Lo sappiamo quando lo vediamo
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Lo sappiamo quando lo vediamo

Cosa ci dice la neurobiologia della visione su come pensiamo

  1. 264 pagine
  2. Italian
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Lo sappiamo quando lo vediamo

Cosa ci dice la neurobiologia della visione su come pensiamo

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Individuare un volto in mezzo alla folla è cosí facile che lo si dà per scontato. Ma come ciò sia possibile resta uno dei grandi misteri della scienza. La visione è coinvolta in un'infinità di azioni compiute dal cervello. Spiegarne il funzionamento non svela soltanto il semplice modo in cui vediamo, ma moltissimo altro. Richard Masland, un pioniere nel campo delle neuroscienze, affronta questioni fondamentali sul modo in cui il nostro cervello elabora le informazioni (come percepisce, apprende e ricorda) attraverso un attento studio della vita interna dell'occhio. Prende in considerazione tutto ciò che accade in esso, da quando la luce colpisce la retina fino alle sofisticatissime reti neurali che trasformano quella luce in conoscenza, per definire infine cosa un algoritmo informatico deve saper fare per poter essere definito davvero «intelligente». «Questo libro racconta di come noi vediamo il mondo. Per molto tempo gli studiosi hanno riflettuto sulla visione, ma secondo i criteri moderni buona parte delle loro idee erano ingenue: l'occhio è sí qualcosa che assomiglia a una macchina fotografica, ma la visione è assai piú di questo. Forse a noi sembra naturale e semplice riconoscere il volto di un amico - al punto che gli antichi nemmeno l'avevano identificato come problema - ma nulla a riguardo è semplice. Per comprendere realmente la visione è necessario comprendere qualcosa che va oltre il semplice funzionamento dei nostri occhi: ossia è necessario comprendere anche come il cervello dà un senso al mondo esterno. Paradossalmente, il cervello è piuttosto lento: i neuroni e le loro sinapsi lavorano milioni di volte piú a rilento dei moderni computer. Eppure, esso li batte in molte funzioni percettive. In pochi millisecondi voi riconoscete vostro figlio in un affollato parco giochi. Come fa il cervello? Come incamera uno stimolo lieve - una macchia di luce, una vibrazione nell'aria, una variazione di pressione sulla pelle - e gli attribuisce un significato? Abbiamo qualche vaga idea di come ci riesce, ma ciò che abbiamo imparato è affascinante».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
ISBN
9788858436349
Parte seconda

In una terra inesplorata

Facciamo una breve pausa. Chiediamoci ora dove ci ha portato questa scienza costruita con fatica e sudore. Quanto al lato positivo, abbiamo concepito un principio fondamentale di elaborazione visiva: l’immagine visiva è scomposta dalla retina in una trentina di flussi paralleli, ciascuno dei quali riferisce la propria caratteristica del mondo visivo. In sostanza, il nostro mondo è rappresentato da trenta parametri, di cui ne conosciamo una manciata appena. Canali differenti d’informazione codificano tratti differenti del mondo visivo, ad esempio margini, illuminazione, movimento, colori e cosí via. Ciascun punto dell’immagine è soggetto alla stessa serie di codifiche. Presto vedremo la notevole trasformazione di questi semplici rivelatori mentre l’informazione «sale» verso la corteccia. Le cellule della corteccia visiva primaria rispondono a stimoli precisi, ad esempio a margini con orientamenti particolari.
Quanta strada abbiamo percorso verso il nostro obiettivo finale, ossia rispondere alla domanda «come riconosciamo il volto di nostro figlio in una folla, nonostante le centinaia di migliaia di modi in cui la sua immagine può raggiungere la nostra retina»?
Dalla corteccia visiva primaria – nella parte posteriore del cervello – noi scrutiamo, come antichi marinai, un paesaggio cerebrale brumoso, rinfrancati dalle poche terre che conosciamo e che abbiamo mappato, spinti a esplorare le molte terre che invece non conosciamo: gli spazi vuoti nella mappa illustrata a pagina 106. Come abbiamo appreso quel poco che sappiamo delle aree visive su questa mappa? Lo abbiamo appreso soprattutto da esperimenti in cui registriamo i neuroni con microelettrodi o scansionando la loro attività usando le neuroimmagini. Questi esperimenti ci hanno permesso di scoprire – come presto vedremo – che esistono aree specifiche, che sembrano occuparsi del riconoscimento di strutture. Nel nostro caso, del riconoscimento di oggetti, in particolare di volti. La nostra conoscenza, come del resto la mappa, si presenta però sotto forma di isole, fatti isolati connessi soltanto da una trama elementare.
Nella seconda parte, descriverò questa trama nascente, oggi sviluppata da neurobiologi ed esperti informatici di spicco. Questa interpretazione del sistema visivo è differente dalla visione dei libri di testo, che propone una gerarchia di microcircuiti via via piú specifici, senza realmente dire che cosa essi sono. Sarà uno dei nostri primi seri tentativi di connettere ulteriori puntini.
Capitolo sesto

Messaggi sensoriali entrano nel cervello

Ah, ma suonare l’uomo numero uno,
immergere il pugnale nel suo cuore,
stendere il suo cervello sul tavolaccio
ed estrarre i colori acri.
WALLACE STEVENS
Abbiamo creato fin qui la mappa dei segnali in uscita dalla retina verso il cervello. Non è affatto ovvio però che cosa accadrà dopo. Sappiamo creare la mappa del percorso di ciascuno dei trenta tipi di segnali verso i loro bersagli specifici nel cervello? Come risulta, la risposta è affermativa per alcuni segnali, ma non per tutti. Sappiamo dove molti di essi sono diretti, e abbiamo un’idea chiara di che cosa fanno alcuni. Nel capitolo descriverò un paio di bersagli conosciuti, per ritrovarmi nella corteccia visiva, il portale verso il riconoscimento di oggetti.

I primi eventi.

Il segnale in uscita dalla retina si dirige verso due sedi principali nel cervello, ed è trasmesso dagli assoni delle cellule gangliari, che formano sinapsi con i neuroni di questi due centri cerebrali1. Il primo di essi è il nucleo genicolato laterale (NGL); il secondo è il collicolo superiore. Per inciso, il latino colliculus significa piccolo colle. Gli anatomisti l’hanno chiamato cosí perché è una piccola gobba sovrastante il mesencefalo dorsale. Ed è superiore perché si trova, come intuibile, appena sopra il collicolo inferiore, il quale si occupa dell’udito.
Per quanto ne sappiamo oggi, il collicolo superiore si occupa soprattutto dell’orientamento visivo. I segnali della retina lo raggiungono, ed esso suggerisce di prestare attenzione al punto particolare nel mondo visivo da cui sono scaturiti i segnali. Se stimolate elettricamente un punto sul suo collicolo, un animale sposterà gli occhi e orienterà la testa verso un particolare punto del campo visivo. Se l’animale ha un danno al collicolo superiore, gli oggetti in quella parte del campo non attireranno mai la sua attenzione.
Purtroppo, in assenza del collicolo superiore non possiamo conoscere l’esperienza soggettiva della visione, che in genere impariamo dall’esperienza riferita dai pazienti umani. Non possiamo conoscere l’esperienza umana perché il collicolo superiore risiede appena un centimetro sopra altri centri cerebrali, essenziali per la vita cosciente. Accade raramente che una persona sia vittima di un danno al solo collicolo superiore, un danno che coinvolge invariabilmente anche aree limitrofe. In questo caso, l’inattenzione verso una parte del campo visivo sarà, per la persona colpita, il minore dei mali.
Il collicolo superiore contiene parecchi circuiti interessanti, caratterizzati da molti interneuroni e da innumerevoli proiezioni da e verso altri luoghi del cervello. Il collicolo ha una struttura a strati, alcuni dei quali ricevono una mappa dello spazio uditivo, non di quello visivo. Tale struttura svolge pur sempre una forma di orientamento visivo, ma tali strati orientano l’animale verso i suoni, e non verso i luoghi. Potreste ascoltare un suono tenendo gli occhi chiusi, e il collicolo superiore dirigerà ancora i vostri occhi verso la sede di quel suono. È frequente che i segnali visivi e i segnali uditivi provengano dallo stesso punto nel mondo visivo: forse lo pterodattilo sta gracchiando, o perlomeno le sue ali stanno generando un rumore, come di qualcosa che sbatacchia. In un caso del genere, gli input visivi e gli input uditivi lavorerebbero in sinergia, segnalandovi la localizzazione chiara e precisa dell’uccello preistorico.
