Lockdown
  1. 320 pagine
  2. Italian
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Informazioni sul libro

In una Londra epicentro di una pandemia, con il parlamento che ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale, tutti gli sforzi sono concentrati nella costruzione di un ospedale che possa contenere le migliaia di infetti. Ma quando tra le macerie del cantiere viene rinvenuto un borsone di pelle con le ossa di una bambina di origini cinesi, i lavori vengono interrotti e a occuparsi del caso è chiamato Jack MacNeil, detective scozzese alle soglie della pensione. Nel frattempo, un sicario di nome Pinkie è stato contattato da un mandante segreto per occuparsi di recuperare la sacca con le ossa, sbarazzarsene ed eliminare tutti i testimoni. Inizia cosí una corsa contro il tempo tra Pinkie e MacNeil, il cui epilogo rivela un'elaborata e scioccante cospirazione.Scritto piú di quindici anni fa e giudicato dagli editori troppo inverosimile per essere pubblicato, Lockdown è stato appena tradotto in quattordici Paesi e ha venduto 50 000 copie a poche settimane dall'uscita.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858434659

Capitolo sei

1.

Gli era tutto cosí familiare da deprimerlo: la casa che avevano comprato insieme, con i soldi che lui aveva risparmiato e con quelli che Martha aveva ereditato. Anche cosí, stavano ancora pagando un mutuo opprimente. Era un appartamento modesto, al piano terra e con due camere da letto, la metà inferiore di una moderna casa terrazzata a Forest Hill, sobborgo verde nella zona sud di Londra. Almeno, sul retro c’era un giardino per Sean, e MacNeil era riuscito a evitare il traffico dell’ora di punta e ad arrivare a Lambeth in venti minuti di macchina.
Si erano trasferiti lí, madre, padre e figlio in fasce, con grandissime speranze. Otto anni dopo, però, quella via non era che un doloroso memorandum dell’azzeramento di tutti i loro sogni. Un luogo infestato dal fallimento.
Non era mai stato il matrimonio perfetto. Lui non aveva che ventisette anni quando si era trasferito a Londra, uno sbarbatello ingenuo che si era formato professionalmente in una zona rurale come l’Inverness-shire. Il Met, Metropolitan Police Service, era una sfida, Londra e il suo smog un’avventura. Aveva conosciuto Martha il primo mese che stava lí. A una festa della polizia. Lei usciva con un agente investigativo all’epoca, ma la loro storia era agli sgoccioli. Martha e MacNeil avevano subito sentito un’attrazione reciproca. Il sesso era la forza motrice del loro rapporto. Lo facevano a ogni occasione buona, ovunque potessero. Avevano affittato un piccolo monolocale a Lewisham, e lui trascorreva ogni suo giorno libero a letto, a mangiare gelato, fare sesso e ubriacarsi. Era una vita folle, un turbine scevro da responsabilità e da qualsiasi pensiero sul futuro.
Poi un giorno lei gli aveva detto di essere incinta, e la loro vita era cambiata.
Nessuno dei due sapeva come fosse potuto accadere. Avevano preso precauzioni. Ma intanto eccoli lí. Martha era combattuta. Desiderava dei figli con tutta sé stessa. Non ancora, però. Aveva ventilato l’idea dell’aborto, ma MacNeil non voleva sentirne parlare. Non che fosse religioso, però i suoi genitori erano stati membri vita natural durante della Chiesa libera di Scozia: lui poteva anche non credere nel loro Dio, ma la loro etica era impressa nella sua anima. Alla fine, Martha era stata contenta che lui l’avesse convinta a tenere il bambino. Soprattutto il giorno in cui Sean era nato e lei l’aveva tenuto in braccio, incapace di fermare le lacrime che le rigavano il volto. E attraverso le lacrime aveva visto che anche il suo grande e grosso marito scozzese stava piangendo.
