Senza volo
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Senza volo

Storie e luoghi per viaggiare con lentezza

  1. 256 pagine
  2. Italian
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Senza volo

Storie e luoghi per viaggiare con lentezza

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In treno, nave, autobus, bicicletta o a piedi. Ogni mezzo è buono per raggiungere i luoghi del mondo senza mai salire su un aereo.
In Senza volo si battono strade diverse. Si recupera la lentezza di un viaggio via terra o via mare. Si è liberi di fermarsi e scoprire fiumi, monti, valli e territori di mezzo a cui di norma non si presta attenzione. Ci si sofferma negli interstizi del mondo. Si visitano città, villaggi, borghi dove non si pensava di poter arrivare. Si scoprono tesori nascosti. Ci si libera della noia e dell'alienazione del volo, per muoversi da un luogo all'altro impiegando il tempo necessario per guardare, conoscere, vivere. Ogni capitolo del libro svela i segreti di un mezzo di trasporto e le tante specie in cui si diversifica, i pregi e gli inevitabili difetti, tra riferimenti cinematografici, rimandi letterari e testimonianze, percorsi storici e nuove vie ancora poco battute. Per cercare quel qualcosa che è piú facile trovare lontano da sé. È online il sito dedicato a Senza volo: www.senzavolo.it

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858417973
Categoria
Viaggi

Sui binari

I finestrini dei treni

(OsakaTokyo)
C’è qualcosa d’impalpabile e inafferrabile in quello che s’agita nei finestrini dei treni. Un frullare di riflessi e colori. Un fuggire serrato di case, montagne, pianure e cielo. Tra Osaka e Tokyo corre quello che è il treno dalle sembianze di un aereo. Ideata da Hideo Shima, la Tokaido Shinkansen supera tremila ponti e quasi settanta tunnel a una velocità, che per la prima volta nella storia ferroviaria, è andata oltre la soglia dei duecento chilometri orari. Le due città distano piú di cinquecento chilometri e ora bastano meno di tre ore per percorrere quello spazio. Ne serviva piú del triplo prima che questa linea venisse costruita. Il treno fu inaugurato il 1° ottobre del 1964 in occasione delle Olimpiadi e fu un modo, per il gigante nipponico, di liberarsi dall’ombra della guerra. La Shinkansen, alla ricerca della maggiore stabilità possibile, fu fatta correre su un binario piú ampio di quello della vecchia ferrovia. Il convoglio risale da sud verso nord e segue il profilo della costa meridionale dell’isola di Honshu. Passa Kyoto, Nagoya, Hamamatsu e Yokohama. Le carrozze affusolate, dotate d’aria condizionata, hanno una tenuta ermetica contro gli sbalzi di pressione. Se sui finestrini dei treni a cui siamo piú abituati appare e scompare una realtà elusiva, sui vetri della Shinkansen l’enigma diviene ancor piú inafferrabile.
