglietto, – balbetta Casimer.
– Non c’è bisogno del biglietto, – risponde il control...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Passeggeri notturni
  4. Quarto potere
  5. Draghi
  6. Aria del tempo
  7. Calligrafia
  8. Articolo 29
  9. Un addio
  10. Confessioni 1
  11. Confessioni 2
  12. Il biglietto
  13. Tahiti
  14. Pezzi grossi
  15. Sinceramente
  16. Canestri
  17. Stanlio e Ollio
  18. La scorta
  19. Mario bis
  20. Poliziotto buono
  21. Contagio
  22. Binari
  23. La riduzione delle tasse
  24. Avvocati
  25. Profezie
  26. Tutta la verità
  27. Epitaffio
  28. Tranelli
  29. Scrivanie vuote
  30. Il riassunto
  31. Rane
  32. Nelle Ardenne
  33. Stanze
  34. Il libro
  35. L’autore
  36. Dello stesso autore
  37. Copyright