La foresta nascosta
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La foresta nascosta

Un anno trascorso a osservare la natura

  1. 304 pagine
  2. Italian
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La foresta nascosta

Un anno trascorso a osservare la natura

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Al centro di questo libro vi è un cerchio di un metro di diametro. Meno di un metro quadrato di foresta del Tennessee, che grazie all'abilità di David Haskell diventa una piccola finestra spalancata sul vasto mondo della natura: il biologo americano è infatti «convinto che le storie ecologiche della foresta siano tutte rappresentate in un'area grande quanto un mandala, e addirittura che la verità della foresta possa essere rivelata in modo piú intenso e chiaro dalla contemplazione di una piccola superficie che non indossando gli stivali delle sette leghe per coprire lunghe distanze in un intero continente senza però scoprire quasi nulla». Per un anno Haskell è andato quasi ogni giorno nel luogo prescelto e il suo resoconto è un ritratto vivido della foresta e dei suoi abitanti colti nel mutare delle stagioni. Ogni breve capitolo inizia con una semplice osservazione: una salamandra che guizza da sotto le foglie, l'effimera fioritura dei fiori selvatici primaverili, il dinamico germogliare delle felci, due chiocciole fuse in un groviglio amoroso... A partire da minimi accadimenti e accurati dettagli l'autore intreccia biologia e processi ecologici, mettendo in relazione la flora e la fauna con i fenomeni naturali, descrivendo gli ecosistemi che si sono succeduti per migliaia, a volte milioni, di anni. Ogni sua visita alla foresta diventa cosí una storia naturale in miniatura, nella quale vengono sbrogliate con eleganza e poesia le intricate connessioni tra le creature e le piante che dimorano nei boschi. *** «Il manto nevoso alto fino alle caviglie ha livellato la superficie fessurata e irregolare della foresta in una morbida alternanza di protuberanze e avvallamenti. Questa copertura nasconde le profonde spaccature fra le rocce e rende insidiosa la camminata. Mi muovo lentamente, reggendomi ai tronchi d'albero, per non scivolare mentre mi arrampico non senza difficoltà verso il mandala. Spazzo via la neve dal mio sasso e mi siedo stringendomi nel giaccone. Schiocchi fragorosi, come colpi di arma da fuoco, vibrano lungo la vallata piú o meno ogni dieci minuti. Il rumore proviene dalle fibre che si spezzano nei rami nudi e ingrigiti degli alberi ghiacciati. La temperatura è scesa a meno dieci; non una gelata eccezionale, ma il primo vero freddo dell'anno, sufficiente per mettere a dura prova il legno degli alberi. Il sole fa capolino, e il soffice manto di neve bianca si trasforma in migliaia di punti di luce fulgida. Prelevo una ditata di questo miscuglio scintillante dalla superficie del mandala. Vista da vicino, la neve è un groviglio di stelle a specchio. La luce del sole mette in evidenza la fine trama di ogni fiocco, rivelando bracci, aghi ed esagoni perfettamente simmetrici. Centinaia di questi meravigliosi cristalli ammassati sul mio polpastrello».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858413449
Categoria
Ecology

1° gennaio

Associazioni

L’anno nuovo comincia con il disgelo e io respiro l’odore forte e bagnato del bosco. L’umidità ha gonfiato il tappeto di foglie cadute che copre il suolo e l’aria è soffusa di inebrianti aromi frondosi. Allontanandomi dal sentiero che si snoda lungo la discesa, mi inerpico attorno a un’enorme roccia erosa coperta di muschio. Attraverso un breve varco sul versante del monte, vedo il mio punto di riferimento: un lungo masso tondeggiante che sporge dalla lettiera come una balenottera. Questo blocco di arenaria definisce un lato del mandala.
Mi occorrono pochi minuti per attraversare il ghiaione e raggiungere il mio masso. Passo accanto a un grande noce americano, appoggiando la mano sulle strisce di corteccia grigie, e il mandala è ai miei piedi. Faccio il giro, passo dalla parte opposta e mi siedo su una roccia piatta. Mi fermo, respiro l’aria intensa, mi metto in osservazione.