Il nucleo genicolato laterale è l’altro importante bersaglio degli assoni del nervo ottico. Deriva dal latino geniculatus, «simile a un ginocchio», proprio perché la sua struttura ha una lieve curvatura sensuale. È un «nucleo» cerebrale composto da un gruppo di neuroni che ricevono input sinaptici dagli assoni del nervo ottico. I neuroni del genicolato inviano molti loro assoni alla corteccia visiva, verso cui il genicolato laterale è la principale stazione di transito. Un danno alla corteccia visiva, al genicolato o alla via che li unisce causa cecità in una parte del campo visivo. La via dalla retina al genicolato alla corteccia visiva è la principale verso la visione cosciente.
Se gli assoni delle cellule gangliari formano sinapsi sui neuroni del nucleo genicolato laterale, quali sono le risposte visive dei suoi neuroni? Col senno di poi, la risposta sembra semplice da predire: le reazioni dovrebbero assomigliare a quelle delle cellule gangliari retiniche. Ed è proprio ciò che spesso succede. Le registrazioni dei neuroni del genicolato rivelano che essi sono a loro volta includibili in quattro classi principali: transienti ON, sostenuti ON, transienti OFF e sostenuti OFF, insieme con alcuni analizzatori visivi «intelligenti». Questi segnali sono trasmessi direttamente alla corteccia visiva.
Tuttavia, come impara ogni studente, il genicolato laterale non è solo una stazione di ritrasmissione. Glielo insegniamo affinché capiscano quanto sarebbe insensato che la natura interponesse un intero nucleo fra la retina e la corteccia, se avvenisse solamente una banale duplicazione. L’anatomia c’insegna che il nervo ottico non è l’input piú grande al nucleo genicolato laterale. Incredibilmente, dalla corteccia visiva al genicolato decorre un numero maggiore di assoni (l’80 per cento degli input totali al genicolato) che non dalla retina al genicolato. Benché siano state proposte innumerevoli ipotesi, nessuno sa con certezza a cosa serve questo immenso circuito a retroazione. Cosí a volte vanno le cose!
Che cosa fa di sicuro il genicolato laterale? Un paio di valenti laboratori ha registrato simultaneamente le cellule gangliari della retina e le loro singole cellule bersaglio nel genicolato laterale. Una bella impresa, credetemi! Hanno scoperto nel gatto e nella scimmia che i neuroni del genicolato copiano la scarica dei neuroni retinici che li attivano. La stessa cosa accade nel topo, ma con un sottoinsieme di cellule che riceve input molto diversi2.
È chiaro anche che il genicolato laterale rinforza l’accentuazione dei margini: punti di transizione che sono appena accentuati nella retina lo sono ancora di piú nel genicolato laterale. Ciò avviene mediante connessioni fra la via diretta dalla retina e interneuroni locali che si trovano lí proprio per svolgere questo tipo di lavoro. In realtà, l’accentuazione dei margini è cosí intensa che alcuni neuroni del genicolato laterale sono attivi soltanto vicino a un margine, e quasi non rispondono quando sono stimolati da un oggetto grande e regolare, ossia un oggetto che non contiene margini.
Un ulteriore evento nel genicolato è che il flusso d’informazioni può essere aumentato, oppure diminuito, da fattori esterni, legati in particolare al livello di eccitazione generale del cervello. Quando voi dormite, il flusso d’informazioni dalla retina alla corteccia diminuisce. Ciò è ragionevole: è un buon affare, come indossare la mascherina per dormire che l’assistente di bordo vi dà durante un volo di notte. Una funzione un po’ piú specializzata è che il rendimento del genicolato laterale aumenta, oppure diminuisce, anche con l’attenzione selettiva. Se vi state concentrando sull’ascolto, pensiamo, riducete l’attività visiva, e quindi, per lo stesso stimolo, il NGL trasmetterà alla corteccia un numero inferiore di spikes. Il NGL ha elaborato il messaggio inviato alla corteccia.

Una normale giornata in laboratorio. Registrazioni nel cervello.

