Il mio filo rosso
eBook - ePub

Il mio filo rosso

IL «CORRIERE» E ALTRE STORIE DELLA MIA VITA

  1. 480 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il mio filo rosso

IL «CORRIERE» E ALTRE STORIE DELLA MIA VITA

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Giulia Maria Crespi appartiene a un'importante famiglia lombarda, di cui ha proseguito la tradizione filantropica e di impegno civile. Con naturale voce narrativa, senza autoindulgenza, con sincerità e nessun timore reverenziale racconta qui le molte avventurose storie della sua vita. Centrali nel libro sono le vicende del «Corriere della Sera», di grande importanza per la storia del nostro Paese. Giulia Maria Crespi, che in modo crescente partecipa alla gestione del giornale, si adopera in una battaglia per l'ammodernamento del «Corriere», in consonanza con la parte piú progressista dell'opinione pubblica. Una svolta coraggiosa ma irta di difficoltà, che nel 1974 la costringeranno a lasciare la gestione del giornale. Si occupa sempre piú della Fondazione Crespi Morbio per Famiglie Numerose e di Italia Nostra. Nel 1975 assieme a Renato Bazzoni fonda il FAI (Fondo Ambiente Italiano) per la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale. Da 40 anni lotta strenuamente per difendere l'agricoltura in Italia, in particolare quella organica.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il mio filo rosso di Giulia Maria Crespi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Politics & International Relations e Political History & Theory. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Parte seconda

Ma ecco che una mattina arriva la ventosa e luminosa giornata del marzo 1962, dove inizia un nuovo capitolo della mia vita. Dove il filo rosso tesse un altro nodo.
Vivissimo il ricordo di quella mia prima entrata al «Corriere». Il giorno precedente le raccomandazioni di mio padre non finivano: «Mi raccomando, vestito modesto. Non parlare. Ascolta. E ricordati, puntualità». Io esco di casa alle 10 meno un quarto, non lo faccio aspettare e partiamo in automobile.
Arrivati in piazza Cavour mio padre ferma la macchina e impugna il bastone. «Io faccio sempre due passi prima di entrare, fa bene alla salute».
Mio padre aveva la mania di fare due passi. Ogni sera dopo cena, estate e inverno, usciva.
Al Biffo, lungo il viale dei cipressi, quante volte l’ho accompagnato sotto la luna ma anche sotto la pioggia! A Milano usciva appena poteva e correva per via Pietro Verri, come un giovanetto.
Quella volta scendemmo dunque dalla macchina e ci avviammo a piedi lungo via Brera, arrivammo all’angolo fra Solferino e Pontaccio. Là, mio padre vide Mario e Vittorio che camminavano sull’altro marciapiede. Fu preso da imbarazzo. Rallentò il passo, per non farsi scorgere. Entrammo dalla porta grande. Mio padre era tutto rosso, appena varcato l’atrio volse lo sguardo a destra: «Egli non avrebbe mai permesso che una donna salisse al primo piano», disse sovrappensiero guardando la statua di Torelli Viollier! «E ricordati la promessa che durante le riunioni della Proprietà non parlerai per ben due anni». Mi sentivo un verme.
Entrando sono meravigliata dal riverente ossequio del guardaportone che si profonde in inchini. Poi lo sguardo sfuggente e timido di vari redattori che rasentano i muri quasi volessero nascondersi. Salimmo lo scalone e in fondo al corridoio entriamo nel «sancta sanctorum», un modesto e impersonale locale d’angolo. Finalmente fui introdotta nella mitica stanza della Proprietà! Una boiserie sul muro di circa un metro e mezzo; un mobile d’angolo vecchiotto con una cassaforte interna mimetizzata da tendine. Sopra il mobile, un vaso blu con due fiori secchi. Nell’altro angolo, un divanetto di velluto verde liso e, di fronte, due poltroncine, due finestre ad angolo, a lato una massiccia e anonima scrivania scura e di fronte una pendola a muro. La prima cosa che notai fu la mancanza di un tavolo da riunioni che venne collocato in seguito dopo un mio intervento.
