La notte in cui è successo la prima volta, stavo guardando un vecchio film in camera.
Mi capita spesso di guardare la tivú tardi, il volume al minimo per non disturbare mia moglie, i sottotitoli attivi per capirci qualcosa. La sera prendo sonno troppo presto, poi mi sveglio a notte fonda quando è Claudia a dormire e, da lí, non c’è piú verso. Ho provato con la camomilla, il biancospino, la melatonina, infine il medico mi ha prescritto il lorazepam, ma niente: la mia routine è rimasta invariata.
La luce bianca del televisore rischiarava appena il buio della stanza, Claudia mi dava le spalle nel letto e russava – mi ucciderebbe se sapesse che lo sto raccontando. A un certo punto si è interrotta e ha tossito tre volte, l’ultima piú forte.
– Clà? – ho sussurrato mentre, sullo schermo, George Peppard chiedeva a Audrey Hepburn se poteva usare il suo telefono. Ho allungato una mano e le ho accarezzato piano la nuca, lei ha tossito ancora, sembrava che qualcosa le impedisse di respirare bene.
È in quel momento che mi sono girato e l’ho visto.
Il coniglio era lí, rannicchiato fra i capelli di mia moglie.
Subito mi sono spaventato a morte, ho ritirato svelto la mano, prima ancora di avere il tempo di chiedermi cosa ci facesse un coniglio in camera nostra. Ho pensato a un sogno da sveglio e mi sono stropicciato la faccia per qualche secondo, ma non è servito: lo vedevo ancora. Bianco, due occhi rossi che parevano sanguinare, raggomitolato in mezzo ai capelli biondi di Claudia come tra i fili di paglia di una tana, mi fissava con un’espressione che – se me lo avessero chiesto – avrei definito di profonda malinconia.
Sono balzato giú dal letto e ho acceso la luce.
Quando la stanza si è illuminata, il coniglio è scomparso come non ci fosse mai stato.
– Mmmh? Ma che fai? – si è lamentata Claudia, portando il braccio sul viso.
– Avevi un coniglio in testa!
– Cosa?
– Te lo giuro, c’era un coniglio bianco, proprio lí!
– Un coniglio?
– Sí, sí, era fra i tuoi capelli, madonna non hai idea dello spavento!
Claudia si è voltata verso il comodino, l’orologio segnava l’una e quarantasette. Si è tirata su piano, ha puntato il gomito sul cuscino e ha appoggiato il mento alla mano.
– E dove sarebbe, ora, questo coniglio?
– Non lo so, non appena ho acceso la luce è scomparso.
Claudia mi ha fissato, l’occhio sinistro era piú chiuso del destro a causa del sonno.
– Non è che per caso stavi guardando di nuovo Donnie Darko, vero?
– Ma no!
– Giulio, senti, è ora di fare qualcosa per questa tua insonnia, intendo qualcosa di serio. Perché se cominciamo anche con le allucinazioni non va mica bene.
– Ma non era una…
– Adesso però spegni ’sta luce, per piacere, che domattina ho una revisione contabile alle nove e prima c’è da accompagnare Filippo alla fermata e Martina a fare le analisi. Già che ci sei, spegni anche la tivú e prova a dormire, dài.
Claudia si è girata, io ho ubbidito ma ho continuato a lungo a fissare la sua testa al buio, come in attesa di un’apparizione. Dopo un po’, mi sono arreso e sono andato in cucina a prepararmi una tisana alla passiflora. L’erborista, due giorni prima, mi aveva giurato che per rilassarsi non esiste rimedio migliore, altro che la robaccia chimica delle farmacie. Io volevo fidarmi con tutto me stesso. Per fidarmi meglio, ci ho buttato giú insieme mezzo bicchiere di bourbon.
La seconda volta che è successo, avevamo invitato Marzia e Roberto a cena. Mentre ci preparavamo per la serata, io mi sono lamentato di non riuscire a trovare il maglione beige nell’armadio.
– È in lavanderia, – ha detto Claudia, guardandosi nello specchio del bagno.
– Okay, allora scendo a prenderlo, è in asciugatrice?
– No, non l’ho ancora lavato.
– Come non l’hai lavato? E perché?
– Perché non me lo hai chiesto?
– Cioè, dovevo chiedertelo? Era nella cesta dei panni sporchi da lunedí scorso, dovevo metterci su un cartello?
Claudia si è voltata verso di me, la riga dell’eye-liner tracciata solo sull’occhio sinistro e il pennellino in mano.