Il letto di foglie è chiazzato di marrone. Al centro del mandala qualche arbusto spoglio di benzoino insieme a un giovane frassino arrivano alla cintola. I colori smorzati nelle sfumature brune delle foglie in putrefazione e delle piante dormienti vengono messi in ombra dal bagliore delle rocce che circoscrivono il mandala, franate dalla scarpata, e oggi levigate in forme irregolari e bitorzolute da migliaia di anni di erosione. Di dimensioni varie, possono essere grandi quanto una marmotta o un elefante; la maggior parte ha il volume di un uomo accovacciato. Il loro fulgore non viene dalla pietra in sé, ma dal manto di licheni che irradia nell’aria umida toni di smeraldo, giada e perla.
La crescita dei licheni forma montagne in miniatura, spuntoni di arenaria con macchie variegate di umidità e di luce. Le creste piú alte dei massi sono chiazzate da spesse scaglie grigie. Oscuri canyon fra le rocce hanno un fulgore porporino. Il turchese luccica sulle pareti verticali mentre cerchi concentrici giallo elettrico decorano i pendii meno scoscesi. Tutte le sfumature dei licheni sono pennellate di fresco. Questa esuberanza contrasta con il pesante letargo invernale in cui è sprofondato il resto del bosco; persino i muschi sono silenziosi e sbiancati dalla brina.
Una fisiologia flessibile consente ai licheni di rimanere attivi tutto l’anno, quando la maggior parte degli altri organismi si addormenta per l’inverno. I licheni affrontano i mesi freddi attraverso il paradosso della resa. Non bruciano combustibile nel tentativo di scaldarsi, ma si lasciano guidare dagli alti e bassi del termometro. Non si aggrappano all’acqua come fanno le piante e gli animali. Il corpo di un lichene si gonfia nei giorni umidi e si corruga quando l’aria si fa piú secca. Le piante rifuggono il freddo, compattando le cellule fino a quando la primavera non le convince di essere davvero arrivata. Le cellule dei licheni hanno il sonno leggero. Basta che l’inverno allenti la sua morsa anche solo per un giorno, e subito tornano a vivere.
Questo atteggiamento verso la vita è stato adottato anche da altri. Nel IV secolo avanti Cristo, il filosofo taoista cinese Zhuangzi scrisse di un vecchio scagliato nelle acque tumultuose alla base di un’altissima cascata. Spettatori atterriti corsero in suo aiuto, ma l’uomo ne emerse calmo e del tutto illeso. Interrogato su come fosse riuscito a sopravvivere alla terribile prova, rispose, «remissività… sono io che mi adatto all’acqua, e non l’acqua a me». I licheni hanno raggiunto questa saggezza quattrocento milioni di anni prima dei taoisti. I veri maestri della vittoria per sottomissione nell’allegoria di Zhuangzi erano i licheni che aderivano alle pareti di roccia attorno alla cascata.
La quiete e la semplicità esteriore dei licheni nasconde la complessità della loro vita interiore, che nasce da una simbiosi tra due creature: un fungo e un’alga o un batterio. Il fungo crea nel terreno una rete di filamenti, le ife, che forma un letto accogliente. L’alga o il batterio vi si annida e sfrutta l’energia solare per produrre zuccheri e altri nutrienti. Come in qualsiasi matrimonio, entrambi i partner subiscono cambiamenti a seguito dell’unione. Il fungo si diffonde, trasformandosi in una struttura simile a una foglia d’albero: una crosta protettiva superiore, uno strato per l’alga deputata alla fotosintesi e pori minuscoli per respirare. Il partner fotosintetico, cioè l’alga, perde la propria parete cellulare, si fa proteggere dal fungo, e rinuncia all’attività sessuale a favore dell’autoclonazione, senz’altro piú rapida, ma meno eccitante dal punto di vista genetico. I funghi dei licheni possono essere coltivati in laboratorio in assenza dei loro partner, ma senza di essi sono come vedovi malaticci e di salute malferma. Allo stesso modo, le alghe e i batteri dei licheni sono generalmente in grado di sopravvivere senza il fungo, ma solo in determinati habitat. Liberandosi dal giogo dell’individualità, i licheni hanno dato vita a un’unione in grado di conquistare il mondo. Coprono quasi il dieci per cento della superficie terrestre, specie nelle lande brulle dell’estremo Nord, dove l’inverno la fa da padrone per la maggior parte dell’anno. Persino qui, nel mio mandala pieno di alberi del Tennessee, ogni roccia, tronco e ramoscello è incrostato di licheni.
