I fondamentali
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La fisica in dieci parole chiave

  1. 264 pagine
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La fisica in dieci parole chiave

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Con questo saggio, esemplarmente chiaro e sostenuto da un entusiasmo contagioso, il premio Nobel Frank Wilczek offre al lettore un'esplorazione semplice ma profonda della realtà. Il grande fisico ci guida attraverso quei concetti essenziali della scienza contemporanea che ci permettono di comprendere il mondo e il suo funzionamento. Tramite queste pagine, cogliamo la realtà in modo nuovo, piú ampio, realistico e sorprendente che mai. Sintetizzando quesiti basilari, dati concreti e ardite speculazioni, Wilczek riflette sugli elementi alla base della nostra conoscenza dell'universo: spazio, tempo, materia, energia, complessità, complementarità. Rivisita la storia della scienza fondamentale, esamina ciò che sappiamo e come lo sappiamo, distingue i fatti reali dalle molteplici finzioni e viaggia verso gli orizzonti della ricerca scientifica futura. Sempre brillante e acuto, questo libro è un magnifico omaggio all'ingegno e all'immaginazione umane, in grado di parlare a chiunque sia attratto dai misteri del mondo.«Questo è un libro sulle lezioni fondamentali che possiamo apprendere dallo studio del mondo fisico. Ho conosciuto molte persone che ne sono incuriosite e desiderano capire che cosa ha da dire in proposito la fisica contemporanea: sono avvocati, medici, artisti, studenti, insegnanti, genitori o semplicemente persone curiose. Hanno intelligenza, ma non conoscenza. Qui ho cercato di trasmettere i messaggi centrali della fisica contemporanea nel modo piú semplice possibile, eppure non per questo meno corretto. Durante la stesura del libro ho sempre avuto in mente i miei amici curiosi e le loro domande. Per me queste lezioni fondamentali dicono ben piú che semplici fatti su come funziona il mondo fisico. Certo, questi fatti sono potenti e affascinanti in un loro modo strano, ma anche il modello di pensiero che ci ha permesso di scoprirli è un risultato enorme, ed è importante pensare a cosa ci dicono questi fatti fondamentali sul posto che occupiamo noi esseri umani nel quadro d'insieme».

«Questo è un libro sulle idee profonde, non su delle fantasie passeggere. Ti propone i principî fondamentali, non aridi elenchi di dati. È davvero un piacere raro gettare uno sguardo nella mente di uno dei fisici piú importanti del mondo; scritto con uno stile accattivante, che chiunque potrà apprezzare».
Sean Carroll

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
ISBN
9788858437674
Parte prima

Quello che c’è

Capitolo primo

C’è molto spazio

Abbondanza esterna “e” abbondanza interna.

