Il complotto al potere
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Il complotto al potere

  1. 120 pagine
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Il complotto al potere

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Il complottismo non è un delirio né una menzogna, non è un crampo mentale né un argomento fallace. Piuttosto è un problema politico. Questo libro, che su uno sfondo storico considera gli aspetti inediti di un fenomeno planetario, non si associa alla vulgata anticomplottista, ma propone una visione originale in cui il complotto è lo spettro di una comunità frantumata. Chi c'è dietro? Chi tira le fila? Il mondo, ormai illeggibile, ha un lato nascosto, un regno segreto, quello dello Stato profondo e del Nuovo Ordine Mondiale, dove si architettano piani, si manipolano informazioni, si controllano pensieri. Non è piú un singolo intrigo. Il complotto è la forma in cui si rapportano al mondo i cittadini che si sentono condannati a una frustrante impotenza, inermi di fronte a un dispositivo tecno-economico insondabile, manovrati da un potere senza volto. Ecco perché il complottismo, che mette allo scoperto il vuoto della democrazia, si rivela una temibile arma di depoliticizzazione di massa.

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Informazioni

Chi tira le fila? Negli abissi dell’intrigo.

Pochi caratteri – e il messaggio lanciato su Twitter si diffonde, rapido e incancellabile, nello spazio planetario della rete. I follower ritwittano, i simpatizzanti rilanciano. Il cinguettio, a prima vista innocuo, esprime un dubbio, solleva una domanda. «#5G Proteggersi dalle onde malevole e dai segnali nocivi», «#Bigpharma A chi giova la vaccinazione di massa?» Le obiezioni rincorrono il cinguettio, le repliche lo inseguono invano, mentre il sospetto si insinua e la paura si diffonde. Non è piú necessaria una narrazione; bastano poche battute per propagare le voci del complotto.
Nel XXI secolo il fenomeno ha assunto proporzioni tali, che si parla sempre piú di età d’oro del complottismo. Non c’è evento inatteso che non provochi un fremito di diffidenza: disastri ambientali, attacchi terroristici, migrazioni inarrestabili, tracolli economici, conflitti esplosivi, rovesci politici. Tra stupore e indignazione, esplode il panico, cresce la febbre complottista. Chi c’è dietro? Chi tira le fila? Chi ha ordito quella trama? Si cercano i colpevoli di catastrofi, povertà, guerre, disuguaglianze, ma anche dei mille soprusi e abusi, della mancanza di etica, del malessere diffuso, dell’infinita perdita di senso.
Il complottismo è la reazione immediata alla complessità. È la scorciatoia, la via piú semplice e rapida, per venire a capo di un mondo ormai illeggibile. Chi ricorre al complotto non sopporta l’inquietudine, la domanda aperta. Non tollera di abitare in un paesaggio mutevole e instabile, non accetta l’estraneità. Si mostra incapace di riconoscersi, insieme agli altri, esposto e vulnerabile, privo di protezione, ma perciò piú libero e piú responsabile.
Svelare, smascherare, demistificare – l’onnipotenza esplicativa del complotto non lascia dietro sé misteri irrisolti o enigmi indecifrati. Quel che non trovava risposta, si spiega infine grazie all’evidenza del complotto. Ecco la soluzione. Nel mondo uscito dall’ombra è possibile distinguere nitidamente bianco e nero, luce e buio, bene e male. Il prisma del complotto restituisce un rassicurante scenario rigidamente manicheo.
Sarebbe perciò un errore considerarlo la bizzarria di frange isolate, un tormentone della subcultura, il residuo di una mentalità prelogica o un’ostinata superstizione. Il complottismo non è un rigurgito del passato che non passa, il ritorno di un vecchio spettro di cui si attende fiduciosi la scomparsa. In ciò mostra affinità con fenomeni strettamente correlati come il negazionismo, l’antisemitismo, il razzismo. Si può dire, anzi, che quel prisma sia specchio del tempo. Se le narrazioni complottistiche vantano un enorme successo, se influiscono profondamente sull’opinione pubblica, è perché condividono esigenze correnti e mobilitano aspirazioni comuni.
Fenomeno dei margini, ma tutt’altro che marginale, il complottismo coinvolge coloro che si sentono vittime del caos presente e del futuro angoscioso, condannati a una frustrante impotenza, ridotti a semplici comparse nei «giochi della politica». Perciò la tentazione complottista, se prima era amatoriale, adesso ha dimensioni di massa e appare sempre piú un ordinario modo di essere, di pensare, di agire.
