1. Ebrei stregoni, ebrei e stregoni.
La credenza ebraica nell’astrologia, intesa come studio dell’influsso degli astri sulla vita degli uomini, con il suo conseguente utilizzo per conoscere il futuro, redigere pronostici, ma anche per attivare pratiche magiche e stregonesche1, era condivisa ampiamente dal mondo cristiano. Ma ciò non impedí la nascita di quella che è stata definita «la leggenda della stregoneria ebraica»2. Per i loro riti e usanze, oltre che per l’ostilità di cui erano oggetto, gli ebrei erano considerati maghi e negromanti per eccellenza: ma, non troppo paradossalmente, proprio in conseguenza di questa fama i cristiani si rivolgevano a loro in caso di bisogno di esperti e mediatori di magia. Nello stesso modo si rivolgevano ai medici ebrei, reputati molto competenti, nonostante i divieti di avvalersene costantemente reiterati dai pontefici e le voci e il timore di essere da loro avvelenati3. Del resto, come si è visto, anche le accuse di omicidio rituale dei bambini cristiani o di profanazione delle ostie, con relativi miracoli di effusione di sangue rivelatore dell’infamia perpetrata e dei suoi autori, rientravano nella categoria delle pratiche magiche, diaboliche e stregonesche degli ebrei che, appunto, secondo la percezione comune, si servivano per i loro riti del sangue dei cristiani oppure delle ostie consacrate. Queste ultime, secondo le accuse, venivano violentate e disprezzate fino al punto che gli ebrei imponevano alle balie cristiane che avessero appena assunto la sacra particola e che allattavano i loro bambini di gettare nelle latrine il loro latte affinché non contaminasse il sangue degli infanti4.
Ma non era necessario arrivare a queste imputazioni gravissime e alle loro conseguenze violente e disastrose per gli ebrei, anche e soprattutto nel lungo periodo. Le accuse piú diffuse e banali nei loro confronti riguardavano infatti la vita quotidiana, come denunciavano bolle ed editti: si trattava di pratiche di magia spicciola e di «superstizioni», di sortilegi e rituali o formule di preghiera finalizzati al ritrovamento di oggetti o presunti tesori, alla costruzione di filtri d’amore e di amuleti, all’esercizio di una medicina popolare o alla divinazione di eventi futuri. Fin dal Cinquecento sono testimoniati casi di ebrei stregoni di cui erano frequentatori e clienti molti cristiani e perfino ecclesiastici. È il caso di Gioseffo, che operava le sue arti a Imola e che nel 1580 fu condannato dall’Inquisizione alla berlina, alla frusta in pubblico e infine venne bandito da tutto lo Stato della Chiesa5. D’altro canto, mentre cristiani ed ebrei compivano insieme sortilegi e rituali magici, condividendo pienamente la stessa cultura e dimostrando anche in questo campo che la realtà dell’esclusione e della repressione non impediva gli scambi, i rapporti e la rete dei contatti, l’antica tradizione della specializzazione e della superiorità degli ebrei nel campo della magia traeva vivo alimento anche dalla peculiarità e dall’esotismo della lingua ebraica, la lingua in cui erano state redatte le Scritture, l’unica che, secondo alcuni esegeti, gli angeli capivano; un idioma incomprensibile, ritenuto molto efficace per le formule magiche proprio per questi suoi caratteri di oscurità e segretezza, spesso storpiato e comunque dall’incerto significato6. La grammatica delle scienze occulte era scritta in caratteri ebraici, veri o immaginari che fossero. Lo stesso procedimento messo in atto per la fabbricazione e poi la disattivazione dell’androide difensore degli ebrei, il golem, procedimento che prevedeva tra vari atti l’utilizzo di un formulario tratto da un libro particolare e un determinato uso della lingua e dell’alfabeto ebraici, non costituiva soltanto un tipico esempio di rituale cabbalistico, ma costruiva un preciso procedimento magico-esoterico in cui protagonista era la parola/scrittura7.
