Stalin e il patriarca
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Stalin e il patriarca

La Chiesa ortodossa e il potere sovietico 1917-1958

  1. 560 pagine
  2. Italian
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Stalin e il patriarca

La Chiesa ortodossa e il potere sovietico 1917-1958

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In Unione Sovietica il potere comunista fece del credo antireligioso uno dei suoi cavalli di battaglia: l'«uomo nuovo» vagheggiato non avrebbe dovuto nutrire alcuna fede religiosa, né essa avrebbe dovuto occupare alcun posto nella società e nell'organizzazione dello Stato sovietico. Ma la seconda guerra mondiale avrebbe cambiato molte cose, e Stalin avrebbe imparato a gestire in modo molto piú sofisticato il suo rapporto con la Chiesa ortodossa. Una storia complessa e ricca di implicazioni, ricostruita con esattezza di dettaglio e ampio uso di fonti originali sovietiche. Nella notte tra il 4 e il 5 settembre 1943 Stalin ricevette al Cremlino i tre metropoliti che assicuravano il governo della Chiesa ortodossa russa. Fu un incontro sorprendente. Il leader sovietico nei decenni precedenti aveva scatenato una persecuzione implacabile nei confronti degli ecclesiastici e dei fedeli ortodossi. I tre vescovi erano dei sopravvissuti all'offensiva antireligiosa consumatasi nel quarto di secolo precedente a quel colloquio.
Nel corso di una lunga e cordiale conversazione Stalin espresse il suo consenso all'elezione di un patriarca a capo della Chiesa russa. Dal 1925, infatti, la sede patriarcale era vacante, per il rifiuto del potere sovietico di autorizzare la Chiesa a eleggere un suo nuovo capo. L'8 settembre 1943 il metropolita Sergij (Stragorodskij) fu eletto patriarca di Mosca e di tutte le Russie.
Cosa aveva determinato questo cambiamento della politica religiosa sovietica? Quali erano le radici profonde di questa nuova alleanza tra Chiesa ortodossa e regime?
E perché Stalin aveva deciso di far rinascere il patriarcato?

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
ISBN
9788858437902
Capitolo quarto