Il gran numero di studi sull’argomento, i conspiracy studies che si sono moltiplicati negli ultimi anni, riprendono le ricerche avviate nel secolo scorso, le sviluppano e le integrano1. L’impostazione risente del giudizio negativo corrente e l’atteggiamento va dalla bonaria ironia alla riprovazione piú severa. Le linee interpretative sono per lo piú due: il complottismo viene visto o come una patologia psichica oppure come un’anomalia logica. Nel primo caso si risale ai recessi oscuri della mente, dove una cricca di microscopici neuroni, sempre pronti a complottare, tenderebbe infinite trappole al pensiero, spingendolo ad assecondare una disposizione innata e pericolosa, capace di degenerare2. Nel secondo si giunge invece alla logica degli enunciati complottistici, cioè alle proposizioni false e alterate, insomma alle fake news che si propagano nell’epoca della «post-verità»3. In entrambi i casi ha la meglio un approccio normativo. Il presunto complottista dovrebbe essere avviato a una rieducazione cognitiva, per correggere le distorsioni del suo ragionamento. Altrimenti occorrerebbe sottoporre i suoi enunciati alla pratica del debunking, cioè alla confutazione che ne metta in luce l’illogicità e la falsità. Malgrado ogni sforzo, però, nessuna delle due terapie funziona, mentre l’onda complottista aumenta.
O deliri o menzogne. Una tale stigmatizzazione, oltre a restare inefficace, è controproducente. Come sempre, la sanzione poliziesca del pensiero e la denuncia inquisitoriale servono a poco. Da qualche tempo si è andata affermando una vulgata anticomplottista che, reclamando il possesso della verità, ridicolizza e delegittima le teorie giudicate devianti, irrazionali, nocive. Ma questo approccio polemico e patologizzante, che squalifica ogni critica alle istituzioni, non fa che confermare il gioco delle parti e aggravare una frattura sempre piú profonda: da un canto chi, tacciato di essere complottista, rivendica di essere antisistema, dall’altro chi, ricorrendo ai canoni della propria ragione, è accusato di sostenere l’ideologia dominante. In breve: l’anticomplottismo semplicistico rischia di assecondare lo scarto tra «verità ufficiale» e «verità nascosta» impedendo di comprendere un fenomeno complesso e poliedrico.
Il complottismo non è un crampo mentale né un argomento fallace, bensí un problema politico. Non riguarda tanto la verità, quanto il potere. Ed è strano che, pur nell’ampia riflessione, non sia stato messo a fuoco proprio il nodo decisivo: quello che lega complotto e potere.
Chi contesta la versione ufficiale mira ad attaccare coloro che detengono sapere e potere. La sfiducia verso la politica, le istituzioni, i media, gli esperti, diventa disapprovazione sistematica e sospetto infinito. Se sotto il cielo inquinato della globalizzazione gli eventi catastrofici si moltiplicano, se il mondo sembra votato a un caos inarrestabile, è per via della «casta», dell’«oligarchia», della «finanza internazionale». Occorre affinare lo sguardo e smascherare i piani occulti del «Nuovo Ordine Mondiale». Quale rivolta potrebbe mai esserci contro un potere senza volto? L’ammissione tacita di questa impotenza va di pari passo con un risentimento cupo, una rabbia esplosiva e l’esigenza improrogabile di svelare quel Complotto al potere. Nella galleria di specchi del complottismo sono infatti sempre gli altri a complottare e chi incolpa non vorrebbe che difendersi. Le «potenze occulte», i «poteri forti», sono chiamati in causa da una teoria politica che vede la governance come complotto e che perciò si vota a una strategia e una pratica di contro-potere inteso necessariamente come contro-complotto. I «deboli» non avrebbero altra forma di resistenza contro i «padroni del mondo».
Il complottismo esprime un malessere diffuso, manifesta un disagio profondo. Non è un mero segnale di oscurantismo, ma è un segnale oscuro. Mette allo scoperto la crisi che agita la democrazia contemporanea. Quante promesse non mantenute! Quante speranze tradite! Che cos’altro significa quella parola se non il «governo del popolo», cosí a lungo atteso? Eppure, come per una triste beffa, il popolo sovrano non si sente davvero sovrano. Il potere sembra sfuggire, minacciato da quello incontrollabile del Complotto. Non è solo un sospetto. Il potere democratico sembra illusorio. Cambiano i governi, si alternano i partiti, ma nulla muta realmente. Resta lo «Stato profondo», quel potere istituzionale che si mantiene intatto e si perpetua grazie a caste, lobby, banche, dinastie, gruppi mediatici. Ecco chi tiene piú o meno segretamente le fila, ecco il fondamento e il principio del vero potere!
Ma che di recente siano stati presidenti e capi di governo a puntare l’indice contro il Deep State e gridare al complotto dovrebbe far riflettere. Non si tratta solo di un espediente per sottrarsi a ogni responsabilità di governo, e neppure solo di un’azione di difesa geopolitica. Lo «Stato profondo» diventa la parola d’ordine per confermare subdolamente il tormento in cui è precipitato l’entusiasmo democratico. Si insinua che la democrazia sia svuotata di ogni valore, che non sia, anzi, che una «farsa». Il dubbio complottistico converge qui con una certa visione populistica della sovranità del popolo ridotta a simulacro dei «poteri forti».
Possibile che la democrazia sia solo quel che appare? Il luogo vuoto del potere democratico sembra appunto troppo vuoto. E il complotto ripristina l’idea arcaica di un potere assoluto incompatibile con la democrazia. Ma forse il complotto è proprio la maschera del potere nel tempo del potere senza volto. Occorre allora smascherare piuttosto questo dispositivo arcaico che spinge a ipotizzare un’arché, un principio e un comando, che la democrazia dovrebbe aver già da tempo destituito.