Che gli ebrei dovessero essere perseguiti per la loro dimestichezza con le arti magiche era una convinzione di lunga data dei cristiani in genere e anche dei pontefici. Abbiamo visto come esistesse una consolidata base giuridica che, attraverso le costituzioni papali, prendeva di mira le pratiche magiche attribuite agli ebrei e stabiliva le modalità con cui si doveva procedere in materia8. Piú in generale, sui sortilegi da chiunque effettuati, non solo dagli ebrei, e sulle pratiche astrologiche e divinatorie in particolare, la normativa pontificia e inquisitoriale era precisa e definita, cosí come lo erano le pene, molto severe. Già alla fine del Cinquecento, il clima in materia di astrologia e di magia era cambiato rispetto al mondo degli umanisti affascinati dalla cultura ebraica e dalla Kabbalah. La bolla di Sisto V Coeli et terrae del 1586, diretta contro l’astrologia e la magia colta e in particolare contro coloro che conservavano e leggevano libri di ogni genere di divinazione9, prevedeva che fossero gli inquisitori a occuparsi anche delle cosiddette «superstizioni semplici», vale a dire dei libri e delle pratiche magiche meno gravi e piú diffuse, imputabili di «abuso di cose e parole sacre», ma non riconducibili alla stregoneria diabolica10. Il documento papale, ribadito e ampliato l’anno seguente dalla costituzione Immensa Aeterni Dei emanata dal medesimo pontefice, sancí perciò la fine della distinzione tra sortilegi ereticali e semplici sul piano delle competenze, ora solo ed esclusivamente inquisitoriali, con la sconfitta delle pretese dei giudici secolari; e sancí di conseguenza anche la fine delle differenziazioni nette tra le varie tipologie di delitti a causa della progressiva estensione della categoria di eresia11. Dal momento che il tribunale deputato alla «eretica pravità» si doveva occupare di tutte le varietà di sortilegi e dell’intero universo della magia, la conseguenza era che queste sfere rientravano senza distinzioni nella dimensione ereticale. Questo passaggio peraltro era avvenuto per gli ebrei stessi, in quanto individui: come si è visto, essi, che eretici non erano, solo per il fatto di essere sottoposti alla giurisdizione del Sant’Uffizio relativamente alle materie di fede diventavano eretici o almeno venivano a loro assimilati12.
La costituzione sistina Coeli et terrae aveva condannato l’astrologia nel suo complesso e ogni altra pratica di divinazione. Tutte le arti divinatorie, dall’astrologia dotta fino alle piú volgari evocazioni del demonio negli specchi e nelle caraffe piene d’acqua e al lancio delle sorti, erano perciò inserite nell’accusa di superstizione e arte magica e definite opera del demonio. Come si è detto in precedenza, la bolla era indirizzata genericamente a tutto il mondo dell’astrologia e non nominava esplicitamente gli ebrei; ma a nessuno poteva sfuggire quanto nelle pratiche empie cosí accuratamente descritte dal decreto papale la cultura cristiana e quella ebraica si confondessero e condividessero una base comune. E, del resto, non si può non notare la coincidenza cronologica tra le disposizioni pontificie emanate esplicitamente contro la magia ebraica, quale la bolla del 1581, e quelle piú generali del 1586, indirizzate a tutti.
Con il passare del tempo, nella percezione dottrinale la distinzione tra sortilegi qualificati e semplici si andò appannando all’interno di una generica e comune definizione di eresia: le categorie di reati oggetto di indagine inquisitoriale divennero sempre piú quelle relative a bestemmie, abusi di sacramenti e cose sacre, sortilegi di varia tipologia, rituali sospetti di patto implicito con il demonio, preghiere «superstiziose», formule di orazioni a fini specifici, sí che il fortunato manuale inquisitoriale di fine Seicento redatto per Ferrara dall’inquisitore locale Tommaso Menghini, Regole del tribunale del Sant’Officio (quattro edizioni dal 1683 al 1702), indicava proprio queste come le materie piú frequenti e degne di attenzione da parte dei giudici della fede13. Ma ancora prima, nel 1606, già il celebre giurista Prospero Farinacci aveva insistito sul delitto di «abuso di cose sacre» e sulla commistione di sacro e profano definendoli reati ereticali e poco dopo, nei primi decenni del Seicento, anche la Prattica attribuita a Desiderio Scaglia, nel capitolo VIII dedicato ai sortilegi, pur dando una descrizione di quelli qualificati, cioè implicanti il patto con il demonio, finiva per coinvolgere tutte le tipologie di sortilegi nella categoria dell’eresia e nelle medesime pene14. Ciò che preoccupava soprattutto erano quelli che implicavano l’uso e l’abuso di cose sacre e la mescolanza di sacro e profano, nonché l’intaccamento del monopolio del sacro detenuto dalla Chiesa e dal clero.