Le sedute del giovedí cominciavano tardi, poi vennero spostate alle dieci e trenta. Successivamente chiesi a Mario e Tonino di riunirci verso le nove e mezza.
Rimasi zitta per mesi e mesi. Praticamente non aprii bocca, sino a quando ero al traino di mio padre, il quale se mi azzardavo a esprimere un’opinione, un giudizio, mi tirava una gran gomitata. Non parlavo, però nella mia totale ignoranza mi chiedevo: «Ma questi si riuniscono, decidono, e non si scrive niente?» Tutto a memoria e a precaria memoria. Non c’era una carta; nessuno prendeva un appunto. A un certo punto mi chiedo: «Ma come mai non stendono un verbale dopo ogni riunione?» Per questo ebbi l’iniziativa di portare un quadernino e di riassumere per mia memoria tutti gli argomenti trattati. Col passare del tempo il quadernino azzurro del mio aggiornamento personale diventa importante, un punto di riferimento. Lo vedo ancora: taccuino a righe dove annoto cifre, date e decisioni. Ma in silenzio. A casa sturo il rubinetto e commento le decisioni con mio padre prendendo come riferimento questi miei appunti.
Alle riunioni partecipava il direttore amministrativo, che però usciva dalla stanza quando arrivavano a rapporto i dirigenti. Era una richiesta dei Crespi perché altrimenti i funzionari alla presenza del direttore generale si bloccavano e non dicevano la verità, non si sfogavano. Comunque questi funzionari erano talmente atterriti di dire una cosa sbagliata che non dicevano niente del tutto. Meglio e piú prudente il silenzio. Vengo poi a sapere che Egidio Stagno, futuro direttore generale, faceva delle pre-riunioni con i vari direttori, per concertare i rapporti con la Proprietà.
Alle undici inizia il rito officiato dal direttore generale che allora era Giuseppe Colli.
Quel primo giorno a turno giungono alcuni rappresentanti dei vari reparti, ma per avere chiarimenti, spiegazioni e pareri fu la volta di Mario Mapelli, direttore amministrativo, accolto con deferente attenzione, soprattutto da parte di mio padre che serbava da sempre una particolare fiducia in lui. Ma quale fu il mio sbalordimento quando, pur provenendo io da mondi totalmente diversi, vidi che Mapelli arriva con note, conti, cifre tutte scritte a mano! Tutto a penna, vergato con un affilatissimo pennino di un nerissimo inchiostro. Non potrò mai dimenticarlo! Poi allo scoccare di mezzogiorno e venti, arriva il momento culminante: si aspetta il direttore politico!
Questo è l’apice. Il momento dell’analisi politica, previsioni, proposte ovattate e critiche prudenti: un’intelligente aristocratica passatista supervisione dell’Italia che sta entrando nel boom.
Il profeta emette i suoi pareri che vengono accolti quasi sempre con devota attenzione.
All’una meno un quarto Vittorio, il piú giovane dei fratelli, si alza: «Devo andare a prendere il mio bitterino» e si dilegua.
La conversazione procede, si esaminano alcuni problemi, verso l’una e trenta la seduta termina e la Proprietà, scortata da ossequiosi uscieri, viene accompagnata alle rispettive automobili.
Il rito settimanale è terminato.
Ma, seconda novità, arriva il giovanissimo cugino Mario detto Mariolino, pure lui ammesso nella triade e viene coralmente deciso che noi due dobbiamo visitare, conoscere e capire tutti i settori nevralgici dell’azienda sotto la guida di un mentore prescelto.
Cosí iniziò il nostro debutto presso tutti i vertici aziendali.