MacNeil posteggiò in fondo al vialetto e chiuse l’auto. Quella che un tempo era stata una sola porta ad arco adesso era divisa in due, una rosso granata, una bianca. MacNeil salí gli scalini, il cuore ghiacciato dalla paura. Erano bastate tre parole per polverizzare ciò che restava della sua vita. Sean è malato.
Martha aprí la porta prima che lui ci arrivasse. Il suo aspetto fu uno shock. Era piú che pallida, esangue, con ombre profonde sotto gli occhi stanchi. Sembrava molto ma molto piú vecchia dell’ultima volta in cui l’aveva vista, esausta e tesa. Era davvero passata una sola settimana? Nulla aveva fatto sospettare, allora, che Sean avesse qualcosa che non andava. Le scuole erano chiuse, e loro non avevano avuto contatti praticamente con nessuno. In nome di Dio, com’era stato contagiato? Non riusciva a pensare a un’altra domanda da farle. Una domanda con un inevitabile tono d’accusa.
– Non lo so –. Martha scosse la testa, e lui le sentí la disperazione nella voce. Entrarono. – Forse sei stato tu. Noi non siamo andati da nessuna parte. Forse il virus l’hai portato tu.
MacNeil strinse le mascelle e rimase calmo, contenendo l’ira che gli stava crescendo dentro. – Dov’è?
– Al Dome. Ieri notte ho chiamato il medico. Alle quattro di mattina tossiva liquidi. È stato velocissimo, da non crederci. L’ambulanza è arrivata all’alba –. Martha gli scoccò uno sguardo accusatorio. – Perché non rispondevi al telefono?
– Non è che mi dài molte ragioni per aver voglia di parlare con te, ultimamente –. MacNeil gettò un’occhiata al soggiorno. Era in disordine. La maglia dell’Arsenal di Sean era appesa ad asciugare sullo stendipanni. La console per i videogiochi era abbandonata accanto al televisore. Si acquietò. – Stavo lavorando.
– Ma no –. Martha non riuscí a evitare un tono amaro. – Tanto per cambiare, eh?
Lui la guardò e provò il noto senso di colpa. Sapeva che lei aveva ragione. Dopo il bambino, Martha aveva perso qualunque interesse per il sesso. E loro due non avevano granché da dirsi. Il poco tempo libero che aveva, lui lo trascorreva con Sean, e lei sembrava patirne. Si era chiusa sempre di piú in sé stessa. Lui passava sempre piú ore al lavoro. In casa l’atmosfera si tagliava con il coltello. MacNeil voleva soltanto stare fuori di lí, stare ovunque tranne che lí. Chi si marita in fretta stenta adagio, dicevano. – Scusa –. MacNeil scrollò le spalle. – Dev’essere stato terribile per te, da sola –. Fece un passo verso di lei, con l’intenzione di abbracciarla, una tardiva offerta di conforto.
Lei alzò una mano. – No, – disse. – Se Sean se l’è preso, potrei averlo anch’io.
Lui frugò immediatamente nella tasca della giacca e ne estrasse il flacone di pastiglie che gli avevano dato all’inizio dell’emergenza. Quello che avrebbe dovuto restituire l’indomani mattina. Glielo tese. – To’, prendi queste.
– Cosa sono?
– Un ciclo completo di FluKill. Ne hanno distribuiti a tutti i poliziotti.
– E se ne avessi bisogno tu?
– Non importa. Per favore. Voglio che le abbia tu. Prendile.
– Teoricamente, si devono prendere solo se si è malati.
– Be’, se sei malata, prima le prendi e meglio è. To’ –. MacNeil gliele lanciò.
Lei prese il flacone al volo e guardò l’etichetta, poi l’ex marito. – Peccato che non fossi da queste parti quando Sean ne avrebbe avuto bisogno.
Fu un brutto colpo. Non ultimo perché era cosí ingiusto. – Sei stata tu a volere che me ne andassi.