Quando diciamo che qualcosa è grande, che si tratti dell’universo visibile o del cervello umano, dobbiamo chiederci: grande rispetto a cosa? Il punto di riferimento naturale è l’ambito della vita umana di tutti i giorni. È il contesto dei nostri primi modelli di mondo, quelli che costruiamo da bambini. L’ambito del mondo fisico, come lo rivela la scienza, è qualcosa che scopriamo quando permettiamo a noi stessi di rinascere.
Per gli standard della vita quotidiana, il mondo «là fuori» è davvero gigantesco. Questa «abbondanza esterna» è ciò che percepiamo intuitivamente quando, in una notte limpida, guardiamo il cielo stellato. Non c’è bisogno di un’analisi attenta per sentire che nell’universo ci sono distanze immensamente piú grandi del corpo umano e di qualsiasi distanza che potremo mai percorrere. L’indagine scientifica non solo conferma ma espande notevolmente questo senso di vastità.
Le dimensioni del mondo possono farci sentire sopraffatti. Il matematico, fisico e filosofo religioso francese Blaise Pascal (1623-1662) la pensava cosí, e la cosa lo turbava. Scrisse: «L’universo mi comprende e m’inghiotte come un punto»1.
Impressioni come quella di Pascal – piú o meno, «sono molto piccolo, non faccio alcuna differenza nell’universo» – sono un tema comune in letteratura, filosofia e teologia. Appaiono in molte preghiere e salmi; sono una reazione naturale alla condizione umana di insignificanza cosmica, se misurata in base alle dimensioni.
La buona notizia è che le dimensioni grezze non sono tutto. La nostra «abbondanza interna» è piú sottile, ma almeno altrettanto profonda. Lo capiamo quando consideriamo le cose nell’altro verso, dal basso verso l’alto. C’è un sacco di spazio in fondo. Da tutti i punti di vista che contano davvero, siamo abbondantemente grandi.
A scuola apprendiamo che le unità strutturali di base della materia sono gli atomi e le molecole. In termini di queste unità, un corpo umano è enorme. Il numero di atomi contenuti in un singolo corpo è qualcosa come 1028, cioè 10 000 000 000 000 000 000 000 000 000.
È un numero molto al di là di quello che riusciamo a visualizzare. Possiamo dargli un nome – dieci quadriliardi – e, con un po’ di studio e di pratica, possiamo imparare a svolgerci i calcoli. Ma soverchia il nostro normale intuito, che si basa sull’esperienza quotidiana, in quanto non abbiamo mai occasione di contare fino a numeri cosí alti. Visualizzare una simile quantità di singoli punti supera di gran lunga le capacità del nostro cervello.
Il numero di stelle visibili a occhio nudo, se l’aria è limpida e la notte è senza luna, è al massimo qualche migliaio. Dieci quadriliardi, d’altra parte, è circa un milione di volte il numero di stelle nell’intero universo visibile. In questo senso molto concreto, dentro di noi abita un universo.
Il magnanimo poeta statunitense Walt Whitman (1819-1892) percepí istintivamente la nostra grandezza interiore. Nel suo Canto di me stesso scriveva: «Sono vasto, contengo moltitudini»2. Questa gioiosa celebrazione dell’abbondanza è fondata su fatti oggettivi quanto l’invidia cosmica di Pascal, e ha molto piú a che fare con la nostra esperienza reale.
Il mondo è grande, ma noi non siamo piccoli. È piú corretto dire che lo spazio abbonda, sia verso fuori che verso dentro. Nessuno dovrebbe invidiare l’universo solo perché è grande: anche noi siamo grandi. E, anzi, lo siamo tanto da contenere l’universo esterno nelle nostre menti. Lo stesso Pascal trasse conforto da questa intuizione; alla sua lamentela: «L’universo mi comprende e m’inghiotte come un punto», seguiva il consolante: «Con il pensiero, lo comprendo»3.
L’abbondanza dello spazio – sia l’abbondanza esterna che quella interna – è l’argomento principale di questo capitolo. Analizzeremo piú a fondo i fatti concreti e poi ci avventureremo un po’ oltre.

Abbondanza esterna: che cosa sappiamo e come lo sappiamo.

