Harry parcheggiò vicino a una baracca. Era l’unico punto sopraelevato che era riuscito a trovare nella zona dei moli di Bjørvika, per il resto completamente piatta. D’improvviso la temperatura si era alzata abbastanza da sciogliere la neve, il sole splendeva e, in poche parole, era una bella giornata. Harry camminava fra i container accatastati l’uno sull’altro come giganteschi mattoncini Lego che gettavano ombre inquietanti sull’asfalto. I nomi e le scritte indicavano i luoghi d’origine: Taiwan, Buenos Aires e Città del Capo. Si fermò sul molo a occhi chiusi e pensò a quei posti lontani. Sentiva l’odore del mare, del catrame riscaldato dal sole e del diesel. Quando riaprí gli occhi il traghetto dalla Danimarca stava entrando nel suo campo visivo. Sembrava un frigorifero. Un frigorifero che trasportava gente avanti e indietro, un frigorifero per i pendolari scandinavi.
Sapeva che era troppo tardi per sperare di trovare una traccia dell’incontro fra Hochner e Urias, e non era neppure sicuro che quello fosse il terminal giusto, c’era anche il porto di Filipstad. Ciononostante, si augurava che quel luogo potesse ispirarlo dando alla sua immaginazione la spinta necessaria.
Diede un calcio a un copertone che sporgeva verso l’acqua. Avrebbe dovuto procurarsi una barca per andarci con suo padre e Søs in estate? Dopo la morte della moglie, otto anni prima, suo padre aveva bisogno di distrarsi. Quell’uomo un tempo cosí socievole era diventato un orso. E anche se Søs non sarebbe andata lontana da sola, spesso ci si dimenticava che era affetta dalla sindrome di Down.
Un uccello si tuffò, pieno di ardore, fra i container. La cincia riesce a volare a ventotto chilometri all’ora. Era stata Ellen a dirglielo. L’anatra selvatica a ventisei. Entrambe se la cavano bene, pensò. No, piú che per Søs, era preoccupato per suo padre.
Cercò di concentrarsi. Aveva trascritto tutto quello che gli aveva detto Hochner, parola per parola, ma ora cercava di ricordare il suo viso per decifrare quello che non gli aveva detto. Poteva descrivere Urias? Hochner non aveva avuto molto tempo a disposizione, ma quando si vuole descrivere una persona si inizia generalmente dalla caratteristica piú vistosa, quella che diverge dalla norma. E la prima cosa che Hochner gli aveva detto era che Urias aveva gli occhi azzurri. Se quello secondo lui era il dettaglio piú importante, si poteva supporre che il suo cliente non avesse altri segni particolari, per esempio non parlava né camminava in maniera strana. Conosceva sia il tedesco sia l’inglese ed era stato in un posto in Germania che si chiamava Sennheim. Guardò il traghetto danese diretto a Drøbak. Dunque aveva viaggiato molto. Era un marinaio? Harry aveva consultato alcuni atlanti, persino uno della sola Germania, ma non aveva trovano traccia di Sennheim. Forse Hochner se l’era inventato. Probabilmente non aveva alcuna importanza.
Aveva poi detto che Urias gli sembrava pieno di odio. Allora, forse, ciò che avevano immaginato poteva essere vero: la persona che stavano cercando covava dei rancori personali. Ma chi odiava?
Il sole scomparve dietro Hovedøya e la brezza che spirava dal fiordo di Oslo si fece piú intensa. Harry si abbottonò il cappotto e si incamminò verso l’auto. E quel mezzo milione di corone? Urias lo aveva pagato per conto di qualcuno? O lavorava in proprio ed erano soldi suoi?
Harry prese il cellulare. Un minuscolo Nokia acquistato soltanto due settimane prima. Per molto tempo si era rifiutato di comprarne uno, ma alla fine Ellen lo aveva convinto. Compose il suo numero.
– Ciao, sono Harry. Sei sola? Okay. Allora cerca di concentrarti. Facciamo il solito gioco. Pronta?
Lo avevano già fatto diverse volte. Il «gioco» consisteva nel proporre a Ellen alcune frasi. Nessuna premessa, nessun indizio su quale fosse l’elemento critico, il nodo in cui lui si era inceppato e che non riusciva a sciogliere. Solo schegge di informazioni, frasi da una a cinque parole ciascuna, prive di una sequenza logica. C’era voluto del tempo per elaborare il metodo. La regola piú importante era che il numero totale di frasi andava da un minimo di cinque a un massimo di dieci. L’idea di non superare quel limite era stata di Harry, dopo la volta in cui aveva perso vergognosamente a un gioco di memoria con Ellen e si era dovuto sobbarcare i suoi turni di notte. Avevano scommesso che lei non si sarebbe ricordata una sequenza di carte che aveva visto per due minuti – due secondi per carta. Prima di arrendersi lui aveva perso tre volte di fila. Alla fine Ellen gli aveva svelato il suo segreto. Non pensava alle carte in se stesse, ma a ognuna associava una persona o un evento, e poi, man mano che le carte venivano scoperte, costruiva una storia. Piú avanti Harry aveva utilizzato quel metodo nel lavoro. A volte il risultato era stato sbalorditivo.