Martha si mise il flaconcino in tasca. – Magari le prendo piú tardi –. Fece una pausa. – Mi accompagni al Dome? Non ho l’autorizzazione per girare in macchina. E non ci sono taxi.
Lui annuí. – Che cosa hanno detto?
– Di cosa?
– Delle sue probabilità.
Lei lo guardò. – Non hanno detto niente. Non ce n’è bisogno. Lo sanno tutti qual è il tasso di sopravvivenza –. Gli occhi le si riempirono di lacrime e Martha risucchiò in dentro il labbro inferiore, mordendolo fino a farselo sanguinare.
MacNeil non riusciva a guardarla negli occhi. Fissava la moquette, la mente alle tante volte in cui lui e il figlio ci avevano fatto le capriole e la lotta sopra. Quando Sean aveva piú o meno tre anni, avevano guardato un vecchio film con Clint Eastwood alla tv. Il buono, il brutto, il cattivo. Non si può neanche immaginare quali frasi restino appiccicate nella testa di un bambino. Eli Wallach aveva definito Eastwood un «traditore bastardo». E mentre padre e figlio giocavano alla lotta il giorno dopo, Sean gli aveva urlato: «Traditore mostardo!» E Jack e Martha avevano passato la mezz’ora successiva a ridere istericamente.
– Meglio che andiamo, allora.
In strada sembrava quasi chiaro, sebbene la luce fosse ancora appannata di foschia, e sempre piú fredda. In casa però c’era una tale deprimente cupezza che fuori si respirava una sorta di allegria.
Vide delle tende fremere mentre teneva aperto lo sportello del passeggero per Martha. I vicini avevano visto tutti l’ambulanza che portava via Sean. I MacNeil sarebbero stati dei paria adesso, lebbrosi dei tempi moderni. Nessuno li avrebbe avvicinati.

2.

Passarono sotto la sopraelevata che portava all’ingresso sud del Blackwall Tunnel Southern Approach e alla rotonda imboccarono Millennium Way. Davanti a loro si scorgeva quella specie di tendone sospeso sulle colonne d’acciaio inclinate verso l’esterno che dominavano la terra desolata di North Greenwich. La carreggiata doppia li portò in un paesaggio industriale abbandonato, fino a un parcheggio vicino alle stazioni della metropolitana e degli autobus. Da settimane né la prima né i secondi facevano corse, ma il parcheggio era pieno zeppo di macchine. All’entrata, alcuni soldati con la maschera antigas fecero loro segno di procedere, e MacNeil superò le file di ambulanze per raggiungere le recinzioni blu erette intorno al Millennium Dome – una follia che era costata miliardi di sterline e per la quale, dopo una breve vita come sala da concerti, si era finalmente trovato un utilizzo. La stavano riempiendo di malati e moribondi. Il suo ampio pian terreno era stato suddiviso a mo’ di alveare, e ci avevano portato migliaia di letti per allentare la pressione sugli ospedali della città. Una flotta di ambulanze e veicoli di forniture sanitarie era allineata lungo le banchine della stazione degli autobus.
MacNeil accostò alla mezzeria prima della rotonda in fondo alla strada, poi risalí una rampa e superò un varco d’accesso nella recinzione. L’asfalto rosso che correva intorno al Dome brulicava di veicoli e personale medico con la mascherina. Era il caos. Non c’erano cartelli che guidassero i visitatori, perché non ci si aspettava che ce ne fossero. Martha e MacNeil non avevano idea di quale porta usare, né di chi chiedere. Non c’era nessuno della sicurezza, e nessuno li degnò di un secondo sguardo quando entrarono in quello spazio grande e cavernoso racchiuso da teloni plastificati bianchi.