Secondo alcuni biologi, i funghi sono degli sfruttatori che irretiscono le loro vittime algali. Questa interpretazione non coglie però un fatto essenziale: nel lichene, i due partner hanno cessato di essere individui, rinunciando alla possibilità di tracciare una linea fra oppressore e oppresso. Come una contadina che bada al meleto e al campo di granoturco, il lichene nasce dall’unione di due vite. Venuta meno l’individualità, calcolare il punteggio fra vincitori e vinti ha poco senso. Il granoturco è oppresso? Il fatto che la contadina dipenda dal cereale ne fa una vittima? Interrogativi di questo genere si basano su una separazione che non esiste. Il battito cardiaco dell’uomo e la fioritura delle piante addomesticate sono due aspetti della stessa vita. La «solitudine» non è un’opzione praticabile: la fisiologia dell’agricoltore è plasmata da una necessità di trarre nutrimento dai vegetali che risale a centinaia di milioni di anni fa, quando si formarono i primi animali vermiformi. Le piante addomesticate hanno alle spalle solo diecimila anni di vita accanto all’uomo, ma anch’esse hanno perduto la loro indipendenza. I licheni arricchiscono di intimità questa interdipendenza, fondendo i loro corpi e intrecciando le membrane delle loro cellule, come steli di granoturco che formassero un tutt’uno con il contadino, legati fra loro dalla mano dell’evoluzione.
La varietà cromatica dei licheni del mandala riflette i tanti tipi di alghe, batteri e funghi coinvolti nel sodalizio. I licheni azzurri e viola contengono batteri verdi-azzurri denominati cianobatteri. I licheni verdi contengono alghe. I funghi mescolano i colori secernendo pigmenti gialli o argento che fanno da schermo solare. Batteri, alghe, funghi: tre venerabili fusti dell’albero della vita che intrecciano i loro steli pigmentati.
Il verde delle alghe è il riflesso di un’unione piú antica. Gemme di pigmento nel profondo delle cellule algali assorbono l’energia del sole. Attraverso una catena chimica, questa energia si trasforma nei legami che uniscono le molecole d’aria agli zuccheri e ad altri nutrienti. Questi zuccheri alimentano tanto la cellula dell’alga quanto il suo partner fungino. I pigmenti fotosintetici sono conservati nei cloroplasti, quasi dei minuscoli portagioie, ciascuno dei quali è delimitato da una membrana e dotato di patrimonio genetico proprio. I cloroplasti, di colore verde, traggono origine da un batterio entrato in simbiosi con cellule algali un miliardo e mezzo di anni fa, quando i «batteri-inquilini» persero le loro membrane esterne e rinunciarono alla sessualità e all’indipendenza, proprio come avviene quando le alghe si uniscono ai funghi per dare vita ai licheni. I cloroplasti non sono gli unici batteri a vivere all’interno di altri organismi. Tutte le cellule vegetali, animali e fungine sono abitate da mitocondri di forma allungata, simili a piccoli siluri, che funzionano come centrali elettriche in miniatura in cui si produce energia attraverso la combustione di zuccheri e grassi. Anche questi mitocondri, un tempo, erano organelli autonomi e, come i cloroplasti, hanno rinunciato al sesso e alla libertà a favore dell’associazione.
E la spirale chimica della vita, il Dna, porta i segni di un’unione ancora piú antica. I nostri antenati batterici scompigliavano e si scambiavano i geni fra le specie, mescolando istruzioni genetiche cosí come i cuochi si copiano le ricette. Di tanto in tanto, due chef potevano decidere di mettersi in società, e due specie si fondevano in una. Il Dna degli organismi moderni, incluso il nostro, rivela ancora le tracce di queste fusioni. Pur funzionando come unità singola, i nostri geni sono caratterizzati da due o piú stili di scrittura ingegnosamente diversi, vestigia delle varie specie che si sono unite miliardi di anni fa: «albero della vita» è una metafora insufficiente a rendere l’idea. Le parti piú profonde della nostra genealogia assomigliano a reti o delta fluviali, ricchi di intrecci e flussi che si incrociano.
Siamo come matrioske: se esistiamo, è grazie alla vita di chi vive dentro di noi. Ma mentre le bambole russe si possono separare, i nostri assistenti cellulari e genetici non possono separarsi da noi, né noi da loro. Siamo degli enormi licheni.
Unione. Fusione. Gli abitanti del mandala intrecciano le loro vite in associazioni vincenti. Ma la cooperazione non è l’unica modalità a caratterizzare la foresta. Vi sono anche associazioni piú dolorose, quali la pirateria e lo sfruttamento, come ci ricorda il filamento attorcigliato sul letto di foglie al centro del mandala delimitato dalle rocce coperte di licheni.