– Un uomo di settant’anni, – disse Harry lentamente. – Norvegese. Mezzo milione di corone. Pieno di odio. Occhi azzurri. Fucile Märklin. Parla tedesco. Nessun segno particolare. Contrabbando d’armi. Porto dei container. Prove di tiro a Skien. È tutto.
Harry entrò nell’auto.
– Niente? Lo immaginavo. Va bene. Ho pensato che valesse comunque la pena di tentare. Grazie lo stesso. Ciao.
Arrivato alla rotonda davanti alla posta centrale, ebbe un’idea e la richiamò.
– Di nuovo io. Ho dimenticato una cosa. Stai ascoltando? Non usa un’arma da cinquant’anni. Ripeto. Non usa… sí, lo so che sono piú di cinque parole. Sempre niente? Cristo, sto girando in tondo! Ci sentiamo, ciao.
Posò il cellulare sul sedile del passeggero e si concentrò sulla guida. Era appena uscito dalla rotonda quando il telefonino squillò.
– Sempre io. Che cosa? Come diavolo ti è venuto in mente? Sí, sí, adesso non arrabbiarti. È solo che mi capita di dimenticare che nemmeno tu sai cosa ti succede nella testa. Il tuo cervello. Il tuo grande, magnifico cervello iperattivo, Ellen. Sí, adesso che me lo dici mi sembra evidente. Grazie mille.
Harry spense il cellulare e in quello stesso istante si ricordò che le doveva ancora tre turni di notte. Ora che non faceva piú parte dell’Anticrimine doveva pensare a un altro modo di pagare il debito. Ci mise circa tre secondi a trovarlo.
La porta si aprí e Harry fissò due occhi azzurri penetranti incastonati in un viso rugoso.
– Harry Hole, polizia, – disse. – Ho chiamato questa mattina.
– Ah sí, certo.
I capelli bianchi e grigi dell’anziano erano pettinati all’indietro e scoprivano una fronte alta e spaziosa. Indossava camicia e cravatta e un cardigan fatto a mano. Even e Signe Juul: i nomi dell’uomo e di sua moglie erano scritti sulla buca delle lettere di una piccola casa rossa che si trovava in un tranquillo quartiere residenziale a nord della città.
– La prego, si accomodi, signor Hole.
La voce era calma e ferma, e qualcosa nel portamento del professore Even Juul lo faceva sembrare piú giovane della sua età. Harry aveva fatto delle ricerche e, fra le altre cose, aveva scoperto che quel professore di Storia era stato nella resistenza. Anche se Even Juul era in pensione, rimaneva sempre il piú grande esperto norvegese della storia dell’occupazione e del Nasjonal Samling.
Harry si chinò per togliersi le scarpe. Sulla parete davanti a lui c’erano le cornici di svariate fotografie in bianco e nero leggermente sbiadite. In una era ritratta una giovane donna in uniforme da infermiera. Un’altra raffigurava un uomo che indossava un vestito bianco.
Appena entrati nel soggiorno un vecchio airedale terrier abbaiò per qualche secondo e, prima di andare ad accovacciarsi vicino alla poltrona di Juul, annusò l’inforcatura dei pantaloni di Harry.
– Ho letto molti suoi articoli sul fascismo e sul nazionalsocialismo sul «Dagsavisen», – esordí lui dopo essersi seduto.
– Mi fa piacere, – rispose l’uomo con un sorriso.
– Da quello che ho capito, lo scopo dei suoi articoli è creare uno stato di allerta contro il neonazismo dei nostri giorni.
– Io non voglio allarmare nessuno. Mi limito a sottolineare alcuni paralleli storici. Una delle responsabilità dello storico è svelare, non nascondere.
Juul si accese la pipa.
– Molti pensano che il bene e il male siano verità assolute. Non è cosí, cambiano con il tempo. Il compito degli storici è innanzitutto trovare la verità storica, verificare le testimonianze e presentarle in modo obiettivo e disinteressato. Se gli storici dovessero ergersi a giudici dell’umana follia, ai posteri sembreremmo dei fossili… i resti dell’ortodossia di un’epoca.
Una ghirlanda di fumo blu si alzò verso il soffitto. – Ma non è certo per questo che è venuto da me.
– Abbiamo pensato che forse può aiutarci a trovare un uomo.
– Sí, me lo ha detto al telefono. Chi sarebbe quest’uomo?
– Non lo sappiamo. Ma supponiamo che abbia gli occhi azzurri, che sia norvegese e abbia piú di settant’anni. E che parli tedesco.
– E poi?
– È tutto.
Juul si mise a ridere. – In questo caso, la scelta è p...