La filosofia e la vita etica
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La filosofia e la vita etica

  1. 288 pagine
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La filosofia e la vita etica

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Questo libro offre una presentazione dell'etica concepita come ricerca teorica e tradizione filosofica. L'etica non ha mai goduto prima d'ora dell'attenzione e del rispetto che le sono riconosciuti nella conversazione globale. È costituita da un lessico e da argomentazioni specifiche, che sono l'esito dello sviluppo della cultura moderna e democratica e della lunga vicenda filosofica. La ricerca sperimentale ha offerto inoltre studi nuovi e fertili che integrano il sapere filosofico e la storia della cultura. Il volume si apre con l'esame della condizione attuale della morale, all'apogeo della sua reputazione e stretta tuttavia tra moralismo e pulsioni autoritarie. Tratta quindi in dettaglio le nozioni principali, i modelli di critica filosofica, le teorie morali normative. Espone alcuni importanti risultati della ricerca sperimentale in psicologia e discute gli studi sulle origini evoluzionistiche della morale. I capitoli conclusivi mettono a fuoco le questioni della vita, che sono al centro della bioetica e dell'etica animale e ambientale, e affrontano i nuovi problemi sollevati dalle tecnologie digitali e dall'intelligenza artificiale. La ricerca etica è un campo pluralistico e compatto, in cui l'argomentazione razionale e l'osservazione empirica sono alleate delle discipline umanistiche e della storia della cultura nell'analisi dei problemi, nella proposta di diagnosi critiche e nella delineazione di soluzioni normative.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858435007
Capitolo quarto

Teorie morali

1. Ragioni e motivi.

Le modalità con cui l’etica si fa sentire, dando una direzione al ragionamento e spingendo all’azione, sono molte e diversificate. La morale che conosciamo si esprime attraverso considerazioni che prendono la forma di doveri e divieti, diritti e libertà, virtú e vizi, beni e mali che coinvolgono i singoli e le società intere. Ci domandiamo ora quali sono le forme basilari del ragionamento tramite cui diamo ragione dei nostri giudizi morali e ci risolviamo ad agire1.
Cominciamo con alcune considerazioni sulla distinzione tra motivi e ragioni. Motivi e ragioni sono aspetti distinti della deliberazione, perché potremmo essere convinti da un ragionamento e comunque non agire di conseguenza. Oppure potremmo essere spinti ad agire muniti di idee molto vaghe su ciò che potrebbe giustificare ciò che pensiamo che vada fatto. L’esternalismo sostiene che motivi e ragioni sono fattori separati della morale. Hobbes riteneva che nella comunità politica obbligo e motivi prendessero strade diverse: siamo obbligati a ubbidire al sovrano perché le sue sono le leggi ma la motivazione è data dalla forza della spada, vale a dire della paura della punizione che ne potrebbe derivare. Piú tardi, gli intuizionisti come William David Ross nel Novecento sostennero che le verità morali sono autoevidenti, mentre la motivazione dipende da altri fattori indipendenti come l’educazione. I filosofi morali al cuore della modernità la pensano però diversamente e difendono una posizione internalista. Essi ritengono che lo sviluppo della morale nelle società avanzate, dove essa è sottratta alla religione, è rimessa nelle mani degli individui e delle società ed è resa indipendente dal diritto, richieda che ragioni e motivi vadano per la stessa strada. Cosí la pensa Hume, per il quale le considerazioni morali sono in quanto tali motivanti perché sono una questione di sentimenti e non di ragione. Egli scrive: «La morale, perciò, è piú propriamente oggetto di sentimento che di giudizio»2, e afferma che la ragione da sola non muove nulla. Allo stesso modo la pensa Kant ma per ragioni opposte. La morale è questione solo di giudizio e di ragione, ma la ragione che comanda alla volontà ha una sua peculiare capacità di motivare che si avverte nell’ammutolirsi dei sentimenti e delle inclinazioni non morali che lasciano operare incontrastata la legge morale3. Tuttavia, una concezione morale fondamentale come l’utilitarismo ha preso una posizione diversa e piú complessa. Da una parte, riconosce che ciò che giustifica la condotta morale, vale a dire la realizzazione della massima felicità per il maggior numero, rientra tra i motivi individuali, perché perseguire il proprio interesse contribuisce all’interesse generale e perché le persone hanno motivi genuini rivolti all’interesse generale (la benevolenza), una posizione sostenuta da Bentham e in particolare da Mill che punta molto sull’educazione morale dell’umanità. Dall’altra, la ricerca morale è un’attività intellettuale specializzata che non va confusa con le miriadi di motivi che spingono le persone ad agire. Come scrive Henry Sidgwick: «non si deve intendere che la dottrina secondo la quale la felicità universale è il criterio ultimo implichi che la benevolenza universale sia il solo motivo giusto oppure che sia sempre il miglior motivo di azione. […] se l’esperienza mostra che la felicità generale viene conseguita in maniera piú soddisfacente quando gli uomini agiscono frequentemente in base a motivi diversi rispetto a quelli della pura filantropia universale, è ovvio che è ragionevole preferire questi altri motivi proprio in base a principî utilitaristi»4.
Nel difendere posizioni che ora chiamiamo internaliste, Hume e Kant inaugurano l’etica moderna che ritiene che i singoli individui possano diventare soggetti moralmente competenti che riflettono e agiscono sulla base di ragioni di cui sono convinti e che li motivano: non agiscono per paura del sovrano o del superiore o per paura della punizione di Dio. Le persone possono ambire a diventare morali ragionando e motivando se stesse a comportarsi di conseguenza, senza bisogno di un’autorità esterna che pensa per loro e che li spinge ad agire. Hume e Kant danno voce perciò all’idea che la morale possa sussistere come impresa intellettuale e pratica autonoma rispetto al diritto e alla religione, i cui protagonisti sono le persone comuni e non un ceto di esperti, clerici o laici che siano, che fa parte di una valorizzazione della vita comune che comincia già con Hobbes e che ritroviamo in tutti i grandi classici del Seicento e del Settecento5. In questa luce, l’utilitarismo costituisce un episodio successivo in cui, acquisita l’autonomia della morale e l’approccio individualistico, si sviluppa l’idea che, una volta liberata dalla religione, dalle gerarchie e dal legame con gli strumenti del governo, l’etica sia una ricerca che può facilmente separarsi dall’insieme di convincimenti, intuizioni e reazioni che contraddistinguono la vita comune. Cosí separata, essa diventa un sapere specializzato che una volta che torna a riflettere sull’esperienza comune ne corregge errori e pregiudizi e ne indica la direzione. Questa è l’idea centrale alle spalle della concezione dell’etica come teoria che si serve dell’impianto normativo elaborato dalla filosofia e del contributo della psicologia sperimentale unito a quello delle scienze evoluzionistiche.

2. La morale riflessiva.

Quali sono le forme del ragionamento morale o, se vogliamo, i criteri o i principî morali piú astratti che guidano l’azione e che ne costituiscono i criteri di giustificazione? La riposta a questa domanda delinea le diverse teorie normative elaborate dalla filosofia morale. In senso ampio possiamo elencare molte teorie, dall’utilitarismo al kantismo, al contrattualismo, all’etica della virtú e della cura, a cui ne possono essere aggiunte delle altre. Dobbiamo però cominciare con il precisare cosa intendiamo per criterio normativo. Intendiamo qui i criteri generali che possono essere usati per riflettere su cosa è giusto compiere quando la morale consuetudinaria non basta piú: quando un individuo è diviso dal conflitto tra diversi beni o diverse ragioni a favore di un corso di azione, quando sorgono disaccordi che dividono una comunità morale e quando i disaccordi dividono diverse comunità morali. Conflitti interni all’individuo e disaccordi tra individui dentro una comunità o al di là della propria comunità mettono in luce la situazione in cui non è piú sufficiente fare appello alle valutazioni e ai codici morali che prevalgono, che sono stati insegnati e che sono presi per autorevoli6. L’abitudine, l’autorità e la tradizione sono messe in discussione ed emerge il bisogno di riflettere, di ragionare su cosa sia meglio fare. Non si tratta solo di giustificare un singolo corso di azione ma anche di riflettere sui criteri ultimi, sui principî piú generali, ed è a quel livello che si crea il conflitto interno o il disaccordo esterno che mette in discussione la morale ereditata.
Secondo John Dewey nel volume Ethics, che scrisse in collaborazione con James Tufts, quando sorge il bisogno di riflettere sui propri criteri normativi si realizza il passaggio da una morale consuetudinaria a una morale riflessiva7. Una morale riflessiva è quella che si interroga sui criteri normativi delle proprie pratiche domandandone le ragioni. Nel domandare ragione di valori e principî condivisi si mette in discussione la comunità e si porta la morale al livello dell’individuo. La morale riflessiva non è piú di gruppo ma individuale. Solo quest’ultima è una morale completa, scrive Tufts nella prima parte dell’opera: un’affermazione che è normativa in relazione a ciò che ci aspettiamo che sia la sfera della morale e descrittiva rispetto allo sviluppo della morale sul piano dell’evoluzione storica e della psicologia evolutiva della singola persona. La bambina e il bambino che interrogano gli adulti, che non accettano la loro semplice autorità e ne chiedono ragioni con la caratteristica domanda «perché?», offrono un primo esempio del passaggio a una morale riflessiva e individualistica. Lo sviluppo morale della persona contempla, infatti, la transizione dall’obbedienza dell’autorità all’accettazione riflessiva di ciò che va fatto in cui le ragioni sono comprese e accettate individualmente. Al livello sociale il passaggio è dalla morale di gruppo fatta valere dall’approvazione pubblica, dai tabú, dai riti e dalla forza dei superiori, alla morale riflessiva.
Il progresso [dalla morale consuetudinaria alla morale riflessiva] deve (1) sostituire l’accettazione passiva abituale con un qualche metodo razionale con cui si stabiliscono standard e si formano i valori, (2) assicurare la scelta e l’interesse volontari e personali al posto dell’identificazione inconsapevole con il benessere di gruppo o la risposta istintiva e abituale ai bisogni del gruppo; (3) incoraggiare al contempo lo sviluppo individuale e la richiesta che tutti abbiano parte in tale sviluppo – il valore e la felicità della persona e di ciascuna persona8.
Come vedremo, alcune spiegazioni della storia naturale della morale in chiave evoluzionistica nonché di psicologia dello sviluppo riprendono questo quadro cruciale che mette al centro il passaggio dalla morale di gruppo a una morale riflessiva e individualistica. Sul piano dell’evoluzione storica, Dewey e Tufts individuano l’epoca dei profeti nella storia ebraica e il tempo di Socrate con i greci come momenti in cui sorge in modo chiaro una morale riflessiva. Al contempo, sostengono che la storia umana ha attraversato molte volte momenti in cui la morale acquisita è apparsa inadeguata e ha richiesto un passaggio a una nuova morale riflessiva rispetto alla precedente: «Ci sono periodi nella storia quando un’intera comunità o un gruppo in una comunità si trova ad avere a che fare con questioni nuove che i vecchi costumi non riescono ad affrontare. Le abitudini e le credenze che si erano formate nel passato non sono piú in grado di rispondere alle opportunità e alle richieste della vita contemporanea»9. Mill aveva espresso una posizione simile quando sosteneva che è nei periodi critici della storia dell’umanità, quando «si era rovesciato un vecchio dispotismo mentale, ma ancora nessun altro ne aveva preso il posto», che la credenza morale diventa riflessiva e investe completamente l’individuo, mentre nei periodi di conformismo intellettuale le credenze assomigliano a dei gusci vuoti da dove è fuggita via l’essenza piú intima10.
In termini evolutivi possiamo affermare che la morale umana è caratterizzata dalla riflessione sulle proprie regole e codici e che tale potenzialità riflessiva prende forma culturalmente per la prima volta in determinati periodi storici nelle diverse civiltà, come nella Grecia di Socrate nella storia europea. La cultura morale attraversa quindi varie fasi di apertura alla riflessione e di chiusura nei codici e nelle consuetudini acquisite. Tuttavia possiamo parlare della morale completa, come la chiamano Dewey e Tufts, in termini non solo descrittivi ma normativi, e chiederci quale sia la forma che la riflessione deve prendere per una morale intesa in senso completo. La nostra domanda sui criteri normativi riguarda questo tipo di morale.

3. Il relativismo etico, la ragione e l’immaginazione.

La morale cosí intesa è riflessiva e deve rendersi responsabile delle proprie ragioni di fronte a chiunque la possa contestare in modo non puramente verbale, senza arrestarsi a un certo punto affermando che una linea generale di condotta è giusta perché si tratta di convinzioni profonde di una certa comunità o di un gruppo di persone, introducendo con ciò una clausola relativistica. Il relativismo però è una posizione che è stata sostenuta in filosofia11. La forma piú comune è il relativismo descrittivo, che sostiene che la storia e l’osservazione di popoli lontani ci danno esempi di una varietà di codici e consuetudini morali. Troviamo questa tesi già in Erodoto che osservava che i greci consideravano empio il comportamento degli indiani che si cibavano delle salme dei genitori mentre gli indiani trovavano altrettanto empi i greci che li bruciavano. Il relativismo descrittivo segna quindi la prima modernità negli scritti di Montaigne e arriva sino a Hume. Il marchese de Sade si divertí molto a narrare di società esotiche con costumi morali che rovesciavano i pilastri e i tabú della società cristiana. Nel Novecento l’antropologia culturale ha spesso fornito argomenti a favore della relatività dei costumi, anche per sottolineare il carattere culturalmente variabile dei criteri di condotta in polemica contro l’etnocentrismo che aveva caratterizzato la cultura europea e occidentale. Il relativismo descrittivo in una certa misura può essere ridimensionato, ricostruendo principî morali molto generali comuni sulla base dei quali possono essere spiegate piú vistose differenze dei principî particolari: questa è la strada percorsa da Hume. Egli pensava in particolare che vi fossero due criteri di condotta che mettevano in discussione la capacità degli esseri umani di convergere su un insieme coerente di virtú, capaci di realizzare un ordine sociale pacifico e fruttuoso: la superstizione che sorge dalla paura e dall’ignoranza e il fanatismo che sorge dalla presunzione e dall’orgoglio uniti all’ignoranza. La religione è la fonte principale di entrambi anche se il fanatismo politico che aveva animato ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA FILOSOFIA E LA VITA ETICA
  4. I. La morale oggi
  5. II. Definizioni e principî
  6. III. La morale senza normatività
  7. IV. Teorie morali
  8. V. Metodi dell’etica
  9. VI. Le origini della morale
  10. VII. Bioetica, animali e ambienti
  11. VIII. Vite digitali e robotiche
  12. Bibliografia
  13. Indici
  14. Il libro
  15. L’autore
  16. Dello stesso autore
  17. Copyright