Mi ci vuole un po’ per capire cos’è, frenato come sono da una scarsa capacità di osservazione. In un primo momento, la mia attenzione era stata attirata da due formiche color ambra che si affaccendavano sulla lettiera umida. Le ho osservate per mezz’ora in quell’andirivieni affrettato prima di notare il loro interesse verso una sorta di filamento annidato a spirale tra le foglie. Lungo circa quanto la mia mano, era dello stesso marrone fradicio d’acqua della foglia di noce americano su cui era posato. Sulle prime, l’avevo scambiato per un viticcio, o forse il peduncolo di una foglia. Ma proprio nel momento in cui stavo per spostare lo sguardo su qualcosa di piú stimolante, una delle formiche l’ha toccato con le antenne e il filamento si è disteso con un guizzo fulmineo. Parto in ricognizione: è un nematomorfo, o verme «crine di cavallo», una strana creatura che ama sfruttare il prossimo.
Si è fatto riconoscere con quel movimento improvviso. Il nematomorfo è pressurizzato dall’interno e le fasce muscolari che premono contro questo corpo gonfio lo fanno muovere ondeggiando come una frusta, cosa che non fa nessun altro animale. Il verme non ha bisogno di compiere movimenti complessi o aggraziati, perché in questo stadio della sua vita gli restano solo due cose da fare: accoppiarsi e deporre le uova. Del resto, non aveva necessità di movenze raffinate nemmeno nello stadio di vita precedente, quando stava appallottolato nel corpo del povero grillo che si nutriva e camminava al posto suo. Il nematomorfo ha vissuto cosí da bandito, fino all’estremo di nutrirsi dei tessuti del suo ospite e infine ucciderlo.
Il ciclo di vita del verme è cominciato con la schiusa di un uovo deposto in una pozza o in un corso d’acqua. La microscopica larva ha atteso sul fondo del ruscello fino a quando non è stata ingerita da una lumaca o da un altro piccolo insetto. Una volta insediata nel suo nuovo habitat, si è avvolta in un involucro protettivo, formando una cisti, e si è posta in attesa.
La vita di molte larve si ferma qui, allo stato di cisti, senza mai completare l’intero ciclo. Il verme del mandala è uno dei pochi che ce l’hanno fatta a passare allo stadio successivo. Il suo ospite ha strisciato sulla terra asciutta, è morto, ed è stato ingurgitato da un grillo onnivoro. È una sequenza di eventi talmente improbabile che il ciclo di vita di un nematomorfo richiede la deposizione, da parte dei genitori, di decine di milioni di uova; in media, solo uno o due di questa moltitudine di esemplari giovani sopravvive fino all’età adulta. Una volta entrato nell’organismo del grillo, il pirata dalla testa spinosa ne ha forato la parete intestinale per accoccolarsi nella stiva, trasformandosi da ciò che era, ossia una larva delle dimensioni di una virgola, in un verme lungo quanto la mia mano che si è progressivamente attorcigliato su se stesso per trovare posto all’interno del grillo. Arrivato a un punto in cui non aveva piú spazio per crescere, ha iniziato a rilasciare sostanze chimiche che hanno preso il sopravvento sul sistema nervoso del grillo trasformando un insetto timoroso dell’acqua in un tuffatore suicida alla disperata ricerca di una pozzanghera o di un ruscelletto. Non appena il grillo ha sfiorato l’acqua, il verme ha teso i suoi forti muscoli, lacerando il corpo del grillo, e si è liberato, lasciando affondare la nave ormai depredata.
Una volta libero, il nematomorfo è affamato di compagnia e si accoppia in matasse disordinate di decine o centinaia di vermi. Da questa abitudine nasce il suo secondo nome, verme gordiano, ispirato alla leggenda dell’VIII secolo avanti Cristo sull’intricatissimo nodo di re Gordio. Chiunque fosse riuscito a scioglierlo sarebbe succeduto al re, ma nessuno di coloro che ci provarono riuscí nell’impresa. Ci volle un altro pirata, Alessandro Magno, per allentare il nodo. Come i vermi, ingannò i suoi ospiti sciogliendo il nodo con un brutale taglio di spada e pretendendo la corona.
Quando il groviglio gordiano è sazio, i vermi allentano la presa e si allontanano strisciando. Depongono le uova sui bordi fradici delle pozze d’acqua e sul suolo bagnato della foresta. Alla schiusa, le larve dei vermi riveleranno lo spirito predatorio di Alessandro, prima infettando una lumaca e poi facendosi avanti per vivere a spese del grillo.
La relazione del verme gordiano con i propri ospiti è interamente basata sullo sfruttamento. Le sue vittime non ricevono alcun vantaggio occulto né ricompense per le loro sofferenze. Ma persino questo verme parassita è sostenuto al suo interno da una moltitudine di mitocondri. La pirateria è alimentata dalla collaborazione.
Unione taoista. Dipendenza dell’agricoltore. Saccheggio di Alessandro. Le relazioni nel mandala si declinano in molteplici forme e sfumature. La linea di demarcazione fra banditi e onesti cittadini non è cosí netta come può sembrare in un primo momento. Per meglio dire, l’evoluzione non ha tracciato nessuna linea. Tutte le forme di vita mescolano saccheggio e solidarietà. I parassiti che vivono a spese degli altri sono nutriti da cooperative di mitocondri al loro interno. Le alghe diffondono toni di smeraldo da antichi batteri e si consegnano all’interno di grigie pareti fungine. Persino il fondamento chimico della vita, il Dna, è un albero della cuccagna di colori, un nodo gordiano di relazioni.

17 gennaio

Il dono di Keplero

Il manto nevoso alto fino alle caviglie ha livellato la superficie fessurata e irregolare della foresta in una morbida alternanza di protuberanze e avvallamenti. Questa copertura nasconde le profonde spaccature fra le rocce e rende insidiosa la camminata. Mi muovo lentamente, reggendomi ai tronchi d’albero, per non scivolare mentre mi arrampico non senza difficoltà verso il mandala. Spazzo via la neve dal mio sasso e mi siedo stringendomi nel giaccone. Schiocchi fragorosi, come colpi di arma da fuoco, vibrano lungo la vallata piú o meno ogni dieci minuti. Il rumore proviene dalle fibre che si spezzano nei rami nudi e ingrigiti degli alberi ghiacciati. La temperatura è scesa a meno dieci; non una gelata eccezionale, ma il primo vero freddo dell’anno, sufficiente per mettere a dura prova il legno degli alberi.
Il sole fa capolino, e il soffice manto di neve bianca si trasforma in migliaia di punti di luce fulgida. Prelevo una ditata di questo miscuglio scintillante dalla superficie del mandala. Vista da vicino, la neve è un groviglio di stelle a specchio. La luce del sole mette in evidenza la fine trama di ogni fiocco, rivelando bracci, aghi ed esagoni perfettamente simmetrici. Centinaia di questi meravigliosi cristalli ammassati sul mio polpastrello.
Come nasce una simile bellezza?
Nel 1611, Giovanni Keplero mise da parte per un momento lo studio del moto dei pianeti per meditare sul cristallo di neve. Lo incuriosiva soprattutto la regolarità dei sei lati: «Deve esserci una causa precisa per cui, ogniqualvolta comincia a nevicare, si forma sempre una stellina con sei angoli». Keplero cercò una risposta nelle regole della matematica e negli schemi della storia naturale. Osservò che l’ape domestica organizza il favo e la melagrana dispone i semi in esagoni, forse per l’efficacia geometrica di questo poligono. Ma il vapore acqueo non è paragonabile ai semi di melagrana né la sua disposizione è frutto del lavoro degli insetti, pertanto Keplero non riteneva che questi esempi viventi potessero rivelare la causa alla base dell’architettura del fiocco di neve. I fiori e molti minerali non seguono la regola dell’esagono, e questo complicò la ricerca di Keplero. Anche triangoli, quadrati e pentagoni possono andare a formare schemi geometrici ordinati, e questo ci porta a escludere la geometria pura dall’elenco delle possibilità.
Keplero scrisse che i fiocchi di neve ci mostrano lo spirito della terra e di Dio, l’«anima formativa» che vive in ogni essere. Ma questa soluzione medievale non lo soddisfaceva. Cercava una spiegazione concreta, e non un dito puntato a indicare il mistero. Lo scienziato terminò il saggio frustrato, incapace di guardare oltre la porta del palazzo di ghiaccio della conoscenza.