Alla ricerca di quel mondo, partí nel 1973 l’architetto e designer italiano Mario Bellini, insieme a un amico italiano e un architetto giapponese. I tre scesero prima da Tokyo a Osaka con un passo lento. Dormirono in locande, mangiarono il cibo locale e fecero l’ofuro, il bagno tipico di quelle parti. Poi tornarono a Tokyo con la Shinkansen. Bellini, che tra le altre cose ha disegnato macchine per scrivere della Olivetti e realizzato il Tokyo design center, portò con sé una macchina fotografica speciale, la Zeiss Hologon, che permetteva di inquadrare un campo piú ampio di quello che riesce a cogliere l’occhio umano. Era intenzionato a ritrarre quello che baluginava per un solo istante nel quadro panoramico del finestrino. Le risaie, i paesaggi periferici, le distese d’acqua, le febbrili costruzioni d’edifici. Un intero paese che mutava pelle, dove antico e moderno si sovrapponevano violando una terra rimasta immota per millenni. Bellini utilizzò, per competere con la velocità del treno, tempi d’esposizione brevissimi. Sulla pellicola impressionò centinaia di visioni di quello che filtrava attraverso la cornice di vetro. Per tutto il tempo del viaggio, l’italiano si agitò sul treno, senza stare fermo un solo istante. Correva come e piú del moderno convoglio. Piú si avvicinava a Tokyo, piú scattava fotografie. Cosa cercava di cogliere? Qual era il suo anelito? E cosa alla fine avrà veduto in tutti quei frammenti di luce nel chiuso della camera oscura?
Quando ancora la Shinkansen non esisteva, l’autore giapponese Yasunari Kawabata raccontò nel Paese delle nevi la storia di Shimamura che, a bordo di un treno, fuggiva da Tokyo. L’uomo è seduto dal lato del finestrino. È soprappensiero. Pensa alla donna che dovrà incontrare alla fine del viaggio. Poi con un dito traccia una linea sul vetro appannato. Quasi sobbalza quando, in quel piccolo varco aperto, appare l’occhio di una donna. Dapprima non capisce di cosa si tratta. Pensa di sognare. Poi si accorge che quel che vede è il volto riflesso della donna che, nello scompartimento, gli siede di fronte. La giovane ha al suo fianco un uomo piú anziano. Forse è il marito, forse il padre. Shimamura, fingendo di voler vedere fuori, per poter fissare lo sguardo su tutto il volto della donna, libera dal vapore, con un palmo della mano, uno spazio piú ampio. L’uomo osserva il paesaggio notturno e le figure riflesse che si sovrappongono quasi a formare «una specie di mondo simbolico, ultraterreno». Il cielo sulla montagna conservava tenacemente tracce del rosso tramonto. Shimamura vede il paesaggio fluire dietro quel volto che pare trasparente. Poi, succede qualcosa. Una luce appare sul profilo della montagna e comincia a brillare sul viso della giovane donna. Appena la luce «attraversò con il suo piccolo raggio la pupilla della ragazza, appena l’occhio e la luce si furono sovrapposti l’uno sull’altra, l’occhio diventò una particella fosforescente, misteriosamente bella, sulla nera distesa delle montagne».
Nella profondità di un finestrino, in quell’agitarsi di mondo, pare quasi si sveli, per un solo istante, un frammento del segreto che l’universo tiene chiuso in qualche spazio inaccessibile.
TEMPI E LUOGHI
Nazione: Giappone.
Quanto tempo: due ore e cinquantuno minuti.
Percorrenza: 556 chilometri.
Partenza e arrivo: Osaka - Tokyo, 09.02 - 11.53.
Altre informazioni: il servizio della Shinkansen fra Tokyo e Osaka viene assicurato con partenze con una cadenza ogni quindici minuti. Il treno prevede due classi: Ordinary (ordinaria) e Green (prima classe). Per viaggiare in prima classe è obbligatoria la prenotazione. La compagnia ferroviaria offre ai turisti stranieri la Japan Rail Pass che permette di viaggiare sulle ferrovie (anche sulla Shinkansen, tranne per il Nozomi).