Davanti alle rotative io non capisco nulla. Davanti ai dati della pubblicità ben poco, la diffusione mi interessa, dell’ufficio studi non esiste neanche l’ombra, la contabilità per me è peggio del greco. In quanto alla pubblicità quello che mi lasciò assolutamente interdetta fu la scoperta che il «Corriere» e tutte le altre testate non andavano a cercare gli inserzionisti ma li aspettavano. Non stimolavano la pubblicità ma la «subivano»; si attendeva l’arrivo del cliente, inserzionista. Per fortuna il boom economico degli anni Sessanta modificò questa modalità «antieconomica» e con la pubblicità in forte ascesa il «Corriere» finalmente non rimase piú fermo ad aspettare ma iniziò a cercare clienti. Però allora nonostante gli sforzi fatti non si riuscí mai a convogliare una quantità di pubblicità sufficiente sul «Corriere» del lunedí. Ogni nuovo direttore si faceva un punto d’onore nel ridurre il rapporto testo-pubblicità a sfavore della pubblicità. Approccio che paragonato al giorno d’oggi suona semplicemente incredibile. In particolare Spadolini aveva dato una grossa spallata rispetto ai predecessori. In tal senso nella meccanica di questo discorso ci sono miliardi di lire di introiti pubblicitari persi. All’inizio degli anni Settanta, con gli investimenti pubblicitari in fortissima ascesa il problema della foliazione calmierata diventa un limite importante, tanto che si inizia a caldeggiare un ampliamento tecnico dello stabilimento e a parlare di macchine piú moderne e piú veloci: la famosa rotativa che avrebbe dovuto sostituire le vecchie macchine tipografiche completamente obsolete. Un fenomeno sempre legato alle inserzioni pubblicitarie che in quel periodo, anche all’estero, stava registrando un andamento sempre piú crescente. Anche quello della Piccola Pubblicità. In questo caso piccoli e medi imprenditori usavano questo strumento per promuoversi. Ah, beati quei tempi per i giornali… anche se la Piccola Pubblicità è sempre stata al riparo di congiunture sfavorevoli, se le cose vanno male è difficile che ci sia un crollo in questo settore.
Durante questa nostra ricognizione preliminare, epocale è l’entrata in redazione mia e di Mariolino nella penombra di quella sala famosa, consacrata da Albertini e ispirata a un’analoga stanza del «Times». Ci accolgono persone con sguardi spenti e depressi, tutti smettono di lavorare e ci guardano curiosi. Un giovane mi si avvicina e bisbiglia: «Guardi in quell’angolo». E vedo agende telefoniche sfasciate, addirittura soltanto metà di un’antologia di sinonimi e obsoleti dizionari. Il giorno seguente vado in libreria e con grande sfacciataggine compro alcuni volumi essenziali e li mando in redazione destando uno stupore inspiegabile: «La Proprietà che manda un vocabolario e un annuario telefonico?» Sembra incredibile ma è successo proprio cosí e gli ultimi superstiti lo ricordano ancora.
Allora il termine «Proprietà» era sacro, per cui vorrei aggiungere che, malgrado tutte le conseguenti grandi durissime vertenze, almeno per il termine «Proprietà» a un certo punto si progredí rispetto al passato e si adoperò il termine piú democratico di «Editori». Però sin dal primo giorno io mi sentivo in un mondo assurdo fuori dal tempo. Non avevo termini di raffronto, ero impreparata. Ma lo sentivo ugualmente, lo capii subito. Gli abitanti di via Solferino vivevano in un mondo a parte. Era come essere in Alice nel Paese delle Meraviglie. Il regno del sonno, dove tutto avveniva con passo ovattato e dove niente era deciso con rapidità.
Rievocando quel periodo, Giulia Borgese mi dice:
Almeno due erano i rumori che risuonavano nei nostri studi di via Solferino; uno lo si sentiva spesso durante il giorno: era il rimbombo, ovvero il tonfo, dei tubi d’ottone e feltro della posta e significava il lavoro che arrivava dai piani alti, come articoli da passare, titolare, mettere in pagina. L’altro, molto piú allegro e perfino applaudito, si palesava soltanto una volta al mese, precisamente il 27: era lo sferragliare lungo il corridoio di un carrello di ferro accompagnato da due fattorini. Annunciava l’arrivo degli stipendi, stipati tutti in fila, in ordine alfabetico, dentro grandi buste quadrate verde pisello, piú o meno rigonfie a seconda di chi le riceveva. Quando il fattorino ce le consegnava noi interrompevamo subito quello che stavamo facendo per tastarle e soppesarle, poi, aprendole contavamo di nascosto le banconote e tiravamo fuori la cosiddetta «tagliatella», una lunga strisciolina di carta con su i vari dati, come lordo, tasse, trattenute, straordinari, gratifica eccetera eccetera, fino al netto finale.
