Il fratello
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Il fratello

  1. 648 pagine
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«Siamo una famiglia. E dobbiamo restare uniti perché non abbiamo nessun altro. Amici, fidanzate, vicini, compaesani, lo Stato. Non sono che un'illusione e non valgono un cazzo il giorno in cui ti ritrovi veramente nel bisogno. Allora saremo noi contro loro, Roy. Noi contro tutti quanti gli altri».Sono anni che Roy gestisce una stazione di servizio in un paesino tra le montagne, su al Nord, facendo una vita tranquilla e ritirata. Carl, il fratello minore, se ne è andato da tempo in Minnesota dove è diventato imprenditore e da allora di lui non è arrivato che l'eco del suo successo. Ma ora che Carl è inaspettatamente tornato con il grandioso progetto di costruire un hotel e trasformare il paese in una località turistica, Roy si trova di nuovo a doverlo difendere dall'ostilità e dai sospetti degli altri. Come quando erano ragazzi, Roy cerca di proteggere Carl, ma suo malgrado si ritrova risucchiato in un passato che sperava sepolto per sempre. Dall'incontrastato maestro del crime scandinavo - 40 milioni di copie nel mondo - un thriller sulle menzogne, i segreti, i tradimenti nascosti dietro la rassicurante facciata della vita familiare.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858434949

Parte terza

12.

Lo venni a sapere attraverso il buco del tubo della stufa una sera tardi. Avevo sedici anni e mi ero quasi addormentato al suono del parlottio ininterrotto che saliva dalla cucina. Come al solito a parlare era mamma, delle cose da fare, dei progetti da elaborare. Niente di che. Inezie pratiche di tutti i giorni. Papà diceva quasi soltanto sí e no. Le rare volte in cui non era d’accordo, la interrompeva e con frasi concise le diceva come stavano le cose e come andavano fatte, o nel caso, non fatte. Lo faceva quasi sempre senza alzare la voce, ma dopo in genere lei stava zitta per un po’. Poi riprendeva a parlare con calma di tutt’altro, come se l’argomento precedente non fosse mai stato affrontato. Sembra strano, lo so, ma non ho mai conosciuto bene mia madre. Forse perché non la capivo, perché non mi interessava abbastanza, o perché accanto a papà era cosí ritrosa da sparire letteralmente ai miei occhi. Certo, è strano che la persona con cui sei stato piú intimo, che ti ha dato la vita, con cui hai passato ogni giorno dei tuoi diciotto anni, possa rimanere un mistero al punto che ignori di sana pianta cosa pensi o senta. Era felice? Cosa sognava? Perché parlava con papà, ma meno con Carl e quasi mai con me? Mi capiva poco quanto io capivo poco lei? Solo una volta avevo intravisto la persona che c’era dietro mamma in cucina, mamma nella stalla, mamma che rammendava i panni e diceva che dovevamo obbedire a papà, ed era stata la sera della festa per i cinquant’anni di zio Bernard al Grand. Dopo la cena nella sala roccocò, gli adulti avevano aperto le danze sulle note della musica di un trio di uomini grassi in giacche bianche, e mentre Carl visitava l’albergo io ero rimasto seduto al tavolo e avevo osservato mamma guardare le persone che ballavano con un’espressione che non le avevo mai visto prima: trasognata, con un abbozzo di sorriso e lo sguardo un po’ velato. E per la prima volta nella mia vita mi ero reso conto che mia madre poteva essere bella, bella mentre era là seduta a canticchiare con indosso un vestito rosso intonato al drink che aveva davanti. Non l’avevo mai vista bere alcolici, a parte la sera della vigilia di Natale, e anche in quell’occasione solo un bicchierino di acquavite, e con voce insolitamente affabile aveva chiesto a papà di ballare. Lui aveva scosso il capo, ma sorridendole, forse vedeva quello che vedevo io. Allora si era avvicinato al nostro tavolo un signore, un po’ piú giovane di papà, e aveva invitato mamma a ballare. Papà aveva preso un sorsetto di birra, poi aveva annuito e sorriso, quasi con orgoglio. Mio malgrado, avevo seguito con lo sguardo mamma sulla pista da ballo. Speravo solo che la situazione non diventasse troppo imbarazzante. L’avevo vista dire qualcosa al suo cavaliere, lui aveva annuito e poi avevano cominciato a muoversi. Mamma aveva ballato dapprima accostata, poi stretta a lui e infine lontana, veloce, poi adagio. Era proprio brava, cosa che ignoravo completamente. Ma non era solo questo. Il modo in cui guardava lo sconosciuto, con gli occhi socchiusi e quel mezzo sorriso che sembrava appiccicato alla sua bocca, come un gatto che giochi con un topo che ha intenzione di far fuori, ma non subito. Avevo sentito papà cominciare ad agitarsi sulla sedia accanto a me. E mi ero reso conto che la persona sconosciuta non era l’uomo ma lei, la donna che chiamavo mamma. Poi il ballo era finito e lei era tornata a sedersi con noi. Piú tardi quella sera, quando Carl si era addormentato accanto a me nella stanza doppia, avevo udito delle voci in corridoio. Avevo riconosciuto quella di mamma, insolitamente alta e stridula. Mi ero alzato e avevo schiuso appena appena la porta, quel tanto che bastava per vederla davanti alla sua camera. Papà aveva detto qualcosa, mamma aveva alzato il braccio e io avevo sentito uno schiocco. Papà si era portato una mano alla guancia rispondendo con voce sommessa e calma. Lei aveva alzato l’altro braccio colpendolo di nuovo. Poi gli aveva strappato di mano la chiave, aveva aperto la porta ed era entrata nella stanza. Papà, le spalle un po’ curve, aveva indugiato strofinandosi la guancia mentre guardava la porta dove io ero in piedi al buio. Aveva un’aria cosí triste e abbandonata, come un bambino che avesse perso il suo orsacchiotto. Non so se avesse notato che la porta della nostra camera era socchiusa, so soltanto che quella sera avevo intravisto qualcosa che riguardava mamma e papà. Qualcosa che non riuscivo a capire. Qualcosa che non ero sicuro di voler approfondire. E l’indomani, quando eravamo ripartiti per Os, tutto era tornato come prima. Mamma parlava a papà, un continuo, sommesso flusso di informazioni pratiche, mentre lui diceva sí, a volte no, oppure si schiariva la voce con una certa energia e allora lei stava zitta per un po’.
Il motivo per cui quella sera aguzzai l’orecchio era che dopo una lunga pausa fu mio padre a cominciare a parlare. E che dava l’impressione di essersi preparato il discorso. Piú il fatto che parlava a voce piú bassa del solito. Anzi, quasi bisbigliava. Certo, i nostri genitori sapevano che potevamo sentirli attraverso il buco nel pavimento della nostra cameretta, ma non sapevano quanto riuscissimo a sentire. Perché una cosa era il buco, ma il trucco stava nel tubo della stufa, che conduceva e amplificava i suoni, tanto che sembrava di essere seduti di sotto con loro, e io e Carl avevamo concordato che non c’era motivo di farglielo sapere.
– Oggi Sigmund Olsen è venuto a parlarmi, – disse.
– Ah sí?
– Aveva ricevuto quella che ha chiamato una segnalazione da una delle insegnanti di Carl.
– Veramente?
– Ha detto a Sigmund di aver visto in due occasioni Carl con il dietro dei pantaloni insanguinato. E che quando gli aveva chiesto cosa gli era successo, Carl le aveva dato quella che lei definiva una «spiegazione poco credibile».
– E cioè? – A quel punto anche mamma abbassò la voce.
– Olsen si è rifiutato di approfondire, mi ha solo detto che la polizia rurale vuole parlare con Carl. Credo sia obbligatorio informare i genitori quando devono interrogare un minore al di sotto dei sedici anni.
Ebbi la sensazione che qualcuno mi rovesciasse un secchio d’acqua gelata in testa.
– Olsen ha detto che se Carl vuole, possiamo essere presenti. E che per legge Carl non è tenuto a dare spiegazioni, tanto perché lo sapessimo.
– E tu che gli hai detto? – bisbigliò mia madre.
– Che ovviamente mio figlio non si sarebbe rifiutato di dare una spiegazione alla polizia. Ma che preferivamo parlare con lui prima, e perciò sarebbe stato un vantaggio sapere quale fosse la spiegazione poco credibile che aveva dato all’insegnante.
– E che cosa ti ha risposto l’agente rurale?
– Ha traccheggiato. Ha detto che conosceva Carl perché era compagno di classe di suo figlio, com’è che si chiama?
– Kurt.
– Giusto, Kurt. E perciò sa che Carl è un ragazzo sincero e coraggioso, e che personalmente lui credeva alla sua spiegazione. Ha detto che l’insegnante è appena uscita dalla facoltà di Scienze dell’educazione, che oggigiorno inculca agli studenti di notare cose di questo genere, e perciò pensano di vederle ovunque.
– Ma certo che è cosí, santo cielo. E ti ha riferito cosa ha detto Carl all’insegnante?
– Ha detto che si era seduto sul mucchio di tavole dietro il fienile, proprio su un chiodo sporgente.
Aspettai la domanda successiva di mamma. Due volte? Non arrivò. Lei sapeva, aveva capito? Deglutii.
– Oh, santo cielo, Raymond, – si limitò a commentare.
– Già, – disse lui. – Quel mucchio di tavole andava tolto di mezzo tempo fa, magari me ne occupo domani. E poi facciamo una chiacchierata con Carl. Non può farsi male cosí senza dircelo. Un chiodo arrugginito può provocare la setticemia e cose ancora peggiori.
– Sí, dobbiamo parlare con lui. E anche dire a Roy di badare un po’ al suo fratellino.
– Non è necessario, Roy non fa altro. In effetti ho pensato che potrebbe diventare un rapporto un po’ insano, tanto gli bada.
– Insano?
– Sembrano quasi sposati, – disse papà.
Pausa. Ecco, ci siamo, mi dissi io.
– Carl deve imparare a essere piú autonomo, – disse papà. – Ho pensato che è ora che i ragazzi abbiano una stanza ciascuno.
– Ma non abbiamo spazio…
– E dài, Margit, lo sai che non ci possiamo permettere il bagno tra le due camere che volevi. Ma spostare qualche muro e ricavare una camera da letto in piú non costa molto. Potrei farlo io in due, tre settimane.
– Parli sul serio?
– Sí. Comincio nel weekend.
Ovviamente, aveva già bell’e deciso molto tempo prima di ventilare quel progetto di separazione a mamma. E non importava che cosa ne pensassimo io e Carl. Strinsi il pugno e ricacciai indietro le imprecazioni. Lo odiavo, e tanto. Ero sicuro che Carl avrebbe tenuto la bocca chiusa, ma non sarebbe bastato. L’agente rurale. La scuola. Mamma. Papà. La situazione era fuori controllo, in troppi sapevano qualcosa, notavano qualcosa, e presto avrebbero capito tutto. E presto l’ondata di vergogna ci avrebbe sommerso, trascinandoci tutti con sé. La vergogna, la vergogna, la vergogna. Non riuscivo a sopportarlo. Nessuno di noi sarebbe riuscito a sopportarlo.