La politica e il suo regno d’ombre.

Sono in milioni nel mondo a credere che i politici non siano che marionette nelle mani di forze occulte. Non tutto è come sembra. Dietro la realtà apparente e ingannevole se ne cela una piú autentica e vera. Questo sdoppiamento della realtà, questa dicotomia tra esterno e interno, superficie e profondità, che richiama quasi il mito platonico della caverna, caratterizza la metafisica politica contemporanea.
Se a muoversi in quel regno d’ombre, spacciato per realtà, sono fantocci manipolati, simulacri illusori, occorre chiedersi dove si nascondano i burattinai. Chi c’è dietro? Chi governa i governanti? Chi tira le fila?
Queste domande, che alludono già apertamente al complotto, indirizzano il sospetto sul luogo del potere e sul fondamento dell’autorità. Ma si tratta di accertare soprattutto chi ne è davvero in possesso. Sono forse coloro che vantano un mandato giuridico, di cui sarebbero perciò chiamati a farsi carico? Oppure altre istanze, che sottobanco hanno un margine di manovra ben piú ampio, delle cui conseguenze non devono rispondere? Mentre la realtà si sdoppia, affiora lo scarto fra il potere ufficiale e il potere ufficioso, quello riconosciuto ma fittizio, quello illegittimo ma effettivo. Dietro la facciata della realtà apparente, con le sue gerarchie, i suoi rapporti e i suoi principî, dove si fermerebbe lo sguardo ingenuo, si dissimula un’altra realtà piú reale e minacciosa, abitata da un potere di cui nessuno avrebbe sospettato l’esistenza, anzi, neppure la possibilità. È qui che si muovono individui e gruppi tenuti insieme da vincoli familiari, relazioni personali, interessi economici, aspirazioni politiche. Una tale connivenza, che non ha espressione giuridica, è uno spalleggiarsi e favorirsi – gli occhi bassi che annuiscono – nell’esercizio del potere. In quella penombra, fra trame, reti e legami, opera il complotto.
Quali forze governano la nazione? Quali dirigono il mercato? Che volto hanno i padroni del mondo? Chi determina il corso della storia? Si cercano i responsabili degli innumerevoli intrighi: banchieri, finanzieri, capitalisti, oppure anarchici, sovversivi, terroristi, o ancora ebrei, internazionalisti, cosmopoliti, potenze straniere – le congetture sono diverse.
Certo è che il complottismo trionfa e, lungi dall’essere una questione di nicchia, appare un fenomeno globale che ha dimensioni di massa. Le narrazioni complottistiche sono ormai installate nello spazio pubblico. Non possono essere ritenute, come vuole un vecchio stereotipo, la bizzarria di frange estreme. Piuttosto costituiscono il caleidoscopio attraverso cui vengono lette dai piú le vicende del mondo. Nessuno sembra sfuggire.