Preludio: geometria e realtà.
Lo studio scientifico delle scale cosmiche si basa sulle fondamenta di ciò che sappiamo dello spazio fisico e di come misurare le distanze: la geometria. Cominciamo, quindi, dal rapporto tra geometria e realtà.
L’esperienza diretta e quotidiana ci insegna che gli oggetti si possono spostare da un punto a un altro senza cambiare le loro proprietà. Questo ci ispira l’idea di «spazio» visto come una sorta di ricettacolo in cui la natura deposita gli oggetti.
Nelle applicazioni pratiche, per esempio i rilevamenti topografici, l’architettura e la navigazione, si misurano distanze e angoli tra oggetti vicini. Cosí facendo sono state scoperte le regolarità descritte dalla geometria euclidea.
Man mano che le applicazioni pratiche si espandevano e si facevano piú impegnative, questo approccio continuava a funzionare notevolmente bene. La geometria euclidea era tanto efficace e la sua struttura logica tanto elegante che succedeva di rado di doverne mettere alla prova la validità come descrizione della realtà fisica. All’inizio dell’Ottocento Carl Friedrich Gauss (1777-1855), uno dei piú grandi matematici di tutti i tempi, riteneva che valesse la pena di fare un controllo. Misurò gli angoli interni di un triangolo formato da tre punti di osservazione su altrettanti monti tedeschi e riscontrò che la loro somma era 180°, come prevede Euclide, nei limiti della precisione delle misure. L’odierno Global Positioning System (GPS) si basa sulla geometria euclidea. Svolge ogni giorno milioni di esperimenti come quello di Gauss, ma su scale piú grandi e con una precisione molto maggiore. Diamo una rapida occhiata al suo funzionamento.
Per ottenere la nostra posizione usando il GPS, captiamo le trasmissioni da una costellazione di satelliti artificiali che orbitano ad alta quota sopra la Terra e che sanno dove si trovano. (Piú avanti vedremo come fanno a saperlo). Al momento ce ne sono piú di trenta, disposti strategicamente attorno al globo. Le loro trasmissioni radio non si traducono in parole o musica, bensí inviano semplici annunci di dove si trovano, in un formato digitale adatto ai computer. Gli annunci comprendono un dato temporale, che indica l’istante preciso in cui sono stati inviati; ciò è possibile grazie al fatto che ogni satellite ha a bordo un ottimo orologio atomico che assicura che i segnali cronometrici siano accurati. Successivamente:
  1. il ricevitore della nostra unità GPS rileva alcuni dei segnali satellitari. L’unità, che ha anche accesso ai segnali di una vasta rete di orologi a terra, calcola il tempo impiegato dai diversi segnali satellitari per arrivare. Poiché questi segnali viaggiano a una velocità nota, quella della luce, i tempi di transito si possono usare per determinare le distanze dei satelliti;
  2. usando queste distanze, le posizioni dei satelliti e la geometria euclidea, il computer determina mediante triangolazione una posizione univoca, la nostra;
  3. il computer comunica il risultato e noi apprendiamo dove ci troviamo.
L’implementazione completa del GPS aggiunge diverse migliorie ingegnose, ma questa è l’idea centrale. Il sistema ha una somiglianza impressionante con la descrizione teorica dei sistemi di riferimento data da Albert Einstein nel suo articolo originale sulla relatività ristretta. Nel 1905 anticipò l’utilizzo di fasci di luce e tempi di transito per ricostruire le posizioni nello spazio. A Einstein piaceva questa idea perché usa una tecnica basata sulla fisica fondamentale – la velocità fissa della luce – per descrivere lo spazio. La tecnologia a volte riesce a mettersi al passo con gli esperimenti mentali.
Come esercizio di immaginazione visiva, potete provare a convincervi che le distanze da quattro satelliti, ciascuno in una posizione nota, forniscono informazioni piú che sufficienti per dedurre la nostra posizione.
(Ecco un suggerimento: tutti i punti a una stessa distanza da un satellite si trovano su una sfera il cui centro coincide con il satellite. Se prendiamo due sfere con i centri in due diversi satelliti, si intersecheranno in una circonferenza oppure non si intersecheranno affatto. Poiché la nostra posizione è in qualche punto di questa intersezione, è bene che si intersechino! Adesso consideriamo in che modo una terza sfera, corrispondente a un terzo satellite, interseca questa circonferenza. In generale, la incontrerà in due punti. Infine, la sfera di un quarto satellite individuerà uno di questi due punti).
Ora torniamo alla domanda su come fanno i satelliti GPS a sapere dove si trovano. I dettagli tecnici sono complicati, ma l’idea di fondo è semplice: partono da posizioni note e poi tengono conto del proprio spostamento. Mettendo insieme queste due informazioni, calcolano dove si trovano.