La svolta

1. Una notte al Cremlino.

Nella notte fra il 4 e il 5 settembre 1943 Stalin ricevette al Cremlino, nel suo studio, il metropolita di Mosca e Kolomna Sergij, locum tenens del trono patriarcale, il metropolita di Leningrado e Novgorod Aleksij e il metropolita di Kiev e Galič Nikolaj, alla presenza di Molotov, del capo del NKGB Merkulov e del colonnello Georgij G. Karpov, responsabile del quinto dipartimento della seconda direzione del NKGB, nelle cui competenze rientravano il controllo e la repressione delle organizzazioni religiose1. L’incontro era inedito, non tanto per l’orario notturno in cui si svolse, ma soprattutto per i protagonisti e per il significato. Erano presenti da una parte le massime autorità dello Stato sovietico e dall’altra i vertici della Chiesa ortodossa russa. Gli ultimi incontri fra importanti dirigenti sovietici e un ecclesiastico ortodosso di rilievo risalivano alla primavera del 1924, quando il patriarca Tichon era stato ricevuto dal presidente del Comitato esecutivo centrale, Kalinin, e da Rykov2. Anche se a partire dal 22 giugno 1941 la situazione della Chiesa ortodossa era iniziata a cambiare, il colloquio al Cremlino costituiva comunque un avvenimento eccezionale.
L’incontro con i metropoliti era stato preceduto lo stesso giorno da una convocazione di Karpov da parte di Stalin nella sua dacia di Kuncevo, come riportato nel rapporto redatto dal colonnello del NKGB3. Il leader sovietico in compagnia di Malenkov e di Berija rivolse alcune domande sulla Chiesa ortodossa al funzionario che conosceva piú di altri la situazione delle confessioni religiose nel paese. Le questioni sollevate rivelavano l’interesse di Stalin ai problemi della Chiesa. In primo luogo Stalin chiese informazioni sui tre metropoliti, Sergij, Aleksij e Nikolaj. Poi volle sapere come e quando fosse stato eletto l’ultimo patriarca, Tichon. Evidentemente aveva in mente di concedere alla Chiesa la possibilità di definire il proprio assetto canonico con l’elezione di un nuovo patriarca. Un secondo blocco di domande riguardava la situazione internazionale dell’ortodossia. I disegni strategici sulla futura sistemazione dell’Europa e del mondo alla fine del conflitto costituivano in quei mesi uno dei temi prioritari all’attenzione della dirigenza sovietica, e particolarmente di Stalin, dopo che, con la vittoriosa conclusione delle battaglie di Stalingrado e di Kursk, era stato superato il tornante piú critico del conflitto. L’aspetto religioso della questione non era sottovalutato dal leader sovietico, che intendeva coinvolgere la Chiesa russa nei suoi piani di espansione dell’influenza sovietica. In questo quadro vanno comprese le domande di Stalin a Karpov sul patriarcato ecumenico e sugli altri patriarcati del Medio Oriente, sulle Chiese ortodosse di Jugoslavia, Bulgaria e Romania e sulla Chiesa russa all’estero.
Stalin si interessò anche alla situazione della Chiesa russa, al numero delle sue parrocchie e dei vescovi, come anche alle condizioni materiali di vita dei tre metropoliti. La sua intenzione era di riconsiderare complessivamente i rapporti fra lo Stato e la Chiesa: «Bisogna formare un organo speciale, che assicuri un legame con la dirigenza della Chiesa»4. Karpov suggerí che fosse organizzato presso il soviet supremo dell’Urss un dipartimento per gli affari dei culti. Il leader sovietico corresse l’impostazione del colonnello e precisò che un comitato o un dipartimento per gli affari religiosi andava invece istituito presso il governo. Non occorreva fondare un ente, costituito presso l’organo legislativo del paese, che elaborasse la politica e la legislazione religiosa, godendo quindi di una discreta visibilità agli occhi dell’opinione pubblica. L’intenzione di Stalin era di creare un Consiglio per gli affari della Chiesa ortodossa russa come tramite fra il governo e il patriarca, con funzioni e prerogative chiaramente limitate: «Il Consiglio non prende decisioni autonome, relaziona e riceve direttive dal governo»5.
Stalin intendeva realizzare i suoi piani in tempi rapidissimi e dopo essersi consigliato con Malenkov, Berija e Karpov, incaricò quest’ultimo di telefonare immediatamente al metropolita Sergij, per riferirgli il seguente messaggio:
Parla con Lei il rappresentante del Consiglio dei commissari del popolo dell’Unione. Il governo ha desiderio di ricevere Lei, e anche i metropoliti Aleksij e Nikolaj, di ascoltare le vostre esigenze e di risolvere i problemi che avete. Il governo La può ricevere oggi, fra un’ora-un’ora e mezzo, o, se non Le va bene, l’incontro può essere organizzato per domani (domenica) o in qualsiasi giorno della prossima settimana6.
I metropoliti, nonostante l’ora tarda e l’immaginabile turbamento suscitato dalla comunicazione, non si fecero sfuggire l’occasione, forse attesa dagli ultimi giorni di agosto, almeno da quando Sergij aveva inviato da Ul´janovsk un telegramma al metropolita Aleksij in cui lo invitava a recarsi a Mosca non piú tardi del 5 settembre7. Due ore dopo la telefonata i tre metropoliti varcavano i portoni del Cremlino per essere ricevuti da Stalin.
Il verbale del colloquio, pur nel suo stile burocratico, trasmette l’intensità di un incontro vissuto dai tre metropoliti con la coscienza di essere protagonisti di un avvenimento decisivo per una Chiesa fino allora duramente perseguitata. D’altro canto emerge fra le righe il carattere quasi surreale di un colloquio dai toni cordiali fra chi aveva violentemente perseguito il totale annientamento della Chiesa e chi aveva subito le persecuzioni e visto morire centinaia di migliaia di fedeli per ordine di colui che aveva di fronte.
Stalin, dopo avere sottolineato il valore positivo dell’attività patriottica della Chiesa nel corso della guerra, chiese ai tre metropoliti quali fossero i maggiori problemi che dovevano essere affrontati dalla Chiesa. Fu Sergij a rispondere sollevando la questione delle strutture centrali di governo della Chiesa, priva da diciotto anni del patriarca e, dal 1935, anche del sinodo a causa degli arresti della gran parte dei suoi membri. La sua richiesta era che il governo permettesse di convocare il concilio dei vescovi per eleggere il patriarca e formare presso di lui un santo sinodo composto da cinque o sei vescovi. Stalin accolse le proposte e chiese al metropolita quale titolo sarebbe stato attribuito al patriarca, quando si sarebbe potuto riunire il concilio e se ci fosse bisogno di un aiuto da parte dello Stato per la sua realizzazione. Il metropolita dichiarò che tali questioni erano state preventivamente esaminate e che si era giunti alla decisione di non dare al patriarca il titolo, che era stato di Tichon, di «patriarca di Mosca e di tutta la Russia», ma quello di «patriarca di Mosca e di tutta la Rus´» (generalmente tradotto in italiano come «patriarca di Mosca e di tutte le Russie»). Il motivo di questa modifica è stato indicato da Cypin:
Fondamento per il cambiamento del titolo, evidentemente, è stata la circostanza che «Russia» nel nuovo Stato si chiamava solo una sua parte; mentre la parola «Rus´» ricordava l’epoca di Kiev, quando gli avi dei grandi russi (russi), dei piccoli russi (ucraini) e dei bielorussi – i tre popoli slavi ortodossi – componevano un unico popolo russo. Per questo motivo in presenza della nuova toponomastica statale la parola «Rus´» rimandava a un territorio piú esteso, di quello cui faceva riferimento il termine «Russia»8.
Il metropolita Sergij riguardo ai tempi di convocazione del concilio dichiarò che riteneva necessario almeno un mese. Al che Stalin «sorridendo – racconta Karpov – disse: “Non si può dar prova di tempi bolscevichi?”, e rivoltosi a me, chiese la mia opinione e io dichiarai il mio parere che, se avessimo aiutato il metropolita Sergij con mezzi adeguati (aeroplani) per un rapidissimo trasporto dell’episcopato a Mosca, il concilio si sarebbe potuto riunire anche fra 3-4 giorni»9. La decisione presa fu di convocare il concilio per l’8 settembre a Mosca. Sergij, infine, dichiarò che la Chiesa non chiedeva nessun aiuto economico allo Stato per lo svolgimento del concilio.
La seconda questione sollevata da Sergij e da Aleksij fu la necessità di formare nuovi preti per la Chiesa. A questo fine i metropoliti chiesero il permesso di istituire dei corsi di teologia in alcune eparchie. Stalin non si oppose e anzi dichiarò la disponibilità del governo a concedere l’apertura di seminari e accademie teologiche, per la cui gestione i metropoliti affermarono di non essere ancora pronti, proponendo che si rimandasse ogni decisione in merito a quando avrebbero ritenuto maturi i tempi10. Anche alla terza richiesta avanzata da Sergij, di pubblicare una rivista mensile del patriarcato, Stalin diede il proprio consenso. La disponibilità del leader sovietico spinse il metropolita Sergij a sollevare questioni piú delicate e a lamentare il limitato numero di chiese aperte nel paese e i molti anni trascorsi dall’ultima apertura di un luogo di culto. A tal proposito dichiarò di ritenere necessario che fosse garantito ai vescovi il diritto di condurre trattative con le autorità locali per la riapertura delle chiese. Aleksij e Nikolaj sostennero la richiesta avanzata da Sergij e rilevarono la sperequazione esistente nella dislocazione delle chiese aperte nelle diverse regioni del paese, proponendo la loro riapertura in primo luogo nelle province dove non ve ne erano affatto o ve ne erano molto poche. Stalin rispose che riguardo a tale questione da parte del governo non sarebbe stato frapposto alcun ostacolo. A questo punto fu il metropolita Aleksij ad avanzare la richiesta piú delicata, che riguardava la liberazione dei vescovi che si trovavano nei lager, in prigione o al confino. La risposta di Stalin fu lapidaria: «Presentate un elenco e lo esamineremo»11. Sergij sollevò allora la questione dei vescovi, preti e diaconi che avevano scontato la loro pena detentiva e ai quali era interdetto o limitato il libero movimento all’interno dell’Urss e impedito l’esercizio del loro ministero, chiedendo l’abolizione di tali divieti. Stalin demandò a Karpov il compito di studiare la questione.
Dopo avere affrontato le questioni piú scottanti il metropolita Aleksij passò ad affrontare i problemi finanziari della Chiesa. Egli propose di concedere alle eparchie il diritto di destinare una parte delle entrate delle parrocchie al sostentamento delle strutture del patriarcato. A tal fine espresse l’opinione, condivisa anche dagli altri due metropoliti, che fosse necessario modificare lo statuto delle parrocchie, concedendo ai preti il diritto di essere membri degli organismi parrocchiali, da cui erano stati estromessi con una delibera del Comitato esecutivo centrale nel 1929. Anche in questo caso Stalin disse di non avere obiezioni in merito. Il metropolita Nikolaj chiese che fosse concesso alle eparchie il diritto di aprire fabbriche di candele. Le richieste dei tre ecclesiastici miravano a ottenere per la Chiesa una condizione che le permettesse di far fronte autonomamente alle esigenze finanziarie ed economiche della propria attività senza dover dipendere dal supporto degli organismi statali. Stalin rinnovò la disponibilità del governo a sostenere la Chiesa in tutte le questioni riguardanti la sua struttura organizz...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Elenco delle abbreviazioni e degli acronimi
  5. Glossario
  6. Stalin e il patriarca
  7. Capitolo primo. Il patriarcato e la rivoluzione
  8. Capitolo secondo. Accelerazione antireligiosa
  9. Capitolo terzo. Un’opportunità inattesa
  10. Capitolo quarto. La svolta
  11. Capitolo quinto. Ortodossia e geopolitica
  12. Capitolo sesto. La Chiesa del patriarca Aleksij
  13. Capitolo settimo. Turbolenze del sistema
  14. Capitolo ottavo. Rinascita controllata
  15. Capitolo nono. Il patriarca senza Stalin
  16. Epilogo
  17. Elenco dei nomi
  18. Il libro
  19. L’autore
  20. Copyright