La linea retta e la meta

(New JalpaiguriDarjeeling)
Nella natura intima del treno c’è l’andare diritto e in piano. La rotaia d’altronde nasce con l’obiettivo di portare al minimo le asperità del terreno. Cosí, si può andare il piú veloce possibile con il minor impiego d’energia. Ma, alle volte, per andare in un posto, si devono seguire zig-zag e serpentine e ci si deve prendere tutto il tempo che occorre. Piú di quanto non sembri necessario. E, pure se i chilometri da percorrere sono pochi, se davvero si vuole arrivare fino alla meta, si deve essere pronti alla pazienza. Perché quel luogo, altrimenti può arretrare fino a essere inaccessibile. In occasione del discorso di ringraziamento che il poeta Josef Brodskij pronunciò alla consegna del premio Nobel, disse che per arrivare da San Pietroburgo, la città dove era nato ma dove non viveva da anni, a Stoccolma, la strada fu tutt’altro che semplice. Diceva delle peripezie della vita, l’esilio a cui era stato costretto, le fatiche e i tremori. Ma parlava anche delle avventurose forme della terra e delle diversioni che l’uomo deve fare per seguire quelle pieghe. Non se ne doleva. Spiegò che, per un uomo come lui, la nozione secondo cui una linea retta è la via piú breve per mettere in contatto due luoghi «ha perso la sua attrazione molto tempo fa». E aggiunse: «Mi fa piacere scoprire che la geografia a sua volta sia capace di una giustizia poetica».
In India c’è un treno che impiega sei ore per coprire la distanza d’ottantotto chilometri da New Jalpaiguiri a Darjeeling. E lo fa seguendo l’orografia complessa della zona tra il Bengala e il Nepal. Niente linee dirette. Niente linee in pianura. Questo trenino porta un piccolo contributo, a suo modo, con uno sferragliare a vapore, faticoso e bizzarro, alla poeticità della geografia. Lo fa seguendo volte strette e spirali che paiono strozzare il treno su se stesso. Lo fa per potere salire fino ad una valle altrimenti irraggiungibile.
Tutto il convoglio sta in una locomotiva a vapore e tre vagoncini. La Darjeeling Himalayan Railway, cosí si chiama quello che per molti è solo un treno giocattolo, fu costruita tra il 1858 e il 1881 ed è una sorta di miracolo tecnologico che sale, a una velocità di dieci chilometri l’ora, dall’umidità opprimente della pianura fino all’aria frizzante delle vette. Questo treno, si può dire, prese vita da un seme della pianta del tè. Era il 1839 quando il Darjeeling venne scelto dalla Compagnia dell’Est delle Indie, dopo una spedizione in questa zona, allora quasi deserta, che si trova a duemila metri d’altitudine al confine con il Nepal. Da allora qui si coltiva uno dei migliori tè del mondo.
Si parte, intorno alle nove del mattino. Il treno si muove lento lungo la pianura del Bengala occidentale e poi, verso la stazione di Sukna, comincia a salire tra gli alberi di teak. Da qui cominciano le prime curve. Il treno supera una pendenza molto ripida tra zig-zag e grandi volte che fanno incrociare la ferrovia in numerose spirali in modo da ascendere rapidamente ed evitare di dovere superare una pendenza altrimenti troppo ripida. Sono tanto geniali le soluzioni tecniche, tanto mozzafiato il paesaggio, tanta l’utilità sociale di questo piccolo treno che l’Unesco nel 1999 ha deciso di metterci sopra la sua ala protettrice e lo ha nominato patrimonio dell’umanità. Ai tempi del fulgore dell’impero inglese, all’andata portava il riso e le lettere per chi era qui a soggiornare, al ritorno portava a valle il tè. Poco prima della stazione di Gyabari la curva del treno pare far sporgere la locomotiva e i vagoni sugli abissi della valle. Poi si arriva a Ghoom, il punto piú elevato a 2600 metri. Tra gli enormi pini himalayani, l’intero paesaggio della valle con le piante tropicali del Bengala e le cime innevate del Kanchenjunga a 8579 metri. Con questo treno, con questo piccolo tratto di 88 chilometri, Calcutta si aprí la strada verso Darjeeling.
Su questo treno non salirono solo i commercianti di tè e i ricchi turisti inglesi dell’epoca. Il dieci settembre del 1946 partí da Calcutta, diretta a Darjeeling una trentenne che si chiamava Agnes Gonxha Bojiaxhi. Si recava al convento di Loreto. Quel giorno su quel treno, la giovane ricevette quella che poi lei avrebbe chiamato «la chiamata dentro la chiamata». In quel percorso decise di lasciare il convento di Calcutta e aiutare i poveri. Dovette aspettare l’agosto del 1948 per lasciare l’ordine e rimanere allo stesso tempo una religiosa. Il 16 agosto del 1948 indossò il sari bianco con i bordi blu. Da allora prese il nome di Madre Teresa. Non sono sempre le strade piú dirette a condurci alla nostra meta.
TEMPI E LUOGHI
Nazione: India.
Quanto tempo: sei ore e cinquantacinque minuti.
Percorrenza: 88 chilometri.
Partenza e arrivo: New Jalpaiguri - Darjeeling, 09.00 - 15.55.
Altre informazioni: anche chiamato il Toy Train. Il treno ha due classi. Ci sono lungo il percorso quattordici stazioni ferroviarie a una distanza compresa tra sei e sette chilometri. La stazione di Ghum è la seconda stazione ferroviaria piú elevata al mondo a essere raggiunta da una locomotiva a vapore.

