Vita e morte delle antiche città
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Vita e morte delle antiche città

Una storia naturale

  1. 632 pagine
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Vita e morte delle antiche città

Una storia naturale

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Dalla fine dell'Età del bronzo all'inizio del Medioevo, da Uruk ad Alessandria, da Persepoli ad Atene e Sparta, e da Cartagine a Roma, la suggestiva epopea dell'ascesa, il declino e la scomparsa delle città antiche le cui rovine non hanno mai smesso di affascinarci. Una storia naturale di guerre e politica, pestilenze e carestie, ingegno e crudeltà, trionfi e tragedie, a volte leggendaria a volte miserevole. Al suo centro il Mediterraneo, che non solo gli antichi Greci e Romani, ma anche Fenici, Etruschi, Persiani, Galli ed Egizi solcarono e popolarono instancabilmente.L'antico Mediterraneo era un ambiente difficile da urbanizzare. Come è stato possibile creare e poi tenere in vita delle città per cosí tanto tempo, in contesti apparentemente cosí poco favorevoli? Come si nutrivano i loro abitanti, dove trovavano l'acqua o i materiali da costruzione e come si comportavano con i loro rifiuti e i loro morti? E perché infine i sovrani decidevano di abbandonarle? E come si abitava in mondi urbani cosí diversi dal nostro? Città immerse nell'oscurità ogni notte, città dominate dai templi degli dèi, città di contadini, di schiavi, di soldati. Alla fine, i protagonisti della storia sono le città stesse. Atene e Sparta, Persepoli e Cartagine, Roma e Alessandria: città che formavano delle grandi famiglie. La loro storia racchiude quella delle generazioni che le hanno costruite e abitate, lasciando in eredità monumenti che da allora hanno ispirato i successivi costruttori di città, e le cui rovine ci rammentano i pericoli e le potenziali soddisfazioni e ricompense di un'esistenza urbana.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
ISBN
9788858435458
Argomento
History
Categoria
World History
PARTE TERZA

L’urbanismo imperiale

Capitolo tredicesimo

Città e impero

Immaginate l’imperatore persiano Dario che osserva il mondo del Mediterraneo alla vigilia della sua mancata invasione della Grecia, con la campagna di Maratona del 490 a.C. Alle sue spalle, l’impero achemenide si estendeva a est attraverso l’Anatolia e la Mesopotamia, fino all’altopiano iranico, per spingersi poi ancora oltre fino all’Afghanistan e, a sud, alle pendici dell’Hindu Kush e ai confini dell’India. Guardando a ovest, le coste e le isole del Mare di Mezzo erano divise in centinaia di città e piccole tribú. Non era solo il mondo dell’Egeo a vivere, combattere e morire in comunità su scala ridotta. Se egli avesse potuto guardare anche oltre, verso le vallate dei Balcani o l’Italia, sulla sponda opposta dell’Adriatico, avrebbe riscontrato la stessa situazione. Tutt’intorno alle Alpi e all’Atlante, lungo le coste dell’attuale Francia e Spagna, in Sicilia e nelle altre isole, il Mediterraneo dell’Età del ferro appariva come un mosaico di minuscoli territori. Sulle sue sponde sorgevano città altrettanto minuscole: greche, fenicie ed etrusche. Nelle vallate e sugli altopiani dell’entroterra si estendevano territori punteggiati di villaggi, fortilizi in cima a colline e federazioni tribali di scarsa coesione. L’impero di Dario si estendeva per quasi 4000 chilometri da ovest a est. L’Attica, lungo il suo asse piú lungo, non raggiungeva neppure i 100 chilometri, e nella realtà delle città-stato era una regione gigantesca. La frontiera occidentale della potenza persiana segnava il confine tra due mondi.
Nei successivi 500 anni, tuttavia, quella linea di demarcazione era destinata a scomparire. La mappa politica del Mediterraneo si trasformò con la comparsa di unità politiche sempre piú grandi. All’inizio, tali unità erano alquanto diverse tra loro. Vennero a stipularsi alleanze, alcune relativamente stabili, come la Lega del Peloponneso creata da Sparta, altre di durata abbastanza breve, come l’alleanza greca in funzione antipersiana. Vi erano stati federali come la Lega etolica, al cui interno si svilupparono alcuni nuclei urbani, oltre a leghe di città come la beotica e piú tardi l’achea, dotate di vere e proprie costituzioni. Città potenti come Atene, Roma, Sparta e Siracusa esercitavano il loro dominio sui paesi vicini in quella forma non ufficiale che definiamo a volte egemonia. Talora, tali potenze si evolsero nel tempo in micro-imperi, altre volte andarono in frantumi. Non mancavano neppure monarchie e gruppi di potere legati tra loro da unioni dinastiche, per esempio nel Nord dei Balcani. Vi erano poi alcuni stati ibridi come quelli del Mar Nero settentrionale o della Francia meridionale, dove le città e i capi dei clan erano strettamente connessi tra loro. La città-stato e il regno furono i due elementi fondamentali della politica mediterranea e da entrambi nacquero progetti imperiali. La maggior parte di essi ebbe vita breve, poiché le pressioni geopolitiche che spingevano alla frammentazione erano molto potenti e le identità e i legami di fedeltà locali molto forti. Tuttavia, a cavallo del millennio, il bacino del Mediterraneo era ormai divenuto un’unica entità politica, un vasto sistema di dominio su cui regnava un unico monarca: l’imperatore romano, che governava su, e attraverso, duemila città e un gruppo di sovrani minori. Questo capitolo ripercorre la lunga storia dall’impero di Dario a quello di Augusto e cerca di capire in che modo venne superata l’estrema frammentazione del mondo mediterraneo.