La sua frustrazione si sarebbe alleviata se avesse preso sul serio il concetto di atomo, un’idea nata presso i filosofi greci dell’età classica, ma caduta in disgrazia con Keplero e la maggior parte degli scienziati del primo Seicento. Dopo quasi duemila anni di esilio, alla fine del XVII secolo l’atomo tornò di moda, con bastoncini e sfere intenti a danzare trionfalmente su manuali e lavagne. Al giorno d’oggi scopriamo gli atomi bombardando il ghiaccio con raggi X e utilizzando il pattern di diffrazione che emerge dal campione per scoprire un mondo un miliardo di volte piú piccolo rispetto alla scala normale della vita dell’uomo. Scopriamo i contorni frastagliati degli atomi di ossigeno, ognuno dei quali è legato a due atomi di idrogeno in continuo movimento, con gli elettroni che brillano. Facciamo fluttuare le molecole esaminandone la regolarità da tutte le angolazioni e, incredibilmente, vediamo gli atomi disposti come la melagrana di Keplero. È qui che comincia la simmetria dei fiocchi di neve. Anelli esagonali di molecole d’acqua si sovrappongono l’uno sull’altro, ripetendo all’infinito il ritmo dei sei lati, ingrandendo la disposizione degli atomi di ossigeno fino a una scala visibile all’occhio umano.
La forma esagonale di base del fiocco di neve presenta variazioni a mano a mano che il cristallo di ghiaccio cresce; sono la temperatura e l’umidità dell’aria a determinarne la forma definitiva. I prismi esagonali si formano nell’aria molto fredda e secca. Il Polo Sud è coperto di queste forme semplici. Quando aumentano le temperature, la crescita esagonale lineare dei cristalli di ghiaccio comincia a destabilizzarsi. La causa di questa instabilità non è stata ancora chiarita a fondo, ma sembra che il vapore acqueo geli sui bordi di determinati cristalli di ghiaccio piú velocemente rispetto ad altri e che la velocità di questo accrescimento sia fortemente influenzata da lievi variazioni delle condizioni atmosferiche. Nell’aria molto umida, dai sei angoli dei fiocchi di neve spuntano dei bracci che si trasformano poi in nuove piastre esagonali o, se l’aria è abbastanza calda, sviluppano altre appendici, moltiplicando i bracci della stella che si viene a formare. Altre combinazioni di temperatura e umidità portano alla crescita di prismi cavi, aghi o piastre scanalate. Durante una nevicata, il vento sospinge i fiocchi attraverso l’aria nelle sue innumerevoli variazioni di temperatura e umidità. Non esistono due fioc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La foresta nascosta
  3. Prefazione
  4. Ringraziamenti
  5. La foresta nascosta
  6. 1° gennaio. Associazioni
  7. 17 gennaio. Il dono di Keplero
  8. 21 gennaio. L’esperimento
  9. 30 gennaio. Piante invernali
  10. 2 febbraio. Impronte
  11. 16 febbraio. Muschio
  12. 28 febbraio. La salamandra
  13. 13 marzo. Hepatica
  14. 13 marzo. Chiocciole
  15. 25 marzo. Effimere di primavera
  16. 2 aprile. La motosega
  17. 2 aprile. Fiori
  18. 8 aprile. Lo xilema
  19. 14 aprile. La falena
  20. 16 aprile. Uccellini all’alba
  21. 22 aprile. Semi in movimento
  22. 29 aprile. Terremoto
  23. 7 maggio. Vento
  24. 18 maggio. Insetti erbivori
  25. 25 maggio. Increspature
  26. 2 giugno. Il Graal
  27. 10 giugno. Felci
  28. 20 giugno. Il groviglio
  29. 2 luglio. Funghi
  30. 13 luglio. Lucciole
  31. 27 luglio. Chiazze di sole
  32. 1° agosto. Il tritone e il coyote
  33. 8 agosto . Il geastro
  34. 26 agosto. La cavalletta verde
  35. 21 settembre. Medicinali
  36. 23 settembre. Il bruco
  37. 23 settembre. L’avvoltoio
  38. 26 settembre. Migrazioni
  39. 5 ottobre. Onde di allarme
  40. 14 ottobre. Samare
  41. 29 ottobre. Facce
  42. 5 novembre. Luce
  43. 15 novembre. Lo sparviero striato
  44. 21 novembre. Ramoscelli
  45. 3 dicembre. La lettiera
  46. 6 dicembre. Il bestiario sotterraneo
  47. 26 dicembre. Le cime degli alberi
  48. 31 dicembre. Osservazioni
  49. Epilogo
  50. Bibliografia
  51. Elenco delle cose notevoli
  52. Il libro
  53. L’autore
  54. Copyright