La storia è lunga e gli esempi sono innumerevoli. Il piú emblematico, se si guarda al passato recente, è stato ed è l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy: la stragrande maggioranza non crede alla «versione ufficiale» e aderisce all’ipotesi del complotto. Oswald non può essere stato l’unico a sparare. Avranno concorso il Ku-Klux Klan, la mafia, la Cia. L’agenzia dell’intelligence, espressione maligna del potere americano, è da tempo il colpevole ideale; la sua sigla è il sigillo con cui si chiude almeno provvisoriamente ogni inchiesta. In taluni casi il tempo non aiuta a fugare i dubbi. Cosí sono sempre di piú, in tutto il mondo, a ritenere che gli attacchi dell’11 settembre siano stati il risultato di un «inside job» ben programmato, con un coinvolgimento diretto del governo americano. L’elenco dei complotti potrebbe continuare. L’allunaggio dell’Apollo 11 venne filmato in un set televisivo; il cambiamento climatico è un imbroglio degli scienziati; Obama è un musulmano socialista arrivato dal Kenya; George Soros capeggia il piano Kalergi per la «sostituzione etnica» dei popoli europei; il coronavirus Sars-CoV-2, escogitato nell’Istituto di Virologia di Wuhan, è un’arma biologica di fabbricazione cinese; i vaccini sono a loro volta espedienti temibili perché provocano patologie come l’autismo. Le trame di Big Pharma sono fonte continua di apprensione, mentre suscitano inquietudine gli assetti oscuri del «Nuovo Ordine Mondiale».
Tracce di complotto sono ovunque, nell’aria che si respira, avvelenata dalle scie chimiche, nell’acqua che si beve, corretta dai fluoruri, nella terra inquinata irrimediabilmente. E c’è un complotto da scoprire anche per le tracce e gli indizi rimasti indecifrati nel passato come nel futuro. Ciò a cui in genere si presta fede non è che una menzogna, mentre la verità è altrove. Occorre insomma rileggere anche la storia, per smascherare i complotti che hanno ancora effetti. E il piú grande depistaggio riuscito – si sa – resta quel grande «mito», secondo cui Adolf Hitler avrebbe ucciso sei milioni di ebrei.
Il complottismo si estende dalla destra piú estrema alla sinistra piú improbabile. Ma al di là della vita politica, è difficile trovare un ambito immune al contagio del complotto: dalla governance economica alle questioni sanitarie, dal contesto scientifico all’universo ecclesiastico, per non parlare della storia. L’enorme diffusione del complottismo, confortata anche dal proliferare delle fake news, è attestata da libri, saggi, articoli, film, serie televisive, documentari storici, inchieste giornalistiche, dove non di rado anche le analisi piú attente finiscono per mescolare la finzione con la realtà. L’industria del complotto può vantare successi planetari, come la serie Matrix, molto commentata, oppure X-Files, alle frontiere del reale, ma anche bestseller come Il codice da Vinci di Dan Brown, che attinge a vecchi stereotipi antisemiti edulcorandoli in una saga. L’interesse per i temi complottistici oltrepassa, dunque, le frontiere della cospicua letteratura di genere, cioè sia libri che forniscono prove e controprove su singoli eventi sia le raccolte dei complotti piú famosi4. Si può spiegare questa disseminazione con un vero e proprio gioco di specchi, un effetto circolare, favorito dal moltiplicarsi dei media e dall’ap...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il complotto al potere
  4. Chi tira le fila? Negli abissi dell’intrigo
  5. Bibliografia
  6. Il libro
  7. L’autrice
  8. Della stessa autrice
  9. Copyright