Un mondo a pezzi.

Gli storici del mondo mediterraneo di epoca premoderna hanno ripreso piú volte l’argomento della frammentazione1. Uno dei motivi per cui nel mondo mediterraneo la città-stato si rivelò una formula di successo è che essa aveva saputo riconoscere e valorizzare le peculiarità locali. La polis fu la piú alta manifestazione politica dell’idea che ciò che è piccolo è bello. Piú di quasi tutti gli altri sistemi politici, essa offriva la possibilità di autodeterminazione a livello locale, o almeno di una politica basata su una partecipazione abbastanza ampia. Dal punto di vista dell’evoluzione sociale, potremmo considerarla come il piú riuscito tra i diversi esperimenti politici locali dell’ultimo millennio a.C. Anche se non mancarono tentativi di creare tirannie e regni, accorpamenti di breve durata di alcune città della Sicilia e stati tribali, le città-stato furono per tutta l’antichità e gran parte del Medioevo l’elemento piú duraturo del paesaggio umano che ruotava intorno all’Egeo e all’Adriatico, nel Mediterraneo occidentale e in molte isole. Regni e alleanze sorsero e scomparvero, ma nel Mediterraneo permangono ancora oggi delle città che vantano una storia di oltre tremila anni.
A fare la differenza fu la geografia stessa del bacino del Mediterraneo. Gli studiosi della preistoria e gli storici sottolineano giustamente le dimensioni ridotte della maggior parte delle isole e delle minuscole piane costiere divise da brulle catene montuose. Le comunità erano come ingabbiate, confinate e modellate dal loro territorio. I viaggi via mare tra città vicine erano spesso piú facili dei viaggi via terra. È stato osservato che perfino alcune zone costiere potevano benissimo considerarsi delle isole se osservate dal punto di vista dei collegamenti con il mondo esterno2. La frammentazione geografica e le sue conseguenze hanno rivestito una particolare importanza nei recenti studi di storia e archeologia del Mediterraneo3. Buona parte dell’antico Mare di Mezzo era povera e fragile, per lo meno se paragonata a regioni adiacenti come l’entroterra europeo o la Mezzaluna fertile. I terreni della regione mediterranea erano spesso difficili da coltivare e a costante rischio di siccità. Eppure, quella stessa frammentazione era anche una manna, dato che le microregioni in cui era diviso il territorio raramente si trovavano sottoposte contemporaneamente alle medesime difficoltà ambientali: una possibilità di aiuto – o quantomeno di approvvigionamento – la si poteva trovare appena oltre il promontorio piú vicino4. La storia del Mediterraneo è diventata la storia di collegamenti necessari – in canoe o imbarcazioni a vela, con il commercio e le migrazioni, la pirateria, la guerra e, infine, l’impero.
Il bacino del Mediterraneo non risulta frammentato in modo uniforme né tutte le popolazioni sono esposte agli stessi livelli di rischio. Le coste dell’Egeo della Grecia continentale sono per esempio soggette a siccità molto piú spesso delle coste tirreniche italiane. Il terreno, nato dall’erosione di catene montuose carsiche, non possiede certo la fertilità delle terre vulcaniche della Toscana e della Campania. Le estati mediterranee sono molto piú roventi a sud di quanto non lo siano sulle coste settentrionali, e molti litorali del Nord sono strettamente collegati a basse catene montuose che forniscono acqua e legname. Alcune terre del Mediterraneo sono relativamente ben irrigate: la bassa valle del Rodano nel Sud della Francia, la pianura del Po nell’Italia settentrionale, le regioni dell’Egeo settentrionale, il Delta del Nilo e le valli dei fiumi piú grandi che sfociano nell’Egeo dall’altopiano anatolico. Non tutte le isole sono piccole, e le centinaia di isolette degli arcipelaghi dell’Egeo spariscono di fronte a Corsica, Sardegna, Sicilia, Creta e Cipro. Analogamente, alcune regioni come la pianura della Tessaglia o il Maghreb risultano molto meno frammentate5. Alcune isole non godevano all’epoca di buoni collegamenti, come nel caso degli arcipelaghi di Malta e delle Baleari. Le città-stato prosperavano nelle isole dell’Egeo ma anche sulle coste di ricche regioni agricole come le terre del Mar Nero settentrionale e della Cirenaica, l’attuale Libia orientale. Il termine «mediterraneo», che caratterizza formalmente un certo tipo di clima ed è regolarmente riferito a specie vegetali e animali tipiche della regione, appare storicamente una categoria calzante ma che risente altresí di una certa flessibilità. Il Mare di Mezzo presenta alcuni tratti comuni, ma è anche uno spazio vuoto racchiuso tra tre continenti, ciascuno con caratteristiche proprie. L’Europa, inoltre, non è che un promontorio della piú grande entità eurasiatica, aperta sia verso la steppa sia verso il mare. Allo stesso modo, il Levante rappresenta da un lato uno dei confini della Mezzaluna fertile, mentre dall’altro le sue coste meridionali sono collegate sia ad altre società africane dal mare di sabbia del Sahara, che si espande e si restringe nel tempo, sia ad altri popoli del mare.

Imperi tributari dell’Eurasia occidentale.

La varietà di queste alternative geopolitiche che vengono a intersecarsi rendeva il Mediterraneo un mondo con difficili collegamenti politici, almeno in una forma stabile. L’impero persiano, nonché quelli precedenti dell’Asia sud-occidentale, non costituiva un valido modello per i costruttori di un impero mediterraneo. La sconfitta di Dario I da parte dei Greci asiatici e le fallite invasioni persiane – di Dario e di Serse – fecero sí che nessun greco cercasse espressamente di prendere a modello la Persia achemenide, cosí come alcuni tiranni del passato avevano fatto con la Lidia e l’Egitto del tardo periodo. Negli anni che seguirono il fallimento delle invasioni persiane all’inizio del V secolo a.C., il termine mēdismós divenne un termine politico offensivo rivolto ai Greci accusati di essersi schierati dalla parte dei barbari. Le Storie di Erodoto furono scritte proprio mentre si stavano incrinando i rapporti tra Sparta e Atene, le due città che avevano guidato la resistenza contro la Persia. Nei suoi resoconti, lo storico lancia accuse e insinuazioni contro vari stati che non avevano fatto il loro dovere nella grande battaglia contro gli Achemenidi. Non tutti i Greci erano d’accordo, e alcuni si sentivano frustrati dalla politica delle loro città-stato. In ogni caso, coloro che come Senofonte non nascondevano la loro ammirazione per alcuni Persiani difficilmente potevano avanzare argomenti del tutto convincenti.
Sarebbe stato comunque difficile trapiantare in ambiente mediterraneo i grandi imperi dell’Asia continentale. La spiegazione fornita da Erodoto in merito alla sconfitta persiana è sottile e complessa al tempo stesso e sembra ridursi, almeno in parte, a una contrapposizione di ordine morale tra asiatici ed europei, un’idea condivisa da molti all’epoca ma considerata oggi alquanto sgradevole6. Le argomentazioni addotte tuttavia da Erodoto, secondo cui la Persia sarebbe stata sconfitta non nonostante la sua ricchezza bensí a causa di essa possiedono un certo grado di verità. Le esigenze logistiche necessarie a sostenere un enorme esercito di reclute erano considerevoli. Dario aveva tentato di lanciare un attacco attraverso l’Egeo, ma il numero di truppe che poteva essere facilmente trasportato era limitato, e a Maratona il suo esercito non era stato in grado di stabilire una testa di ponte. Serse arrivò per terra e per mare, ma la traversata dell’Ellesponto e la marcia lungo la sponda settentrionale dell’Egeo e la costa orientale della Grecia avevano richiesto molto piú tempo del previsto. Quando la maggioranza delle navi persiane fecero rientro – dopo la sconfitta di Salamina, avvenuta alla fine del settembre 480 a.C. –, la stagione adatta alla navigazione era ormai quasi al termine e gran parte della flotta fu dispersa dalle tempeste sulla via del ritorno. Neppure svernare in Grecia fu cosa facile. Quanto rimaneva dell’esercito di terra persiano fu sconfitto senza grandi difficoltà a Platea la primavera successiva. Anche l’invasione di Dario della Russia meridionale all’inseguimento dei nomadi sciti aveva avuto problemi logistici. Entrambe le campagne avevano evidenziato i limiti di quel tipo di impero.
Il regno persiano di Dario era l’epitome di ciò che gli storici definiscono «impero di regni clienti». La sua economia non era quella del classico «stato di conquista», basata su continue incursioni che mettevano in ginocchio i popoli vicini e procuravano bottino all’esercito e gloria ai sovrani. I Persiani, al contrario, cercarono di attuare un tipo di governo piú sostenibile. Ai popoli sottomessi, tenuti a pagare regolarmente le tasse e sostenere la coscrizione obbligatoria di soldati e forza lavoro, veniva concesso in cambio un certo livello di autonomia locale sotto la supervisione dei satrapi persiani7. Questo tipo di impero non forniva praticamente altro ai propri sudditi, lasciando piuttosto che gestissero da soli i loro affari purché si dimostrassero leali e fedeli.
Il Nuovo Regno assiro era stato un pioniere di questa forma di dominio imperiale fin dall’inizio dell’ultimo millennio a.C. Assur era in origine una città-stato che governava su un proprio territorio, ma gli Assiri, incluso il loro re, si consideravano servi del dio Assur, che aveva la sua dimora nel tempio centrale della città. Le guerre che essi muovevano erano spedizioni religiose con lo scopo di annettere province al territorio o costringere i «regni clienti» a versare tributi in onore della divinità. I regni sottomessi venivano ricompensati, tanto che principi di città-stato locali erano di fatto trattati come governatori assiri. Coloro che si rifiutavano di versare i tributi o si ribellavano venivano puniti senza pietà. Intere popolazioni furono trasferite, molte deportate in Assiria per lavorare le terre del re o del tempio o costruire città e palazzi. Sui muri delle loro grandi residenze, erette in città costruite grazie alla forza lavoro coatta, il dominio dell’Assiria era trasfigurato in narrazioni visive di assedi, battaglie e massacri di nemici8.
Gli imperatori persiani erano piú propensi a stipulare alleanze con i vari governanti e popoli locali e favorire il culto degli dèi del posto: Marduk a Babilonia, Apollo a Magnesia sul Meandro e Yahweh a Gerusalemme furono tutti riconosciuti come divinità, nonostante il forte monoteismo zoroastriano dei re persiani9. Ai regni sottomessi venivano richiesti tributi ed era imposta la leva obbligatoria, ma né l’arte monumentale né i resoconti letterari ci trasmettono la sensazione di un impero costruito sul terrore. I contrasti potevano essere superati e la violenza rimaneva sempre solo l’ultima possibilità. Tutti i governatori persiani avevano a disposizione forze militari e i re non mancarono di trovarsi a fronteggiare svariate rivolte. Il palazzo di Persepoli era comunque decorato di fregi raffiguranti i portatori di tributi, e i registri mostrano che anche i membri delle popolazioni assoggettate trovavano a volte un posto nell’amministrazione imperiale. Senza dubbio, la caduta definitiva dell’Assiria e l’orribile saccheggio di Ninive influenzarono le strategie e lo stile di governo imperiale degli Achemenidi, come si ripeterà in seguito quando i Macedoni e i Romani impareranno dagli errori persiani e sfrutteranno invece i risultati da loro ottenuti10. L’impero fu un lavoro lungo un millennio.
Gli imperi di regni clienti comparvero piú volte nella storia mondiale: in Estremo Oriente, in India, nel Vicino Oriente, nelle Americhe e in Eurasia11. Una delle ragioni principali del loro successo fu la capacità di organizzare le comunicazioni. Il Gran Canale in Cina, il cammino degli Inca sulle Ande e le famose strade romane ne sono un ottimo esempio. Dario costruí la Via Reale che da Sardi, a ovest, arrivava fino a Susa, nella Persia sud-occidentale, e lungo la quale potevano spostarsi a grande velocità messaggeri e, piú raramente, armate. Si diceva che i corrieri a cavallo potessero percorrere l’intera distanza di 2700 chilometri in soli sette giorni. In realtà, l’impero dipendeva da un’intera rete stradale, ma l’idea di un’unica «via reale» dovette affascinare gli scrittori greci12. Si narra che il primo faraone macedone dell’Egitto, Tolomeo I, quando domandò a Euclide se ci fosse un modo piú rapido per imparare la sua materia, si sentí rispondere: «Non esiste una via reale che conduca alla geometria».
Costruire una «via reale» attraverso il Mediterraneo non era cosa praticabile. Anche qualora una potenza avesse avuto la necessaria capacità navale, il mare aperto poteva rappresentare un tremendo pericolo in inverno. Gli imperatori del Vicino Oriente potevano radunare enormi eserciti e farli marciare nei territori ribelli, potevano dislocare intere popolazioni in luoghi lontani, potevano demolire e ricostruire città e ridisegnare i confini a loro piacimento. Là dove erano in grado di esercitarlo efficientemente, il loro potere...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Elenco delle mappe e delle illustrazioni
  4. Prefazione
  5. Ringraziamenti.
  6. Vita e morte delle antiche città
  7. PARTE PRIMA. Un animale urbano
  8. PARTE SECONDA. Un Mediterraneo urbano
  9. PARTE TERZA. L’urbanismo imperiale
  10. PARTE QUARTA. Deurbanizzazione
  11. Postfazione
  12. Ulteriori letture
  13. Note
  14. Bibliografia
  15. Elenco dei nomi e delle cose notevoli
  16. Il libro
  17. L’autore
  18. Dello stesso autore
  19. Copyright