Durante quelle famose visite allo stabilimento, con gli operai stabilisco subito un rapporto da persona a persona. M’invitano alle loro cene, dove mi chiedono di pronunciare un discorsino inaugurale e all’ultimo momento mi viene il vuoto in testa e dimentico tutto il discorso preventivamente preparato. Con alcuni anziani poi è un idillio e stabilisco solidi contatti che durano negli anni. Durante quel periodo, memore del mio lavoro sociale, mi viene in mente di suggerire un incontro prenatalizio con impiegati e operai per scambiarsi gli auguri. La proposta è subito accolta e cosí inizia il rito annuale degli auguri natalizi di cui Giulia Borgese ricorda:
Ci chiama il direttore, Alfio Russo, noi redattori «nuovi», perché quelli «giovani» che avevano già una decina d’anni piú di noi ed erano da un po’ entrati nella schiera delle «grandi firme» – Cavallari, Ottone, Piazzesi, Madeo, Giovanni Russo… – conoscevano bene gli usi e i costumi di via Solferino. Ci avverte: «Domani arriva la “Proprietà” a fare gli auguri di Natale, mi raccomando giacca e cravatta per i maschi e tu, Giulia, per carità, via quegli stivali e mettiti un paio di scarpette décolleté, col tacco. Anzi, eccoti i soldi, e vai subito a comprarle!» E nel dir cosí tira fuori dal portafoglio settemila lire. Allibita, ma ben contenta, vado da Sebastian (in fondo alla galleria Manzoni) ed eseguo l’ordine del direttore. Il rito con la «Proprietà» (perché cosí venivano chiamati gli editori, come un’entità soprannaturale!) si svolse il giorno dopo in quella che volgarmente veniva chiamata «la stanza dei morti» perché era l’ufficio all’ingresso in cui si affacciavano gli sportelli che raccoglievano le necrologie (chiusi per l’occasione). Spumantino e tramezzini, strette di mano, auguri, complimenti, presentazioni, tante belle parole per tutti. Quando entrò Giulia Maria vidi subito che aveva addosso certi stivali tremendi, tutti flosci e soprattutto inzaccherati. Chiaro che veniva direttamente da una qualche sua amata campagna fangosa. Presi per una manica il direttore e glieli indicai… La mattina dopo c’era su ogni scrivania un panettone e una bottiglia di spumante. Il dono che faceva parte del rito!
Inoltre, era tradizione che prima di Natale venissero offerti, durante una cerimonia informale, dei riconoscimenti simbolici a operai e impiegati, dirigenti e giornalisti sia per premiare la loro anzianità in azienda, sia per particolari meriti o risultati raggiunti. Tutto un antiquato e cerimonioso evento che però in un certo senso poteva commuovere i piú puri.
Cosí passano i mesi.
Mio padre talvolta acconsente, talvolta è seccato, talvolta ascolta in privata sede le mie note. «Ma comunque taci! Hai capito?» «Sí, taccio», ma comincio a macinare i miei dubbi e poi un giorno, quando viene proclamata una decisione che era stata poco prima proposta in maniera totalmente diversa, rompo il silenzio, apro il quadernetto e leggo! Da quel momento il mio veto al silenzio è rotto e ci si rivolge sovente come riferimento al mio quadernino.
Ma l’idea del verbale è ancora estranea! Parrebbe incredibile, ma succedeva proprio cosí!
Durante una di quelle riunioni si comincia a parlare di ristrutturazione.