Tuttavia, non si trattava soltanto di controllare le espressioni della cultura popolare e folklorica e di censire le pratiche di tipo magico e stregonesco rivelate da comportamenti illeciti e da libri superstiziosi da distruggere. La presenza nelle operette sequestrate o nei verbali di interrogatorio di angeli e demoni, di amuleti, di carte protettive ricolme di strani segni e incomprensibili caratteri, di sogni, di rituali specifici come quello della caraffa, altrimenti detto dell’«inghistara», dell’invocazione di diavoli e di clavicule di Salomone evoca un universo magico, non solo popolare, caratterizzato da una commistione culturale assai pericolosa e sospetta. Una commistione che forse non andrebbe trascurata per interpretare il fenomeno della magia e che rende difficile ridurlo a semplice materia popolare – o femminile – su cui occorreva intervenire cautamente, da parte delle autorità inquisitoriali, soprattutto per educare e per trarne informazioni15.
Insomma, nella persistente attenzione dell’Inquisizione romana alla dimensione magico-rituale, una volta debellata l’eresia della Riforma, quanto entravano la percezione diabolica della magia ebraica e il timore nei confronti di un pericoloso connubio? E quanto influiva la specializzazione in senso antiebraico assunta sempre piú nel tempo dall’Inquisizione stessa, come dimostra anche la mole documentaria in materia di controllo di questa minacciosa «diversità», assimilata all’eresia, conservata negli archivi del Sant’Uffizio16?
Gli studi sulla stregoneria, la magia e i sortilegi in età moderna, pure recentemente rifioriti e rinnovati anche per l’Italia, soprattutto sul piano dell’analisi delle procedure e delle competenze giurisdizionali, non si sono, tranne poche eccezioni17, soffermati sul nesso fra tali pratiche e l’ebraismo e sulle ragioni dell’interesse evidente dei giudici nei confronti della magia e della stregoneria ebraiche. Anche in questo campo, la separatezza quasi istituzionalizzata esistente in Italia tra la storia degli ebrei e la storia generale della penisola – due storie che dialogano a stento – segnala innanzi tutto un problema storiografico, vale a dire la mancata consapevolezza dell’interazione storica tra le due vicende e la persistenza di tale atteggiamento; ma quel che è piú grave è che essa induce a una debolezza interpretativa che nasce dal trascurare uno degli elementi in gioco in materia di magia. Le pratiche magiche, vere o supposte, degli ebrei sembrano costituire invece un dato rilevante per la comprensione di quelle dei cristiani nonché delle scelte e delle modalità di persecuzione di entrambe. Al fine di ricostruire un quadro piú articolato e complesso della questione stregoneria e della sua repressione, ho scelto perciò di soffermarmi sulla assai poco nota documentazione relativa ai procedimenti per stregoneria riguardanti gli ebrei, magari con complici cristiani, mentre ho trascurato quella assai piú conosciuta relativa ai soli cristiani.
La lunga sopravvivenza delle credenze demonologiche ben oltre il Cinquecento e fino almeno al cuore dell’età dei Lumi, anche quando l’attività di repressione della stregoneria si era da tempo allentata a partire dalla «svolta moderata» della fine del XVI secolo18, il mantenimento del controllo attento su tali credenze – di ebrei e di cristiani – da parte delle autorità ecclesiastiche e in particolare dell’Inquisizione romana a cui dovevano essere inviati dai tribunali periferici i casi di sortilegi e divinazione su cui decidere, la tipologia e la morfologia delle vicende sottoposte all’esame, pongono alcune questioni, storiografiche e metodologiche, inedite su cui bisognerebbe riflettere. Da un lato, emerge il rapporto cronologico istituibile tra la fine dell’ossessione stregonesca e la ripresa di un piú virulento antiebraismo, per cui è possibile pensare che il passaggio dalla repressione della stregoneria a quella dei sortilegi e delle divinazioni costituisca un mutamento cruciale per la persecuzione degli ebrei, divenuti i soli destinatari delle paure e delle angosce della società19; dall’altro lato, la circolazione ampia nel mondo cristiano della cultura magica ed esoterica degli ebrei impensieriva gli inquisitori e spingeva sempre piú verso la demonizzazione della diversità ebraica. Infine, c’è da tener conto della partecipazione degli stessi esponenti degli istituti repressivi al paradigma demonologico su cui indagavano e da cui riceveva...