Il chiasso che riempiva l’aria era straordinario. Il rombo delle stufe in alto. Le migliaia di voci che coprivano i rumori dei malati. I nasi soffiati e i colpi di tosse e i gemiti e i conati. Li superò un letto spinto da portantini pallidi in divisa bianca. Il giovane uomo che vi era disteso sopra era morto, a malapena coperto da un lenzuolo macchiato del suo sangue e vomito, gli occhi aperti che fissavano il vuoto. MacNeil aveva la nausea. Suo figlio era lí da qualche parte. In quell’inferno. Se stava per morire, allora lui preferiva portarlo a morire a casa. Afferrò un’infermiera per un braccio, e la donna si girò. – Che c’è? – Lui vide la spossatezza nelle ombre del suo viso, gli occhi come velati dalla cataratta. Quella donna era stanca dei morti e insofferente ai vivi.
– Mio figlio è qui, non so dove. L’hanno ricoverato stamattina.
Un fugace momento di umanità fece capolino attraverso la stanchezza dell’infermiera. – Uscite e seguite la strada fino all’ingresso C. È lí che portano i nuovi arrivati –. In un attimo era sparita di nuovo nell’alveare.
MacNeil prese Martha per mano e si rifugiarono per alcuni brevi attimi nell’aria fresca, e nel sollievo di non sentire piú i moribondi. Si affrettarono lungo il perimetro del Dome, facendosi strada a spintoni e gomitate tra gruppi di operai che gli urlarono dietro arrabbiati. Il bisogno di trovare Sean era diventato irresistibile. La porta doppia dell’ingresso C era aperta e loro due si precipitarono dentro, dove all’accoglienza temporanea stavano registrando su un computer l’elenco dei ricoverati. Un’infermiera piú anziana, seduta dall’altra parte del bancone, li guardò riluttante da dietro la mascherina. – Posso esservi utile?
– Nostro figlio è stato portato qui in mattinata, – disse MacNeil. – Sean MacNeil. Otto anni.
– Non siamo organizzati per ricevere visitatori, qui. Mi dispiace –. Ma non aveva un tono dispiaciuto. – C’è un numero d’emergenza. Il centralino funziona h 24 sette giorni su sette.
C’era un portablocco sul bancone accanto a lei, con una pianta del piano e vari nomi scritti a matita. A MacNeil non venne subito in mente che la ragione per cui venivano scritti a matita era che cosí sarebbe stato facile cancellarli e sostituirli. Se ci avesse pensato, si sarebbe reso conto che era logico, visto l’avvicendamento di pazienti. Invece, agguantò d’istinto il portablocco.
– Ehi! – L’infermiera tentò di riafferrarlo, ma MacNeil lo teneva fuori dalla sua portata. – Adesso chiamo la polizia, – disse lei, una nota di isteria che cominciava a insinuarsi nella voce.
– Sono io la polizia, – disse lui. Diede una rapida scorsa alla pianta del piano. C’erano piú nomi di quanti riuscisse a leggerne. Il piano era stato diviso in sezioni, e c’erano altre cinque o s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Lockdown
  4. Prefazione
  5. Prologo
  6. Capitolo uno
  7. Capitolo due
  8. Capitolo tre
  9. Capitolo quattro
  10. Capitolo cinque
  11. Capitolo sei
  12. Capitolo sette
  13. Capitolo otto
  14. Capitolo nove
  15. Capitolo dieci
  16. Capitolo undici
  17. Capitolo dodici
  18. Capitolo tredici
  19. Capitolo quattordici
  20. Capitolo quindici
  21. Capitolo sedici
  22. Capitolo diciassette
  23. Capitolo diciotto
  24. Capitolo diciannove
  25. Capitolo venti
  26. Capitolo ventuno
  27. Capitolo ventidue
  28. Capitolo ventitre
  29. Capitolo ventiquattro
  30. Capitolo venticinque
  31. Capitolo ventisei
  32. Capitolo ventisette
  33. Ringraziamenti.
  34. Nota.
  35. Il libro
  36. L’autore
  37. Dello stesso autore
  38. Copyright