L’immagine e la distanza

(PechinoLhasa)
Durante un lungo viaggio, accade di gettare lo sguardo, per un solo istante, alla foto di chi ci è caro. La sbirciamo appena. Solo un’occhiata, mentre l’immagine rimane, celata agli altri, tra le pieghe del portafoglio. Per un solo istante, cosí, ci capita di ritrovare la piega della bocca, la linea degli occhi, il sorriso che s’apre sereno. Quell’atto, quell’immagine ha su noi, allo stesso tempo, un duplice effetto. Quello di accorciare e di allungare, d’improvviso, in un lampo vorticoso, la distanza che ci separa dal luogo da cui siamo partiti e dove viviamo con la persona ritratta. Quando guardiamo quel volto che ci è familiare, mentre intorno a noi scorrono dal finestrino rapidi paesaggi di una terra sconosciuta, quel viso ci riporta a un passo da casa. Esso fa riemergere, quasi per sortilegio, il luogo e le persone cui apparteniamo e ce ne sentiamo, pure cosí distanti, di nuovo parte. Allo stesso tempo, quell’immagine, nella sua incorporea impalpabilità, in quella fantasmatica presenza di persona che sta davanti a noi e invece non c’è e non si può toccare, sancisce da essa la nostra distanza remota. Quasi definitiva. Invalicabile.
Ci sono distanze che paiono difficilmente colmabili. Ci sono luoghi che per lungo tempo sono stati remoti. Ma la ferrovia, come un serpente che cresce senza posa, nonostante la sua apparente vecchiezza, colma, infine, ogni separazione. Si allunga e si ramifica fino a raggiungere i capillari piú remoti del pianeta. Dal 1° luglio del 2006, il treno che porta da Pechino fino alla capitale del Tibet, Lhasa, quello che è stato a lungo il sogno irrealizzabile di Mao Zedong, è divenuto realtà. È un convoglio che utilizza i piú evoluti marchingegni. Viaggia per lunghi tratti sul permafrost, il suolo permanentemente gelato, ha finestrini che filtrano i raggi ultravioletti e un complesso sistema che regola il livello d’ossigeno all’interno delle carrozze. Il treno, spinto da tre locomotive, passa per il punto piú elevato mai raggiunto da una ferrovia: il Tanggula Pass a 5231 metri. I primi lavori per la ferrovia verso il Tibet risalgono al 1956. Ci vollero trent’anni per ultimare il tratto di tremila chilometri che portava da Pechino fino a Golmund, la capitale della regione dello Qinghai. Ma è l’ultimo tratto, quello lungo piú di mille chilometri, che da Golmund conduce a Lhasa, ad avere aperto la strada verso il Tibet. Le autorità cinesi lo considerano lo strumento per legare il Tibet alla Cina in maniera indissolubile. Dai tibetani, è visto come un macchinario che porta l’invasiva modernità in quello spazio rarefatto che è il loro mondo. Per coprire l’intero percorso s’impiegano due giorni. La ferrovia attraversa l’altopiano himalayano e per 960 chilometri viaggia a oltre quattromila metri d’altezza. Bruno Philip, il reporter e corrispondente in Cina di «Le Monde», ha raccontato che il capo di Stato cinese Hu Jintao ha ammirato la meraviglia senza però salirci a bordo. Da Golmund, scrive Philip, «il treno si tuffa in una vasta steppa battuta dai venti prima di attraversare le grandi valli con un paesaggio roccioso, maestoso con le montagne color ocra. Un centinaio di chilometri piú a Sud si è già a 4 mila metri di altitudine e il paesaggio cambia: il treno passa ai piedi delle montagne innevate di Kunlun, la formidabile barriera oltre la quale comincia l’altopiano tibetano». Tra i primi viaggiatori c’è stato anche un testimone particolare: lo scrittore indiano Pankai Mishra, appassionato di treni e figlio di un addetto delle ferrovie del suo paese. Mishra proviene proprio da quel gigante dall’economia emergente, come è la Cina, dove, dal 1959, il Dalai Lama è stato costretto a vivere in esilio. Lo scrittore pare quasi spaventato dalla presenza, all’interno di ciascuna cabina, di una specie di bombola d’ossigeno. Il treno d’altronde supera un dislivello impressionante e nelle altezze del Tibet l’ossigeno è una risorsa rara. I cinesi, per aumentare la percentuale del prezioso elemento chimico, hanno piantato migliaia di alberi nella valle di Lhasa, ma i problemi respiratori, per chi non è di queste parti, sono rimasti.
Una volta a Lhasa, Mishra racconta di avere incontrato un agricoltore tibetano. Il giovane gli ha mostrato la casa della sua vecchia famiglia, il cortile, le mucche mentre vengono munte, un salone con una tv e un frigorifero. «Tutta questa vita ce la siamo creata senza l’aiuto dei cinesi» gli ha detto a un certo punto il giovane. Ora il treno che avvicina le due città mette in discussione tutto questo. E anche queste due civiltà, sproporzionatamente diverse, si trovano sempre piú a confronto. Nella stanza della casa del contadino c’è un poster del presidente cinese. Ma nel chiuso di un armadio, assicura il giovane, sta nascosta l’immagine proibita del Dalai Lama esiliato in India.
A un viaggiatore pare possibile di intuire quale sarà la sensazione del contadino quando, di nascosto, potrà gettare, non visto, per un solo istante, uno sguardo all’immagine preziosa.
TEMPI E LUOGHI
Nazione: Cina (Tibet).
Quanto tempo: un giorno, ventitre ore e ventotto minuti.
Percorrenza: 4064 chilometri.
Partenza e arrivo: Pechino - Lhasa, 21.30 - 20.58.
Altre informazioni: la velocità del convoglio oscilla tra i 120 chilometri orari e i 160 chilometri orari. Lungo il percorso ci sono quaranticinque stazioni ferroviarie.

Le stazioni intermedie

(ParigiCabourg)
C’è un treno che porta dalla città al mare. Una città che è stata il centro del mondo. E che forse lo è ancora. Il mare è quello del Nord, nel dipartimento di Calvados nella bassa Normandia. Lontano dalle spiagge dorate e dal sole di fuoco del Mediterraneo. Il treno porta sul lungomare, punteggiato da ombrelloni e alberghi, dove ha passeggiato Marcel Proust, l’autore di Alla ricerca del tempo perduto. Andare da Parigi alla Normandia rimanda alle vie percorse dalle prime ferrovie f...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Sui binari
  4. Sull’acqua
  5. Sulla strada
  6. Su due ruote
  7. Su due piedi
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright