L'arte di legare le persone
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L'arte di legare le persone

  1. 200 pagine
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L'arte di legare le persone

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«Avendo fuggito ogni altro lavoro per paura, mi ritrovo a fare il lavoro che fa piú paura a tutti». Quante volte parliamo dei medici come di eroi, martiri, vittime... In verità, fuor di retorica, uomini e donne esposti al male. Appassionati e fragili, fallibili, mortali. Paolo Milone ha lavorato per quarant'anni in Psichiatria d'urgenza, e ci racconta esattamente questo. Nudo e pungente, senza farsi sconti. Con una musica tutta sua ci catapulta dentro il Reparto 77, dove il mistero della malattia mentale convive con la quotidianità umanissima di chi, a fine turno, deve togliersi il camice e ricordarsi di comprare il latte. Tra queste pagine cosí irregolari, a volte persino ridendo, scopriamo lo sgomento e l'impotenza, la curiosità, la passione, l'esasperazione, l'inesausta catena di domande che colleziona chiunque abbia scelto di «guardare l'abisso con gli occhi degli altri».«Si riesce a lavorare in Psichiatria solo se ci si diverte. Io mi sono divertito per anni. Non tutti gli anni: non i primi - troppe illusioni, non gli ultimi - troppi moduli, non quelli di mezzo - troppo mestiere».Ci sono libri che si scrivono per una vita intera. Ogni giorno, ogni sera, quando quello che viviamo straripa. Sono spesso libri molto speciali, in cui la scrittura diventa la forma del mondo. È questo il caso dell' Arte di legare le persone, che corre con un ritmo tutto suo, lirico e mobile, a scardinare tante nostre certezze. Con il dono rarissimo del ritratto fulminante, Paolo Milone mette in scena il corpo a corpo della Psichiatria d'urgenza, affrontando i nodi piú difficili senza mai perdere il dubbio e la meraviglia. Cosí ci ritroviamo a seguirlo tra i corridoi dell'ospedale, studiando le urla e i silenzi, e poi dentro le case, dentro le vite degli altri, nell'avventura dei Tso tra i vicoli di Genova. Non c'è nulla di teorico o di astratto, in queste pagine. C'è la vita del reparto, la sete di umanità, l'intimità di afferrarsi e di sfuggirsi, la furia dei malati, la furia dei colleghi, il peso delle chiavi nella tasca, la morte sempre in agguato, gli amori inconfessabili, i carrugi del centro storico e i segreti bellissimi del mare. Ci sono infermieri, medici, pazienti, passanti, conoscenti, caduti da una parte e dall'altra di quella linea invisibile che separa i sani dai malati: a ben guardare, solo «un tiro di dadi riuscito bene». Ecco perché non si potrà posare questo libro senza un'emozione profonda, duratura, e senza parlarne immediatamente con qualcuno.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
ISBN
9788858435335
Capitolo ottavo

Legare le persone

1.

Vado in Pronto Soccorso per uno sconosciuto.
Sta sdraiato immobile sulla barella, girato contro il muro. Signore, scusi, sono un medico, che succede?
Lui con rapida mossa si gira e mi sferra, duro,
un pugno in faccia.
Mi scassa faccia e occhiali.
Tu, Adriano, che saluti i matti dalla finestra, puoi stare tranquillo: è vero, non sono pericolosi.
Il dolore aiuta a ricordare.

2.

Marcello, fare una diagnosi è anche questione di distanza.
Gli euforici, sempre scattanti e vestiti d’estate in pieno inverno, si riconoscono a quaranta metri.
Gli ubriachi e i tossicomani, con i loro movimenti sbandati, a trenta metri.
Gli schizofrenici, movimenti manierati e abiti strani, a venti metri.
I depressi, cerei e immobili, a dieci metri.
I nevrotici a partire dai cinque metri, ma alcuni mascherano bene e si scende ai due metri.
Certi nevrotici sono perfidi e bisogna guardarli negli occhi per capirci qualcosa: un metro.
Altri non parlano, sono confusi e bisogna arrivare a cinquanta centimetri per annusarli.
Di meno è inutile.
Alcuni ansiosi, isterici, insufficienti mentali
ti vengono loro sotto, sui trenta centimetri.
I perdigiorno e i rompicoglioni ti alitano in faccia.
Sotto i venti centimetri c’è solo mia moglie.