Ripensando a tutta quell’epoca mi rendo chiaramente conto di quanto allora intuivo ma non avevo chiaramente in testa, e cioè: i tempi erano cambiati, venivano alla ribalta nuove metodologie e tecniche gestionali per cui sarebbe stato necessario un manager di grande professionalità, competenza ed esperienza. Ci voleva, in mancanza del pugno di ferro di un Albertini o di un Balzan, la presenza di un vero imprenditore moderno ma in via Solferino neppure si sapeva che una figura del genere esistesse…
Difatti l’organizzazione si era «incancrenita» col passare degli anni anche perché il «Corriere» aveva sempre dato almeno sino alla fine del 1969 ottimi profitti.
In un regime di quasi monopolio era normale che in periodi di vacche grasse non fossero prioritari i controlli dei costi aziendali, e soprattutto il costo del personale che era di elevata incidenza sul conto economico. Si diceva infatti che gli stipendi erano mediamente piú alti della media delle altre aziende, per ragioni storiche. Chi lavorava nel settore della stampa o dell’informazione doveva necessariamente saper leggere, e questo gli conferiva de facto un lignaggio superiore alle altre categorie di artigiani.
Vorrei però aggiungere, con un salto in avanti, che la direzione editoriale del «Corriere» raggiunse con Ottone i vertici mai piú dopo raggiunti dal punto di vista della vendita di copie per diffusione. Ma quanti sbagli venivano continuamente compiuti! Durante la mia presenza lentamente indagando e parlando con tutti vengo a scoprire magagne sempre piú grandi e sovente nascoste!
In pochi anni proliferarono gli uffici e dal 1957 al 1963 si verificò un’inflazione di promozioni e assunzioni anche a livello dirigenziale soprattutto nei settori della pubblicità e della contabilità. La struttura fu rivista in senso aziendale con un tentativo di gestione piú moderna, ma di cui non si aveva alcuna idea! Gli uffici che prima funzionavano parsimoniosamente con pochi impiegati e un capoufficio ora richiedevano piú capiufficio, che a loro volta necessitavano di un dirigente di settore. Colli, che all’epoca era direttore generale, terminò la sua gestione con una dozzina di dirigenti, un esercito di capiufficio e relative segretarie, tutti alle sue dipendenze!
Infatti la ristrutturazione, cosí come venne fatta, finí col creare un «Corriere» pachidermico, aziendalmente inefficiente. Qualcuno malignamente asseriva, a disastro avvenuto, che «al “Corriere” venivano recapitate le buste paga sulle scrivanie di persone che erano già uscite dall’Azienda». Non so se questo fosse vero, però da come era controllata la baracca poteva essere verosimile!
Poi, con una poco studiata decisione strategica, si decise di spostare il settore periodici in un nuovo stabilimento in via Scarsellini, alla periferia Nord di Milano. La decisione fu presa con la gestione Colli, uomo molto perbene, onestissimo. Si era convinti che lo stabilimento di Scarsellini avrebbe permesso nuove iniziative e un recupero dell’azienda nel settore dei rotocalchi. Di per sé l’idea era giusta ma fu messa in pratica nel modo piú errato possibile. Non furono fatte ricerche di mercato sull’evoluzione delle testate, sulle esigenze produttive e del personale, non furono negli ultimi anni tenuti in conto i costi della logistica che erano pesantissimi e legati ai «riti» delle inamovibili date della messa in stampa. Fu un errore pazzesco. Si costruí uno stabilimento in un luogo senza vie di comunicazione, che era servito da una strada perennemente congestionata. Lo edificarono in un terreno senza possibilità di espansione. Sbagliarono anche l’impostazione dello stabilimento. Subito dopo l’insediamento, dovettero allargarlo per mancanza di spazio. A parte l’enorme investimento che alla fine vide quasi triplicarsi il preventivo stimato, il distaccamento di questa parte della produzione iniziato nel 1962 contribuí a creare costosi doppioni di servizi e ad allungare i tempi dei processi produttivi e della logistica. Ovviamente le fasi di ristrutturazione furono molto lu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il mio filo rosso
  3. Premessa
  4. Il mio filo rosso
  5. Parte prima
  6. Parte seconda
  7. Parte terza
  8. INSERTO FOTOGRAFICO
  9. Appendice
  10. Crediti delle immagini
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Copyright