Il costituzionalista riluttante
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Il costituzionalista riluttante

Scritti per Gustavo Zagrebelsky

  1. 504 pagine
  2. Italian
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Il costituzionalista riluttante

Scritti per Gustavo Zagrebelsky

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Il volume raccoglie gli scritti di alcuni intellettuali e studiosi che hanno avuto e hanno particolare familiarità, affinità e consuetudine con la sua opera. Ciascuno dei contributi, nell'eterogeneità di impostazione e nella libertà di scelta dei singoli temi, prende spunto da uno degli ambiti di ricerca sviluppati da Zagrebelsky. L'indice di quest'opera rappresenta quindi una sorta di ideale griglia tematica del suo pensiero, con il quale gli autori dialogano e si misurano.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
ISBN
9788858421789
Argomento
Law

PARTE PRIMA

La prudenza costituzionale

Il diritto mite

MARIO DOGLIANI

La vertigine del fondamento

1. Questo scritto non ha le caratteristiche di un saggio, per quanto breve. È un insieme di annotazioni e di pensieri che – in altri tempi – sarebbero stati piuttosto affidati a uno zibaldone, o a una lettera, indirizzata allo stesso studioso qui omaggiato, per mettere a fuoco una comune «attrazione» e una diversità di approdi.
Anche se Bobbio diceva che è meglio prendere le mosse da un fatto invece che da una citazione, inizio con due citazioni: una tratta da La religione entro i limiti della sola ragione, di Kant, e l’altra da Giuseppe e i suoi fratelli. Le storie di Giacobbe, di Thomas Mann.
Dice Kant:
Che il primo fondamento soggettivo dell’accettazione di massime morali sia impenetrabile, è facile scorgere. Infatti, poiché questa accettazione è libera, il fondamento di essa (perché, ad esempio, ho adottato una cattiva piuttosto che una buona massima) non bisogna cercarlo in un impulso naturale, ma sempre piú oltre in una massima: e siccome bisogna che questa abbia ugualmente il suo fondamento, ma non si può, né si deve, oltre la massima, addurre alcun fondamento determinante il libero arbitrio, si vien respinti indietro sempre piú lontano fino all’infinito nella serie dei fondamenti soggettivi di determinazione, senza poter arrivare alla ragione prima1.
E piú avanti:
... la libertà dell’arbitrio ha il carattere del tutto particolare di non poter essere determinata da un atto per mezzo di un movente se non in quanto l’uomo abbia assunto questo movente nella sua massima (se cioè egli non l’abbia presa per sua regola generale, secondo la quale egli vuol comportarsi). Solo cosí un movente, qualunque esso sia, può sussistere unitamente alla spontaneità dell’arbitrio (con la libertà). Solo la legge è per se stessa un movente, a giudizio della ragione, e chi la prende per sua massima è moralmente buono. ... L’intenzione, cioè il primo fondamento soggettivo dell’accettazione delle massime, non può essere che una sola e si estende universalmente all’intero uso della libertà. Ma bisogna che essa sia stata accettata anche mediante il libero arbitrio, perché altrimenti non sarebbe imputabile. Di tale accettazione non si può conoscere, a sua volta, né il fondamento soggettivo, né la causa (perché – sebbene sia inevitabile questa ricerca – bisognerebbe altrimenti addurre inoltre una massima in cui sia accettata questa intenzione, la quale a sua volta abbisognerebbe d’un proprio fondamento). Dal momento dunque che non possiamo affatto dedurre questa intenzione o piuttosto il suo fondamento supremo da un qualsiasi atto iniziale dell’arbitrio nel tempo, noi la chiamiamo una proprietà dell’arbitrio, al quale spetta per natura (benché effettivamente essa sia fondata sulla libertà)2.
Questa serrata argomentazione intorno al primo fondamento soggettivo dell’accettazione di massime morali colpisce il giurista perché si trova qui delineata la questione, il rompicapo, dell’«origine» della normatività in termini analoghi a quelli kelseniani. Per quanto debole sia la preparazione filosofica dei giuristi, sono tuttavia noti i rapporti di Kelsen con il kantismo (se non altro per la ripetuta affermazione circa l’influenza che su di lui ebbe la Scuola kantiana di Marburgo). Ma soprattutto, in queste parole – ed è questo che qui interessa – è messo con forza in primo piano il senso di vertigine che il problema pone: quell’essere «respinti indietro sempre piú lontano fino all’infinito nella serie dei fondamenti soggettivi di determinazione, senza poter arrivare alla ragione prima».
Analogo è il problema che pone Mann, su tutt’altro piano: per quel che riguarda non il carattere «impenetrabile» del primo fondamento soggettivo dell’accettazione di massime morali, ma il carattere «imperscrutabile» del passato dell’uomo, dei primordi dell’umano. Anche qui un vertiginoso retrocedere all’infinito alla ricerca dell’origine.
Il Prologo di Giuseppe e i suoi fratelli è intitolato: Discesa agli inferi, e inizia cosí:
Profondo è il pozzo del passato. O non dovremmo dirlo imperscrutabile?
Imperscrutabile anche, e forse allora piú che mai, quando si discute e ci si interroga sul passato dell’uomo ... : di questo essere enigmatico che racchiude in sé la nostra esistenza ... e il cui mistero ... forma l’alfa e l’omega di tutti i nostri discorsi e di tutte le nostre domande, dà fuoco e tensione a ogni nostra parola, urgenza a ogni nostro problema. Perché appunto in questo caso avviene che quanto piú si scavi nel sotterraneo mondo del passato, quanto piú profondamente si penetri e cerchi, tanto piú i primordi dell’umano, della sua storia, della sua civiltà si rivelano del tutto insondabili e, pur facendo discendere a lontananze temporali favolose lo scandaglio, via via e sempre piú recedono verso abissi senza fondo. ... l’inesplorabile si diverte a farsi gioco della nostra passione indagatrice, le offre mete e punti d’arrivo illusori, dietro cui, appena raggiunti, si aprono nuovi tratti del passato, come succede a chi, camminando lungo le rive del mare, non trova mai termine al suo procedere, perché dietro ogni sabbiosa quinta di dune, a cui si prefiggeva d’arrivare, altre ampie distese lo attraggono piú avanti, verso nuovi promontori3.
Un movimento che può essere inteso come un essere attratti o un
... lasciarci sospingere indietro, di prospettiva in prospettiva, sempre piú indietro, verso una nuova quinta di sabbia, all’infinito4. ... In quale epoca dobbiamo situare i fondamenti della civiltà umana? Quanto è antica?... basta porre questa domanda perché davanti a noi si riapra, beffardamente, la prospettiva di quelle quinte di sabbia5. ... Probabilmente ... Atlantide ... rappresenta l’ultima quinta ancora oscuramente visibile tra le brume del passato, ma difficilmente anche quell’Atlantide sarà stata la patria originaria dell’uomo parlante6.
2. Perché la lettura di questi passi mi ha evocato l’immagine di Zagrebelsky? Perché in Zagrebelsky ho sempre visto questa attrazione verso il «prima» del diritto, verso ciò che dal diritto è «presupposto», verso le quinte di sabbia che continuamente si ripropongono al giurista che voglia scandagliare il senso dell’oggetto cui si dedica, che voglia uscire dalla «grettezza» dell’esegesi, e dunque arricchire il senso del suo lavoro e riportarlo alla piena dignità che deve condividere con tutte le scienze morali.
L’andare oltre i testi, le norme, le istituzioni, alla ricerca di un primum che fondi il diritto, non è un atteggiamento diffuso tra i giuristi di oggi. Ben pochi sembrano ancora preoccuparsi dell’ipotesi che,
... passando oltre a testi e a norme, considerati, quelli e queste, come epifenomeni, la realtà della costituzione [possa] rintracciarsi nella sottostante struttura socio-politica, o nella struttura socio-economica, della comunità statale7.
I concetti di Costituzione in senso materiale e di indirizzo politico sono desueti, come pure è desueta la stessa idea (piú ampia e meno definita di quella di Costituzione in senso materiale) di «fondamento materiale» della Costituzione, o di «necessario elemento politico» della Costituzione stessa. Elemento politico (la Costituzione come loi politique, come legge sul dominio politico) del quale consistenti correnti dell’attuale costituzionalismo pensano si possa fare a meno. Correnti maggioritarie rispetto a quelle che si ostinano a rilevare la condizione di «orfananza»8 della Costituzione rispetto alla politica: la Costituzione abbandonata dalla politica, e la politica abbandonata dai costituzionalisti. Le tracce di istituzionalismo presenti nei dibattiti di molti anni fa sulle autonomie locali, sul regionalismo, sui rapporti Stato – confessioni religiose, sulle «parti sociali», sulla loro concertazione e sulla loro partecipazione alla programmazione economica e alla pianificazione territoriale, si sono eclissate. È in piena salute invece il neocostituzionalismo con forti venature giusnaturalistiche: ma non si tratta di una costruzione «appassionatamente concreta»9 tra scienze giuridiche, storiche e sociali, quanto piuttosto di un tentativo di affermare un assoluto «prima» del diritto prodotto dal conflitto politico, capace non tanto di offrire piú solidi fondamenti al diritto stesso, quanto di aprirlo allo sviluppo della filosofia morale, della filosofia pratica ... e di collegare stabilmente a quegli sviluppi il discorso innanzi tutto della legis dictio, ma anche della legis latio.
Ed è su questo che mi intratterrò brevemente. Dove ci conduce la vertiginosa attrazione del «prima», o il continuo presentarsi di nuove e lontane dune di sabbia quando sembra di essere giunti alla fine del cammino?
3. La formula «La Costituzione come norma giuridica»10 ha indubbiamente avuto il pregio di mettere la Costituzione nelle mani di tutti coloro che sono chiamati ad applicare il diritto: ha dunque propriamente radicato la Costituzione nell’ordinamento giuridico effettivo e nel mondo dei giuristi. Ha però avuto anche l’effetto di isterilire il costituzionalismo, sotto tre profili: a) espungendo, dall’area di competenza del costituzionalismo stesso, il problema della legittimità del potere come insopprimibile e autonomo campo d’indagine che il costituzionalismo condivide con la filosofia e con le scienze sociali (cioè espungendolo come problema non tacitabile con la formula – per quanto giuridicamente esatta – «è legittimo il potere in quanto esercitato conformemente a Costituzione»); b) espungendo l’elemento politico della Costituzione stessa, ove per «elemento politico» si intende (la consapevolezza de) il fatto che l’oggetto della Costituzione-atto è la disciplina di quel particolare campo dell’attività umana che è l’esercizio del dominio politico, e che essa stessa è un atto attraverso il quale si esercita tale dominio; c) collocando il problema dell’attuazione costituzionale nel «recinto del giudice», come un problema di soddisfacimento dei diritti costituzionali (singulatim anziché generatim atque universe), piuttosto che in quello della rappresentanza politica, e concorrendo quindi a diffondere una concezione svalutativa dell’attività politica stessa, da un lato, e dell’obbligazione politica (cioè del ruolo dei doveri inderogabili), dall’altra.
Zagrebelsky supera questa barriera – la barriera che potremmo definire del «la Costituzione è norma giuridica, e piú non dimandare» – volgendosi non tanto al nesso della Costituzione con la politica (anche se la sua attenzione per la Costituzione in senso materiale di Mortati è significativa), quanto spingendo piú a fondo lo sguardo nel rapporto tra Costituzione e società.
Considerando i principî stabiliti dalla Costituzione come «il massimo atto d’orgoglio del diritto positivo, in quanto costituiscono il tentativo di “positivizzare” quel che, per secoli, si era considerato appannaggio del diritto naturale», affermando che «i diritti stanno nella Costituzione e la Costituzione è, per definizione, una determinazione politica, anzi: la massima tra tutte le determinazioni politiche»11, sembrerebbe che la strada per «andare oltre» testi e norme sia giunta al termine. Le Costituzioni sono una determinazione politica; sono deliberate da assemblee che esprimono il pluralismo della «Costituzione materiale»; è l’eccezionalità del momento costituente che spinge questa deliberazione – la manifestazione piú alta di diritto positivo – a presentarsi «non come volontà di una parte che si impone sull’altra, ma come espressione di un equilibrio obbiettivo»12. Sembrerebbe, giunti a questo punto, che non ci sia piú alcun passo ulteriore da fare, né dal punto di vista storico, né da quello dell’anatomia della società (sia che la si voglia realizzare con i mezzi dell’economia politica, sia con quelli della filosofia o della sociologia). La Costituzione è un atto politico, ma contemporaneamente è un atto giuridico valido: i suoi contenuti sono validi perché in essa sono sanciti.
Che cosa cambia rispetto alla teoria giuridica della validità (pur nelle sue numerose varianti)? Sembrerebbe nulla. Ma il cammino non si ferma qui. Ed è questo quel che cambia. E allora bisogna chiedersi per quale strada procede il cammino di Zagrebelsky, che non si ferma all’affermazione della politicità-validità della Costituzione, ma procede alla ricerca del fondamento del fondamento del fondamento... oltre la quinta di dune, la quinta di dune, la quinta di dune...
Procede per una strada, mi sembra, retta da due contrafforti (o per un ponte sorretto da due pilastri). Il primo pilastro si erge sulla concezione della democrazia (e delle Costituzioni democratiche) come fine in sé. Se
... nei momenti costituenti le volontà politiche dei soggetti politici si coordinano in vista di uno scopo comune: dettare principî al di sopra degli interessi particolari di ognuno per consentire la convivenza di tutti13,
ne consegue che quello scopo comune (consentire la convivenza di tutti) è anche uno scopo ultimo, e che è uno scopo ultimo che quel pluralismo sia mantenuto. Questo introduce indubbiamente un elemento di fissità. I principî costituzionali non sono compromissori-armistiziali, fondati su una convenzione (un calcolo di utilità e una aspettativa di reciprocità) e sottoposti alla condizione rebus sic stantibus; non sono aperti, anch’essi, al divenire storico (come era nel contesto in cui prevaleva la concezio...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il costituzionalista riluttante
  3. Introduzione
  4. Il costituzionalista riluttante
  5. PARTE PRIMA. La prudenza costituzionale
  6. PARTE SECONDA. Il diritto costituzionale
  7. PARTE TERZA. La giustizia costituzionale
  8. Il libro
  9. Copyright