13.

La notte del Fritz.
Carl e io non vi accennammo mai, ma era il nome che le diedi tra me e me.
Quelle ventiquattro ore iniziarono con una giornata d’autunno scintillante. Avevo diciannove anni e ne erano passati due da quando la Cadillac con a bordo mamma e papà era precipitata nel Salto.
– Va meglio? – domandò Sigmund Olsen ruotando la canna sopra la testa. La lenza si svolse rapidamente e il mulinello emise una sorta di ticchettio che si abbassò di tono, come un uccello che non avevo mai udito prima.
Non risposi, limitandomi a seguire con lo sguardo il cucchiaino che scintillava nel sole per poi sparire in acqua, cosí lontano dalla barca in cui eravamo seduti che non riuscii a sentire se aveva emesso un tonfo. Avevo voglia di domandargli perché bisogna lanciare il cucchiaino tanto lontano visto che uno può portare la barca nel punto dove lo vuole buttare. Forse è perché somiglia di piú a un pesce vivo se nuota grosso modo in orizzontale quando riavvolgi la lenza. Non mi intendo di pesca. Né avevo intenzione di imparare, perciò rimasi zitto.
– Perché anche se non sempre si ha quest’impressione, in effetti è vero, come si dice, che il tempo cura tutte le ferite, – riprese l’agente rurale scostandosi il covone di capelli dagli occhiali da sole. – Almeno parecchie, – aggiunse.
Non sapevo cosa rispondere.
– E Bernard, come sta? – domandò.
– Bene, – risposi. Infatti, non sapevo che gli restavano pochi mesi di vita.
– Mi hanno detto che tu e tuo fratello avete abitato soprattutto a Opgard e poco da Bernard, come vi aveva ordinato di fare l’ente minori.
Neanche a questo sapevo cosa rispondere.
– Comunque, adesso siete abbastanza grandi e non ha piú importanza, quindi non ho intenzione di fare storie, – disse. – Carl va al liceo, vero?
– Sí.
– E se la cava bene?
– Sí –. Cos’altro avrei dovuto dire? Non era una bugia. Carl diceva che pensava ancora molto a mamma, ed era capace di passare giornate e serate intere da solo nel giardino d’inverno a fare i compiti e a leggere e rileggere i due r...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il fratello
  4. Prologo
  5. Parte prima
  6. Parte seconda
  7. Parte terza
  8. Parte quarta
  9. Parte quinta
  10. Parte sesta
  11. Parte settima
  12. Il libro
  13. L’autore
  14. Dello stesso autore
  15. Copyright