– Giulio, quel maglione prevede un ammollo preventivo in acqua fredda, – ha detto. – Va lavato a parte, non lo posso buttare in lavatrice col resto della roba, gli faccio fare un giro di centrifuga alla fine solo per sgocciolarlo. Quindi, sí, dovevi dirmelo e farmi presente la tua sollecitudine. Altrimenti io, che fra parentesi sono l’unica in questa casa a occuparsi delle lavatrici, stabilisco delle priorità mie sull’urgenza dei vestiti.
Ho riconosciuto subito il tono.
Quando Claudia si irrita le viene quella che chiamo la voce da ufficio. La voce da ufficio consiste in un’intonazione apparentemente melliflua, priva di increspature, e nell’utilizzo di termini specifici. Priorità. Urgenza. Sollecitudine. Un giorno se n’era uscita addirittura con «prolegomeni», io non conoscevo la parola e lei aveva riso. Odio quella voce, quando la sento sembra che Claudia tratti la gestione della nostra famiglia come una tabella da commercialista delle sue. Cose giuste a sinistra, cose sbagliate a destra, trova le percentuali di riga e di colonna. Ho capito che non era il caso di proseguire, non volevo rovinare la serata per un maglione. Mi è sfuggito un riflesso difensivo.
– Comunque io non faccio lavatrici solo perché tu, la lavatrice, non me la fai piú toccare.
Claudia, che stava ripassando anche l’occhio destro con l’eye-liner, si è fermata.
– Io non te la faccio piú toccare da quando, in ben due occasioni, hai mischiato i rossi con i bianchi costringendoci a buttare mezzo bucato. E per non dire di quando hai messo la candeggina al posto del detersivo.
– Ma sono cose che possono succedere, su, – ho detto bonario, nel tentativo di stemperare.
– Possono, ma non devono, – ha detto lei. – E poi non si tratta solo di questo.
– E cioè?
– Lo sai.
– Eh?
– Lo sai.
– Giuro di no.
Claudia ha posato il pennellino sul bordo del lavabo e si è voltata ancora verso di me.
– È che soprattutto, soprattutto, odio l’aria da eroe che metti su ogni volta, come se dovessi darti un premio per avere riempito un cestello di panni e schiacciato un cazzo di bottone, o per avere infilato in un cassetto un paio di calzini, o per esserti fermato al supermercato a comprare la carta igienica. Della marca sbagliata.
La voce da ufficio è scomparsa e ha lasciato il posto a un’acredine che non riuscivo a spiegarmi. Sembrava stesse proseguendo un lungo discorso al quale io non avevo mai partecipato.
– Aria da eroe? – ho detto. – Quando? Eroe perché cerco di aiutarti nelle tue faccende?
Claudia mi ha fulminato.
– Le mie?
– Ossignore. Sono tue per forza, se non ti va mai bene niente di quel che faccio! Le nostre, va bene?
– Giulio, ti prego. Chiudiamo questa conversazione. Ora.
Mi sono ammutolito all’istante. Ma non è stato per la richiesta di Claudia.
Accanto a lei, che mi fissava con aria risoluta, c’era di nuovo il coniglio bianco.
Se ne stava appollaiato sulla sua spalla come un grosso corvo. Era sempre lo stesso, ma pareva piú alto, come un bambino che rivedi a distanza di anni. Mi guardava con un’aria mesta e dolente, sembrava sull’orlo delle lacrime.
– Clà.
– Cosa?
– Dimmi che lo vedi anche tu, per favore.
Claudia si è guardata attorno, poi è ritornata su di me.
– Vedere COSA?
Nel momento in cui ha alzato la voce, hanno suonato alla porta e il coniglio è scomparso.
– Oddio, eccoli! Vai tu ad aprire, devo finire qui! – ha detto.
Io sono rimasto immobile. Fissavo il vuoto che, fino a due secondi prima, era occupato dal coniglio.
– Giulio!
– Ah, sí, – ho balbettato.
– E mettiti il golf verde, è nel secondo cassetto dell’armadio, – mi ha raccomandato. – Con quei pantaloni sta bene uguale.
La terza volta è accaduto di sabato pomeriggio.
I ragazzi erano fuori, io ero appena rientrato dal pranzo di compleanno di un amico, Claudia leggeva un libro seduta sul tappeto del soggiorno.
– Cosa leggi? – ho chiesto entrando nella stanza. Mi ha mostrato la copertina.
– Ne ho sentito parlare, com’è? – ho detto sedendomi accanto a lei.
– Mh. Avevo aspettative alte, invece è solo un romanzetto rosa travestito. Ma ormai lo devo finire.
– Perché devi?
– Perché non si abbandona una storia a metà, – ha detto.
Ho sorriso e ho pensato che era tipico di Claudia. Finire sempre ciò che si è cominciato, arrivare in fondo, non tralasciare alcun dettaglio, perché la svolta potrebbe arrivare quando meno te lo aspetti. Mentre guardavo il suo profilo in ...