3.

Ferite di guerra in Sala 77?
Quattro fratture costali
piú il dito di una mano e quello di un piede.
Graffi, escoriazioni ed ematomi.
Ingiurie, assalti, minacce.
Tutto questo e neanche una medaglietta di latta.

4.

In città i matti, nei loro appartamenti, possono fare di tutto: urlare, pestare i piedi,
battere la testa contro i muri,
impiccarsi, spararsi, morire,
nessuno interviene.
È la nuova società tollerante.
Ma basta che un matto butti dalla finestra qualcosa,
una sedia, una bottiglia, della pipí, della popò, un gatto
e subito giungono vigili, polizia, carabinieri, pompieri, aviazione, marina e guardia forestale. E chiamano noi d’urgenza per la gravissima situazione.
Matti, volete stare tranquilli?
Non buttate niente dalla finestra.
Politici, volete abolire i manicomi? Eliminate le finestre.

5.

Quando in Medicina si fa un passo avanti nessuno demonizza i vecchi metodi, nessuno accusa chi li praticava.
Non è cosí in Psichiatria.
Qui si bonifica il presente mettendo il male nel passato. Per questo io voglio parlare del legare le persone.

6.

Sono salito, con un infermiere e un vigile urbano, in questo attico in centro storico perché ti sei messo a cavalcioni sul davanzale urlando alle rondini in picchiata.
Il vicolo è fermo: le mamme guardano in alto curiose, poi tirano via i bambini.
Parli concitato una lingua inventata:
sei fatto di chissà che merda.
Lo spazio in questo stanzone non è troppo grande né troppo piccolo, ci si dovrebbe muovere bene:
è importante
perché, pochi secondi, non so cosa,
pochi secondi e succederà qualcosa.
Due finestre nella stanza: davanti a ciascuna uno di noi, io alla porta d’ingresso.
Ma c’è un’altra porta, dà sul terrazzo:
vedo spuntare il basilico nei vasi e il giallo dei limoni,
ti immagino già correre sui tetti della città.
Mi sposto come nulla fosse verso il terrazzo,
arrivo, mi piazzo,
mi giro, tu ti scagli contro di me.

7.

Quando un metodo di lavoro ha salvato la pelle a te e a tuoi pazienti, io ho difficoltà a parlarne male.
E se sento qualcuno parlarne male seduto alla scrivania, io lo difendo.

8.

Mi dici, Luca, con tono accorato, che il paziente psichiatrico va accettato in toto,
lui e il suo disturbo, come particolare espressione dell’umano,
va quindi rifiutata ogni forma di costrizione.
Luca, questo approccio val bene per chi come te lavora con i cronici, immodificabili.
In Psichiatria d’urgenza, quella che va accettata completamente è la persona, non la malattia.
Altrimenti accetteremmo che i dementi attraversino la strada col rosso senza intervenire.
Lasceremmo i depressi suicidarsi davanti ai nostri occhi.
Lasceremmo i maniacali entrare nelle gallerie dei treni.
Lasceremmo gli allucinati scendere dai poggioli lungo i cornicioni.
Lasceremmo i deliranti rivoltarsi armati contro i vicini. Lasceremmo gli intossicati da alcool o droghe scatenare liberamente l’aggressività primitiva.

9.

Nessuno la notte ti fermerà per accusarti: perché mi ha curato, dottore?
Perché mi ha costretto?
Perché non mi ha lasciato libero com’ero?
Ad accusarti la notte sarà chi ti dice: perché non mi ha curato?
Perché mi ha abbandonato in balia di me stesso?

10.

Filippo, hai paura che nel buio
venga qualcuno da fuori per ucciderti.
È inutile che metti una porta blindata,
è inutile che barrichi la finestra della tua st...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’arte di legare le persone
  4. I. Reparto 77
  5. II. La stanza del glicine
  6. III. Lucrezia
  7. IV. Per la città
  8. V. Cattive compagnie
  9. VI. Se tu non fossi tu, se io non fossi io
  10. VII. La Signora
  11. VIII. Legare le persone
  12. IX. La parola è paglia
  13. X. Tortula muralis
  14. Nota dell’autore
  15. Il libro
  16. L’autore
  17. Copyright