Nel prossimo paragrafo racconterò che cosa succede dopo, ossia dove va a finire il segnale in uscita dal genicolato laterale, e qual è il suo destino. Prima però vorrei mostrarvi che cosa significa scavare alla ricerca di quei fatti di cui vi parlavo. Vorrei condurvi in laboratorio in una giornata di lavoro, per farvi vedere che cosa significa vivere la neuroscienza in prima persona.
Vi proporrò una giornata di registrazione di singoli neuroni vissuta da un giovane ricercatore. Sarà una sorta di collage, perché laboratori differenti seguono procedure, piani di lavoro e progetti personalizzati. Alcune nuove favolose tecniche, che vedremo piú avanti, dettano un altro ritmo ancora. Comunque, molta gente svolge il tipo di registrazione che ora v’illustrerò.
Ve la descrivo perché voi non avreste altrimenti l’occasione di leggere qualcosa sull’argomento. I redattori delle riviste scientifiche non sono rassicuranti, come immagino lo siano i redattori letterari; né si curano piú di tanto di me come persona. Essi sono, perlomeno nel loro lavoro, degli inflessibili stronzi, la cui idea di libertà stilistica si ferma a come noi firmiamo i nostri nomi. Eppure tocca a loro trasmettere a buona parte della gente l’idea di come nascono le scoperte scientifiche. Le riviste specialistiche seguono regole di stile rigide e formali, perché i loro articoli sono concepiti per trasmettere informazioni precise e stringate, non lasciando spazio alla soggettività e concedendo un margine risicato all’opinione personale (scrupolosamente documentata). Spesso gli autori dispongono di una decina di pagine per descrivere un anno di lavoro, e lí non c’è sicuramente posto per l’esperienza personale degli scienziati in laboratorio. Ecco allora come si svolgeva una giornata tipo.
Noi giovani ricercatori arriviamo in laboratorio verso le nove del mattino; il capo arriva qualche minuto dopo, ci dà il buongiorno e va alla scrivania. Legge e scrive, e butta con discrezione un occhio sulla nostra attività lavorativa. Lui è un professore ordinario e uno sperimentatore esperto – per questa ragione ha ottenuto il suo buon impiego! – ma in questa fase siamo noi ricercatori a svolgere il lavoro sul campo. Lo interpelliamo solamente se vogliamo mostrargli qualcosa di nuovo o di bello, o se gli strumenti fanno i capricci.
Il nostro laboratorio è composto di tre stanze. La prima è l’area di lavoro generale, una stanza quadrata di sei metri per sei. Al centro, è collocato il tavolo chirurgico, sovrastato da una grande lampada operatoria; contro la parete posteriore è sistemato un bancone da laboratorio nero in pietra. Contiene un ampio lavello sopra cui sono allineate le vetrinette, dentro le quali abbiamo sistemato gli strumenti chirurgici e materiale vario necessario per il lavoro. Una parete laterale è percorsa da una libreria con gli scaffali stipati di riviste scientifiche impilate e con una lunga fila di quaderni di laboratorio verdi rilegati in rosso, che documentano il lavoro svolto nella storia del laboratorio. I quaderni in uso si trovano all’estremità destra della lunga fila.
La registrazione avviene in uno stanzino apposito, che contiene tre alti scaffali verticali gravidi di strumenti elettronici. Li accendiamo all’inizio della giornata affinché abbiano il tempo di scaldarsi. Dopo alcuni passaggi preparatori, l’animale da laboratorio è adagiato, in anestesia profonda, in un dispositivo che lo tiene bloccato. La registrazione ha inizio.
In questo esperimento, il nostro obiettivo è semplice: vogliamo sapere come il nucleo genicolato laterale risponde ai segnali che giungono dalla retina. I neuroni del NGL si limitano a copiare i neuroni della retina, o invece modificano il segnale che li attraversa verso la corteccia? Non abbiamo idee preconcette, nessuna ipotesi. Ciascuno di noi ha magari le proprie congetture, che però sono marginali nel nostro ragionamento. Stiamo giusto curiosando.
Monitoriamo i neuroni del NGL registrando la loro attività elettrica con dei microelettrodi. Benché l’animale sia in uno stato di profonda incoscienza, il suo sistema visivo risponde ancora agli stimoli. È qualcosa che oggi possiamo verificare usando tecniche di registrazione indolori in animali non anestetizzati, o in esseri umani. I neuroni dei sistemi sensoriali scaricano potenziali d’azione quando il segnale in arrivo supera una soglia.
Un potenziale d’azione è un evento elettrico rivelabile collocando un elettrodo sensibile vicino alla cellula. L’elettrodo deve essere molto sottile, perché vogliamo ascoltare il segnale di un’unica cellula e non il segnale delle cellule vicine. Il corpo cellulare del neurone – dove la registrazione è piú efficace – ha un diametro compreso tra i 5 e i 30 micron (un micron è pari a un millesimo di millimetro). In un nucleo come il genicolato laterale, altri neuroni comprimono da ogni lato il nostro neurone. Perciò l’elettrodo va spinto al suo interno con polso fermo, cosí che il segnale di quel neurone risulterà intenso, e il segnale dei neuroni piú distanti risulterà flebile.
Per questa operazione è necessario un microelettrodo. Attaccate la sua estremità posteriore a un amplificatore e lo collocate in un micromanipolatore di precisione. (I microelettrodi attuali proven...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Elenco delle illustrazioni
  4. Introduzione
  5. Ringraziamenti.
  6. Lo sappiamo quando lo vediamo
  7. Parte prima. I primi passi verso la visione
  8. Parte seconda. In una terra inesplorata
  9. Parte terza. All’orizzonte
  10. Bibliografia
  11. Glossario
  12. Indice analitico
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Copyright