Entriamo in maggiori dettagli: i satelliti monitorano il proprio movimento usando giroscopi e accelerometri di bordo, come quelli di un iPhone. Dalle letture di questi strumenti il computer del satellite può determinare l’accelerazione che ha subito usando i principî della dinamica newtoniana. Applicando il calcolo infinitesimale a questi dati, ricava di quanto si è spostato il satellite. Di fatto, Newton inventò il calcolo infinitesimale proprio per risolvere problemi come questo.
Se ripensiamo ai vari passaggi, noteremo che gli ingegneri che hanno progettato il Global Positioning System si sono basati su molti presupposti non ovvî. Il sistema si fonda sull’idea che la velocità della luce è costante. Per ottenere tempi precisissimi utilizza orologi atomici, la cui progettazione e interpretazione si fonda su principî avanzati di meccanica quantistica. Fa uso degli strumenti della meccanica classica per calcolare la posizione dei vari satelliti. Apporta inoltre correzioni per tenere conto dell’effetto – previsto dalla relatività generale – secondo cui la velocità degli orologi dipende in lieve misura dalla loro distanza dalla Terra: procedono piú lentamente vicino alla superficie terrestre, dove il campo gravitazionale è piú intenso.
Dato che questo sistema si basa su tanti altri presupposti oltre alla validità della geometria euclidea, non possiamo affermare che ne fornisca una verifica pura. In realtà, l’ottimo funzionamento del GPS non fornisce una verifica pura di nessun singolo principio. È un sistema complicato, il cui funzionamento ha alla base una rete complessa di ipotesi.
Ognuna di queste ipotesi potrebbe essere sbagliata o, per essere piú diplomatici, vera in modo solo approssimativo. Se una qualsiasi di queste ipotesi che secondo gli ingegneri sono «approssimativamente vere» fosse in realtà significativamente errata, il GPS darebbe risultati incoerenti. Sarebbe per esempio possibile ricavare posizioni diverse se si triangola a partire da insiemi diversi di satelliti. Un uso intenso rivelerebbe difetti nascosti.
Viceversa, se il GPS funziona bene, il suo successo rafforza la nostra fiducia in tutte le ipotesi che ha a fondamento, tra cui quella secondo cui la geometria euclidea descrive, con buona precisione, la realtà della geometria spaziale su scale terrene. E finora il GPS ha funzionato perfettamente.
Piú in generale, la scienza costruisce in maniera progressiva. Gli esperimenti e le tecnologie piú avanzati e avventurosi si basano su intricate reti di teorie. Quando queste applicazioni avventurose sono all’altezza delle aspettative, aumentano la nostra fiducia nelle reti su cui si poggiano. Il fatto che quello che sappiamo dei fondamenti del tutto forma un’aggrovigliata rete di idee che si rinforzano a vicenda sarà un tema ricorrente in quanto segue.
Prima di concludere questo preludio devo aggiungere una precisazione. Quando cominciamo a esaminare lo spazio sulle gigantesche scale cosmiche – come stiamo per fare – o con una precisione estrema, o in prossimità dei buchi neri, la geometria euclidea smette di corrispondere alla realtà. Albert Einstein, nelle sue teorie della relatività ristretta e generale (rispettivamente del 1905 e del 1915), chiarí dal punto di vista teorico le inadeguatezze della geometria euclidea e propose i modi per superarle. Da allora, le sue idee teoriche sono state confermate in molti esperimenti.
Con la relatività ristretta Einstein ci ha insegnato che quando affermiamo di misurare una «distanza» dobbiamo considerare con cura che cosa stiamo misurando e come. Una vera misurazione richiede tempo, durante il quale gli oggetti si muovono. Quello che possiamo misurare in realtà è la separazione tra eventi. Gli eventi sono situati sia nello spazio che nel tempo. La geometria degli eventi deve essere costruita all’interno di questa struttura piú ampia, lo spaziotempo, e non del solo spazio. Nella relatività generale apprendiamo inoltre che la geometria dello spaziotempo può essere deformata dalla presenza della materia o da onde di distorsione che lo percorrono. (Ci torneremo nel quarto e nell’ottavo capitolo).
All’interno delle strutture piú complete date dallo spaziotempo e dalla relatività generale, la geometria euclidea serve come approssimazione di teorie piú accurate. È precisa a sufficienza per poterla usare nelle numerose applicazioni pratiche che abbiamo menzionato. Chi misura terreni, progetta edifici o pianifica missioni spaziali usa la geometria euclidea perché è sufficiente e facilita il lavoro. Le teorie piú complete, per quanto piú accurate, sono molto piú complicate da usare.
Il fatt...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione. Rinascita
  4. I fondamentali. La fisica in dieci parole chiave
  5. Rivelazioni
  6. Introduzione
  7. PARTE PRIMA. Quello che c’è
  8. PARTE SECONDA. Inizi e fini
  9. Epilogo. Il lungo viaggio verso casa
  10. Appendice
  11. Ringraziamenti
  12. Indice analitico
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright