Schiuma di quanti
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Schiuma di quanti

  1. 208 pagine
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Spesso nella poesia di Grünbein tutto parte da un'immagine colta al volo: un gruppo di migranti sdraiati in un prato, due moto incastrate dopo un incidente, una barca rovesciata da un'onda… Ma poi da quell'immagine nascono altre immagini, per associazioni a volte sorprendenti, sempre illuminanti. E riflessioni che coinvolgono le piú varie branche del pensiero, non ultime le neuroscienze e la fisica quantistica. Queste connessioni improvvise e impreviste sono espresse in maniera lucida, non sentimentale, ma a partire dallo spiazzamento mentale toccano poi corde sempre piú profonde e coinvolgenti. Oppure, se non da immagini, si parte dalle parole: da metafore come quella del cervello-ripostiglio in Umanista misantropo, una delle poesie piú emblematiche; o da serie di parole legate tra loro da nessi fonetici e semantici, come nei Verbi bianchi. E si procede di lí, introducendo anche elementi autobiografici, in un argomentare a briglia sciolta, sempre sul filo delle analogie e delle evocazioni. I versi di Grünbein sono quanto di piú ambiguo si possa pensare. Da un lato, con la loro lunghezza e la sintassi articolata, dànno l'impressione di un ragionamento logico e controllato, dall'altro propongono salti sfrenati in universi di senso a cui è possibile accostarsi solo con l'intuizione. È l'ambiguità dei grandi poeti-filosofi, categoria alla quale Grünbein appartiene ormai con piena sicurezza.

Schiuma di quanti raccoglie poesie dalle ultime tre raccolte di Grünbein pubblicate in Germania, piú una serie di versi ancora inediti.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
ISBN
9788858435359
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia
Candele d’accensione

da Zündkerzen, 2017

Da un libro delle debolezze

Agenda gigantesca questa vita –
all’arrivo diversa e poi cosí.
Se chiudiamo gli occhi ci vediamo
su un ascensore che conta gli anni come si contano i piani.
Di tanto in tanto uno che scende e corre verso di sé
lungo l’andito, sosia di se stesso.
Per metà inciampa, bussa a porte sbagliate
perché fuori c’è dipinto un cuore. E poi –
c’è il crollo, una stanchezza che fa cosí bene.
Di giorno in giorno cade un petalo di fiore
dal folle mazzo che nel suo splendore ieri
fece quasi esplodere quel vaso.
Ortensia azzurra, anemone selvatico, tulipano nero –
suona tutto libera improvvisazione:
studi per un pianoforte giocattolo – un verso senza aggancio.
E senz’aggancio vuol dire: che moriamo
senza notarlo, e a un tratto ci dà gioia
vivere come se fossimo immortali,
mentre la scrittura ci argina e ogni singola parola
è centrale. Su, comincia,
scrivi un libro delle tue debolezze quotidiane.

Uova crude

Vennero dei ladri di pigne gelate,
spezzarono la punta alle parole.
I partigiani del nuovo.
Dopo di loro restano le domande.
Che cos’è il nuovo, chiesero
con facce serie per tre lunghi giorni
i dotti di svariate discipline
al loro congresso sulla serialità.
Auto dalla catena di montaggio, idee
fresche dall’officina platonica.
E una vita umana non era
una goccia d’olio sull’asfalto che scotta?
Per quanto profondo fosse un pensiero
ci tenevamo al suo volume.
Le nostre invenzioni le trasportammo
come uova crude nella polvere della strada.
Ne dipendevano le nostre emozioni.

Psiche corre

Ci sono giorni che ci aiuta solo buttarci a correre
nella mischia umana che riempie le strade fino all’orlo.
Correre correre – avido come sei di volti,
tagliar dentro il traffico piú fitto.
Allora la città diventa una pubblica psichiatria. Non riconosciuto
trascini solo ciò che puoi, il peso
della tua psiche. Ti senti piacevolmente vuoto.
Ci sei, non ci sei – tu, uguale a tutti.
Solitudine era la folla, comune a ognuno,
e dai tempi di scuola il maggiore imbroglio: la matematica.
Un esercizio per portare se stessi a sparire,
feroce dottrina che guariva ogni arroganza.
La soluzione era correre, correre. Dal cervello, dalla nuca
si usciva per la città in anelli concentrici.

Décolleté

A volte basta una clavicola,
cadere in un paio d’occhi –
e il dolore divampa
su ogni rinuncia ogni perdita
in una vita umana.
Adesso si vede: è molto breve,
la bella stagione è subito finita.
Vane le chances, le avances.
«Ultimo giro», avverte il cameriere
e appallottola i tovaglioli.
Quante cose parevano facili da raggiungere.
Ma adesso siamo ai saldi,
un lampo fra scadenze,
progetti di viaggio, profilassi dentistica
a turno verso il finale della festa.
Si tratta di prenotarsi in tempo.
Un’occhiata alle richieste di contatti:
si tratta di date della nostalgia,
colori di capelli e misura del torace.
Il lato B della vita
è cominciato: dodecafonico,
anche per orecchi non esercitati.
Comunque cresce la commozione
d’ora in ora. Si vorrebbe non cadere
cosí in basso. Si vorrebbe
essere di nuovo il foglio bianco.

La settima onda

Fu la settima onda a rovesciarci,
veniva da lontano, un vecchio frangente grigio,
sfatto come la rupe di Gibilterra.
Come fossero altari a crollare, chiese intere,
strade del centro di città bombardate.
Il mare ci seppellí sotto tonnellate di rifiuti.
Ma non era la fine. Là dove
cielo e acqua si mescolano,
dietro le boe, riemergemmo.
Come rinati, da rivoli di schiuma.
Questo non c’era – amore.
Non come costante naturale. Ma quel che c’era
era il cambio delle maree nella psiche,
le forze intermittenti dentro il corpo.
Era il migrare in cerca di un nome uguale.

Certi punti

per Christine Becker
Mele al supermercato, pesche messe da parte
perché ammaccate, banane maculate,
troppo a lungo v’indugia lo sguardo.
Non se ne libera, studia la rovina.
A premere con meno pietà con le loro dita ossute
sono gli anziani. Fichi feriti, prugne
con grumi grotteschi,
tutto rimettono giú, schifati, affascinati.
Noi siamo come questa frutta guasta, dice lei,
passata per tante mani, danneggiata,
solo che non si vede. Celata dalle vesti
la pelle si riprende dalle emorragie.
Ma è alla cassa che gli occhi s’illuminano,
incorruttibili, di qua della scadenza.
In coda c’è una donna a braccia nude,
posa arance sul nastro, anche dei kivi. Mostra
le sue viole, i segni dell’amore di quest’ultima notte.

Carciofi

Al meglio le afferra il pollice
queste aguzze foglie del frutto chiuso,
involto stretto in una conocchia,
squame di drago che si fanno sempre piú tenere,
molli andando verso il suo cuore
che coperto di peli è lí nel fieno.
Un cesto di bocci di fiori al mercato,
ricco raccolto della falce. I colli
vengono staccati adagio come in Cina
le gole delle oche laccate.
Eccoli lí,
teste atrofizzate di guerrieri extraterrestri,
verdi calici da eucaristia, tolte le foglie
in cerca della carne,
corazzate ombrelle sullo stelo.
Grandi i francesi, scolpiti nella pietra
sono la piú bella decorazione di balaustra
per l’Orangerie di Versailles,
i romani sono piú piccoli, senza spine,
e si attaccano al palato
come una banda di mafiosi
al suo sanguinario clan.

Transit

I camion bianchi in viaggio verso sud
e quelli in direzione opposta: un flusso senza fine
di beni e di rifiuti, macchine e frutta
si riversa per le valli alpine,
sui passi, sulle gole cementate.
Grandi nuvole sconvolte li seguono
sui parabrezza e farfalle notturne
frusciano nelle vigne lungo le tratte
dove una traccia nera di frenata segnala un incidente.
Anche nelle cellule dei meli
monta una catastrofe segreta.
Come tutto scorre senza frizioni.
Come sembra tutto pacifico, civilizzato.
C’è la sovrabbondanza e la burocrazia.
C’è il cemento e ci sono le banane,
il muto panico degli animali sui mezzi di trasporto
e le fitte allo stomaco.
Cosí appare la morte che non si vede?
Al supermercato stupefacente offerta:
carne di minotauro, oggi a metà prezzo!

Il proiettore

Chi noi saremmo stati era
cosí poco prevedibile come il caso
arrivato improvviso quando ognuno pensava
(e non pensavano ad altro) –
finché non diventammo quelli che siamo.
Signore e signori! Il film mostra
come tutto si muove verso qualcosa
che si trova assai fuori. Qualcuno agisce,
come volesse distruggere lo schermo.
Eppure resta legato al momento.
Qui e là si apre una finestra in cui
i cieli estivi di domani
appaiono nelle rovine di ieri.
Io lo so quante estati abbiamo?
Se le riconosciamo per quel che sono,
queste scene all’aperto in cui
ci sgusciavamo accanto come pesci di velo
in questa particolare luce d’oro?
Una cosa so, il giorno tiene sotto
vetro ciò che accadrà per primo.
Le cose si allontanano, si accostano
nella luce del film: e sono io il proiettore.

La voliera della pittura

per Mart...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. SCHIUMA DI QUANTI
  4. Colosso nella nebbia. da Koloss im Nebel, 2012
  5. Aroma. Un album romano. da Aroma. Ein römisches Zeichenbuch, 2010
  6. Candele d’accensione. da Zündkerzen, 2017
  7. Inedite
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright