Elizabeth Costello
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Elizabeth Costello

  1. 200 pagine
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Elizabeth Costello

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«I libri di J. M. Coetzee sono sempre scomodi, imprevedibili, destabilizzanti».
«The New York Review of Books» Elizabeth Costello è una scrittrice australiana famosa per il suo primo romanzo, e proprio per questo viene premiata e invitata a tenere conferenze in tutto il mondo. Evitando ostinatamente di soddisfare la curiosità del pubblico sul significato del suo romanzo, e sulla sua storia personale, Costello in ogni apparizione pubblica racconta storie che raramente i presenti vogliono ascoltare, affronta argomenti inquietanti, questioni difficili e controverse, spesso con antagonisti preparati e determinati quanto lei: ad Amsterdam, la responsabilità dello scrittore nel raccontare il Male; in crociera, il realismo in letteratura; in una missione, classicismo, umanesimo e cristianesimo. Sempre portando al limite dell'assurdo le compiaciute certezze del discorso illuminista. Ciascuna delle sei conferenze rivela al lettore un'ossessione intellettuale della protagonista, ma anche qualcosa della sua vita personale, della sua storia.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858420119

Lezione tre

Le discipline umanistiche in Africa

I.
Sono dodici anni che non vede la sorella, da quel giorno di pioggia a Melbourne, al funerale della madre. Questa sorella, cui lei continua a pensare come a Blanche ma il cui nome ufficiale è da tanto tempo sorella Bridget che ormai penserà a se stessa come Bridget, si è trasferita – a quanto pare per sempre – in Africa, per seguire la sua vocazione. Dopo gli studi universitari classici, e quelli successivi di medicina per andare missionaria, è arrivata a essere responsabile dell’amministrazione di un ospedale piuttosto importante nelle campagne dello Zululand. Da quando l’Aids imperversa nella regione, Blanche concentra tutte le risorse dell’Ospedale della Beata Vergine sulla Collina di Marianhill al problema dei bambini nati con l’infezione. Due anni fa Blanche ha scritto un libro, Vivere per la speranza, sul lavoro di Marianhill. Inaspettatamente il libro ha avuto successo. E lei ha fatto un giro di conferenze in Canada e negli Stati Uniti, per pubblicizzare il lavoro dell’Ordine e raccogliere fondi; «Newsweek» le ha dedicato un servizio. Cosí, avendo rinunciato alla carriera accademica per un’oscura vita di duro lavoro, ora Blanche si ritrova improvvisamente famosa, tanto da ricevere la laurea ad honorem di un’università del suo paese d’adozione.
È per quella laurea, per la cerimonia di assegnazione, che lei, Elizabeth, la sorella minore di Blanche, è venuta in questa terra che non conosce e che non ha mai particolarmente desiderato conoscere, in questa brutta città (il suo aereo è atterrato solo da poche ore, e ha visto sotto di sé la vasta distesa di terra ferita, con le grandi, sterili conche minerarie abbandonate). E adesso è qui, stanca morta. Ore della sua vita perse per sorvolare l’Oceano Indiano; inutile pensare di recuperarle. Adesso dovrebbe dormire, rimettersi in sesto, ritrovare il buonumore, prima di incontrare Blanche; ma è troppo inquieta, troppo disorientata, e sta – lo sente in modo confuso – troppo male. È forse qualcosa che si è presa in aereo? Ammalarsi in mezzo a gente estranea: che disperazione! Prega Dio che non sia vero.
Alloggiano tutt’e due nello stesso albergo, sorella Bridget Costello e la signora Elizabeth Costello. Gli organizzatori avevano chiesto se preferissero stanze separate o una suite in comune. Stanze separate, aveva risposto; e probabilmente Blanche aveva detto la stessa cosa. Lei e Blanche non sono mai state davvero vicine; non ha nessuna voglia, ora che sono passate da donne di una certa età a donne decisamente anziane, di stare a sentire le preghiere serali di Blanche, né di vedere che genere di biancheria prediligano le sorelle dell’Ordine mariano.
Disfa le valigie, si aggira a vuoto, accende il televisore, poi lo spegne di nuovo. Nel frattempo, chissà come, si addormenta supina, con le scarpe e tutto. La sveglia il telefono. Brancola in cerca del ricevitore. Dove sono? si chiede. Chi sono? – Elizabeth? – dice una voce. – Sei tu?
Si incontrano nel lounge dell’albergo. Pensava che le regole sul vestiario delle monache si fossero allentate. Ma se è cosí, Blanche non ne è stata toccata. Porta il soggolo, la semplice camicia bianca, la gonna grigia fino a metà polpaccio, le scarpe nere e tozze che si usavano decenni prima. Il volto è segnato, il dorso delle mani disseminato di macchie marroni; per il resto si è mantenuta bene. Il tipo di donna, pensa tra sé, che arriva ai novanta. Pelle e ossa è la parola che pensa senza volerlo: pelle e ossa come una gallina. Quanto a quello che vede Blanche, quanto a quello che è diventata la sorella rimasta nel mondo, be’, preferirebbe non soffermarsi su quel pensiero.
Si abbracciano, ordinano un tè. Conversano del piú e del meno. Blanche è zia, anche se non si è mai comportata come tale, perciò deve informarsi di un nipote e una nipote su cui ha a malapena posato lo sguardo e che potrebbero tranquillamente essere due estranei. E anche mentre parlano, Elizabeth si chiede: È per questo che sono venuta qui – per questo sfiorarsi di labbra e guance, per questo scambio di stanche parole, questo tentativo di ravvivare un passato quasi svanito?
Familiarità. Un’aria di famiglia. Due vecchie donne in una città straniera che prendono il tè e nascondono la loro costernazione. Se ne potrebbe tirare fuori qualcosa, non c’è dubbio. Qualche storia celata, poco appariscente, come un topo nell’angolo. Ma è troppo stanca, in quel momento, per afferrarla, per fissarla.
– Alle nove e mezzo, – dice Blanche.
– Cosa?
– Nove e mezzo. Ci vengono a prendere alle nove e mezzo. Ci vediamo –. Mette giú la tazza. – Hai l’aria sbattuta, Elizabeth. Dormi un po’. Io devo preparare un discorso. Mi hanno chiesto di fare un discorso. Devo guadagnarmelo, il premio.
– Un discorso?
– Sí, un’allocuzione. La terrò domani, per i laureandi. Ti toccherà subirla, temo.
II.
Elizabeth è seduta, insieme ad altri ospiti importanti, in prima fila. Sono anni che non presenzia a una cerimonia di laurea. La chiusura dell’anno accademico: il caldo estivo è terribile qui, in Africa, come nel suo paese.
Ci sono, a giudicare dalla massa di giovani vestiti di nero alle sue spalle, almeno duecento diplomi di laurea in discipline umanistiche da consegnare. Ma prima di tutti tocca a Blanche, l’unica a ricevere una laurea ad honorem. Viene presentata al pubblico. Avvolta nella toga scarlatta da dottore, da professore, è lí in piedi davanti a loro, a mani giunte, mentre l’oratore dell’università elenca i traguardi di una vita. Quindi viene condotta davanti al rettore. Si inchina piegando un ginocchio ed è fatta. Lungo applauso. Sorella Bridget Costello, Sposa di Cristo e Dottore in Lettere, che con la sua vita e le sue opere ha ridato lustro, per un po’, al nome del missionario.
Prende posto dietro al leggio. È giunta l’ora, per lei – Bridget, Blanche –, di recitare la sua parte.
– Rettore, – dice, – egregi membri dell’università,
Voi mi onorate qui, quest’oggi, e io vi ringrazio per l’onore che mi tributate e che accetto non a nome mio ma a nome di tutte quelle persone che per mezzo secolo hanno dedicato i loro sforzi e il loro amore ai bambini di Marianhill e, attraverso quelle creature, a Nostro Signore.
La forma che avete scelto per renderci onore è quella con la quale avete piú dimestichezza, l’assegnazione di un diploma accademico, in particolare di un dottorato – come dite – in litterae humaniores, ovvero in discipline umanistiche. A rischio di dire cose che conoscete meglio di me, vorrei approfittare dell’occasione per dire qualcosa a proposito delle discipline umanistiche, della loro storia e della loro situazione presente; e anche qualcosa dell’umanità. Quello che ho da dirvi potrebbe essere importante, come umilmente mi auguro, per la vostra condizione di persone al servizio delle discipline umanistiche, in Africa ma anche nel resto del mondo, e cioè una condizione estremamente difficile.
A volte bisogna essere crudeli per essere gentili, cosí lasciate che cominci ricordando che non è stata l’università a generare quelle che oggi chiamerò le discipline umanistiche ma che, per essere storicamente piú accurati, d’ora in poi chiameremo studia humanitatis o studi umani, sull’uomo e la sua natura, in quanto distinti dagli studia divinitatis, ovvero gli studi che pertengono al divino. Gli studi umani non sono nati nell’università, né l’università, quando alla fine li ha accettati nel suo ambito, ha fornito loro un asilo particolarmente generoso. Al contrario, l’università ha abbracciato gli studi umani solo in una forma arida e limitata. Ovvero limitandosi all’esegesi dei testi. La storia degli studi umani all’università, a partire dal XV secolo, è cosí strettamente legata a quella dell’esegesi che le due si possono tranquillamente confondere.
Poiché non ho a disposizione tutta la mattinata (il vostro preside mi ha chiesto di limitare il mio intervento a quindici minuti al massimo – «al massimo», sono state le sue parole), dirò quello che ho da dire senza i passaggi graduali e gli esempi storici che voi, studenti e accademici qui riuniti, avreste diritto di ascoltare.
L’esegesi, vorrei dire se avessi piú tempo, era la linfa vitale degli studi umani, quando gli studi umani erano quello che possiamo propriamente definire un movimento storico, e cioè l’umanesimo. Ma non ci volle molto perché il respiro vitale dell’esegesi venisse soffocato. La sua storia da allora in poi è stata la storia di una serie di vani tentativi per resuscitarla.
Il testo per amor del quale è stata inventata l’esegesi era la Bibbia. Gli esegeti si ritenevano al servizio del recupero del vero messaggio della Bibbia, in particolare del vero insegnamento di Gesú. L’immagine che usarono per descrivere il loro lavoro fu quella della rinascita o resurrezione. Il lettore del Nuovo Testamento doveva incontrare per la prima volta, faccia a faccia, il Cristo resuscitato, rinato, Christus renascens, non piú oscurato dal velo delle glosse scolastiche e del commentario. Fu con quell’obiettivo in mente che gli studiosi si dedicarono per prima cosa allo studio del greco, poi dell’ebraico, e poi (piú tardi) delle altre lingue del Vicino Oriente. Esegesi significava per prima cosa il recupero del vero testo, quindi la vera traduzione di quel testo; e la vera traduzione si dimostrò inseparabile dalla vera interpretazione, proprio come la vera interpretazione si dimostrò inseparabile dalla vera comprensione della matrice storica e culturale dalla quale il testo era emerso. È cosí che gli studi linguistici, gli studi letterari (in quanto studi interpretativi), gli studi culturali e gli studi storici – che sono al centro delle cosiddette discipline umanistiche – finirono per trovarsi riuniti tutti insieme.
Perché, vi domanderete giustamente, definire questa costellazione di studi dedicati al recupero della vera parola del Signore studia humanitatis? Porsi questa domanda si dimostrerà, vedremo, molto simile al chiedersi, Perché gli studia humanitatis sono fioriti solo nel XV secolo dell’era cristiana e non centinaia di anni prima?
La risposta ha molto a che fare con le circostanze storiche: con il declino e poi con il sacco di Costantinopoli e con la fuga degli eruditi bizantini in Italia. (In osservanza alla regola dei quindici minuti dettata dal vostro preside, sorvolerò sulla presenza viva di Aristotele, di Galeno e di altri filosofi greci nel mondo medievale cristiano, e sul ruolo degli arabi di Spagna nella trasmissione del loro insegnamento).
Timeo Danaos et dona ferentes. I doni portati dagli uomini d’Oriente non erano solo grammatiche della lingua greca, ma testi di autori dell’antichità greca. Il controllo linguistico che si voleva applicare al Nuovo Testamento greco poteva essere perfezionato solo immergendosi in quegli affascinanti testi pre-cristiani. In men che non si dica, com’era prevedibile, lo studio di quei testi, che in seguito sarebbero stati chiamati classici, diventò un fine in sé.
Ma c’è di piú: lo studio dei testi dell’antichità arrivò a essere giustificato su basi non solo linguistiche ma anche filosofiche. Gesú era stato mandato a redimere l’umanità, diceva la tesi. A redimere l’umanità da cosa? Da uno stato irredento, naturalmente. Ma cosa sappiamo dell’umanità allo stato irredento? L’unica testimonianza sostanziale che copra tutti gli aspetti della vita è quella dell’antichità. Cosí per cogliere il disegno dietro l’Incarnazione – ovvero per cogliere il senso della redenzione – dobbiamo imbarcarci, attraverso i classici, negli studia humanitatis.
Cosí, nel breve e approssimativo resoconto che do, accadde che l’esegesi biblica e gli studi dell’antichità greco-romana finissero per essere accoppiati in un rapporto mai privo di antagonismo, e cosí accadde che l’esegesi in generale e le discipline correlate finissero per rientrare nella categoria delle «discipline umanistiche».
E questo è quanto, per ciò che attiene alla storia. Ed è quanto spiega come mai voi, sia pure diversi e mal assortiti come può darsi vi sentiate dentro, siete qui riuniti stamane sotto lo stesso tetto, come laureandi in discipline umanistiche. Ora, nei pochi minuti che mi rimangono, vi spiegherò perché io non sono una di voi e non ho un messaggio rassicurante da portarvi, malgrado la generosità del gesto che mi avete rivolto.
Il messaggio che porto è che avete smarrito la strada tanto tempo fa, forse addirittura cinque secoli fa. Il manipolo di uomini da cui è nato il movimento di cui voi rappresentate, temo, la triste coda – quegli uomini, dicevo, erano animati, almeno all’inizio, dallo scopo di trovare il Vero Verbo, con il quale allora intendevano, e io tuttora intendo, la parola di redenzione.
Quella parola non si può trovare nei classici, che si pensi ai classici come Omero e Sofocle oppure Omero e Shakespeare e Dostoevskij. In un’epoca piú felice della nostra la gente poteva illudersi che i classici dell’antichità offrissero un insegnamento di vita. Ai nostri giorni ci siamo accontentati, piuttosto mestamente, di rivendicare che lo studio dei classici possa rappresentare di per sé una scelta di vita, o se non una scelta di vita almeno un modo per guadagnarsi da vivere, un modo che, se non può essere considerato di per sé edificante, almeno non può in alcun modo essere accusato di produrre danni.
Ma l’impulso che animava la prima generazione di esegeti non può essere con tanta facilità deviato dal suo vero obiettivo. Sono una figlia della Chiesa Cattolica, non della Chiesa Riformata, ma il mio plauso va a Martin Lutero quando volta le spalle a Erasmo da Rotterdam, convinto che il suo collega, malgrado gli immensi doni intellettuali, sia stato trascinato dentro branche dello studio che, paragonate a ciò che veramente conta, non hanno importanza. Gli studia humanitatis hanno impiegato molto tempo a morire, ma oggi, al termine del secondo millennio della nostra era, sono davvero in fin di vita. E tanto piú amara sarà quella morte, direi, perché è stata provocata dal mostro messo sul trono da quegli stessi studi come principio primo e animatore dell’universo: il mostro della ragione, della ragione meccanica. Ma questa è un’altra storia, per un altro giorno.
III.
Cosí si conclude l’arringa di Blanche, che dalle sedie in prima fila viene accolta da qualcosa di piú simile a un mormorio di generale perplessità che a un applauso. Viene ripreso il programma del giorno: uno a uno i neolaureati vengono chiamati per la consegna dei diplomi; e la cerimonia si conclude con un corteo formale di cui Blanche, con la sua toga rossa, fa parte. Quindi lei, Elizabeth, è libera di aggirarsi per un po’ tra gli ospiti, ad ascoltare le loro chiacchiere.
Quasi tutti commentano l’assurda lunghezza della cerimonia. È solo nel foyer che sente riferimenti espliciti al discorso di Blanche. Un uomo alto con una toga orlata di ermellino sul braccio parla animatamente a una donna in nero. – Chi si crede di essere? – dice, – utilizzare quest’occasione per farci una lezione! Una missionaria delle campagne dello Zululand, che ne sa delle discipline umanistiche? E poi questa dura linea cattolica... che fine ha fatto l’ecumenismo?
Elizabeth è ospite – ospite dell’università, di sua sorella e anche del paese. Se quella gente vuole offendersi, ha tutto il diritto di farlo. Non deve immischiarsi. Che Blanche combatta le sue battaglie.
Ma non farsi coinvolgere si ri...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Elizabeth Costello
  3. Il realismo
  4. Il romanzo in Africa
  5. Le discipline umanistiche in Africa
  6. Il problema del male
  7. Eros
  8. Davanti alla porta
  9. Poscritto
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright