I Viceré (Einaudi)
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I Viceré (Einaudi)

Introduzione di Luigi Baldacci con uno scritto di Leonardo Sciascia

  1. 736 pagine
  2. Italian
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I Viceré (Einaudi)

Introduzione di Luigi Baldacci con uno scritto di Leonardo Sciascia

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Storia di tre generazioni della potente famiglia catanese degli Uzeda di Francalanza, di antica origine spagnola, pronta a tutto pur di conservare la supremazia anche nella nuova, contraddittoria Italia unita. Il formidabile esempio con cui si è misurato Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Un'implacabile lezione di opportunismo politico. Eppure, a parte Capuana e Verga, Federico De Roberto (Napoli 1861 - Catania 1927), ebbe pochi sostenitori e soprattutto un detrattore famoso, Benedetto Croce, che stroncò tutte le sue opere. La rivalutazione di De Roberto è cominciata solo dopo la Seconda guerra mondiale, con la pubblicazione di diversi saggi critici.
Proponiamo in questa edizione gli scritti di Luigi Baldacci e Leonardo Sciascia.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858418192

Parte prima

I
Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bambino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell’arco, la rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi, i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando s’udí e crebbe rapidamente il rumore d’una carrozza arrivante a tutta carriera; e prima ancora che egli avesse il tempo di voltarsi, un legnetto sul quale pareva fosse nevicato, dalla tanta polvere, e il cui cavallo era tutto spumante di sudore, entrò nella corte con assordante fracasso. Dall’arco del secondo cortile affacciaronsi servi e famigli: Baldassarre, il maestro di casa, schiuse la vetrata della loggia del secondo piano, intanto che Salvatore Cerra precipitavasi dalla carrozzella con una lettera in mano.
«Don Salvatore?… Che c’è?… Che novità?…»
Ma quegli fece col braccio un gesto disperato e salí le scale a quattro a quattro.
Giuseppe, col bambino ancora in collo, era rimasto intontito, non comprendendo; ma sua moglie, la moglie di Baldassarre, la lavandaia, una quantità d’altri servi già circondavano la carrozzella, si segnavano udendo il cocchiere narrare, ininterrottamente:
«La principessa… morta d’un colpo… Stamattina, mentre lavavo la carrozza…»
«Gesú!… Gesú!…»
«Ordine d’attaccare… il signor Marco che correva su e giú… il Vicario e i vicini… appena il tempo di far la via…»
«Gesú! Gesú!… Ma come?… Se stava meglio?… E il signor Marco?… Senza mandare avviso?»
«Che so io?… Io non ho visto niente; m’hanno chiamato… Iersera dice che stava bene…»
«E senza nessuno dei suoi figli!… In mano di estranei!… Malata, era malata; però, cosí a un tratto?…»
Ma una vociata, dall’alto dello scalone, interruppe subitamente il cicaleccio:
«Pasquale!… Pasquale!…»
«Ehi, Baldassarre?»
«Un cavallo fresco, in un salto!…»
«Subito, corro…»
Intanto che cocchieri e famigli lavoravano a staccare il cavallo sudato e ansimante e ad attaccarne un altro, tutta la servitú s’era raccolta nel cortile, commentava la notizia, la comunicava agli scritturali dell’amministrazione che s’affacciavano dalle finestrelle del primo piano, o scendevano anch’essi giú addirittura.
«Che disgrazia!… Par di sognare!… Chi se l’aspettava, cosí?»
E specialmente le donne lamentavano:
«Senza nessuno dei suoi figli!… Non aver tempo di chiamare i figli!…»
«Il portone?… Perché non chiudete il portone?» ingiunse Salemi, con la penna ancora all’orecchio.
Ma il portinaio che aveva finalmente affidato alla moglie il piccolino e cominciava a capire qualcosa, guardava in giro i compagni:
«Ho da chiudere?… E don Baldassarre?»
«Sst!… Sst!…»
«Che c’è?»
I discorsi morirono una seconda volta, e tutti s’impalarono cavandosi i berretti ed abbassando le pipe, perché il principe in persona, tra Baldassarre e Salvatore, scendeva le scale. Non aveva neppure mutato di abito! Partiva con gli stessi panni di casa per arrivar piú presto al capezzale della madre morta! Ed era bianco in viso come un foglio di carta, volgeva sguardi impazienti ai cocchieri non ancora pronti, intanto che dava sottovoce ordini a Baldassarre, il quale chinava il capo nudo e lucente ad ogni parola del padrone: «Eccellenza sí! Eccellenza sí!». E il cocchiere affibbiava ancora le cinghie che il padrone saltò nella carrozza, con Salvatore in serpe: Baldassarre, afferrato allo sportello, stava sempre ad udire gli ordini, seguiva correndo il legnetto fin oltre il portone per acchiappare le ultime raccomandazioni: «Eccellenza sí! Eccellenza sí!».
«Baldassarre!… Don Baldassarre!…» Tutti assediavano ora il maestro di casa poiché, lasciata la carrozza che scappava di corsa, egli rientrava nel cortile: «Baldassarre, che è stato?… E ora che si fa?… Don Baldassarre, chiudere?…»
Ma egli aveva l’aria grave delle circostanze solenni, s’affrettava verso le scale, liberandosi dagli importuni con un gesto del braccio e un «Vengo!…» spazientito.
Il portone restava spalancato; tuttavia alcuni passanti, scorto lo straordinario movimento nel cortile, s’informavano col portinaio dell’accaduto; l’ebanista, il fornaio, il bettoliere e l’orologiaio che tenevano in affitto le botteghe di levante, venivano anch’essi a dare una capatina, a sentir la notizia della gran disgrazia, a commentare la repentina partenza del principe:
«E poi dicevano che il padrone non voleva bene alla madre!… Pareva Cristo sceso dalla croce, povero figlio!…»
Le donne pensavano alla signorina Lucrezia, alla principessa nuora: sapevano nulla, o avevano loro nascosto la notizia?… E Baldassarre, Baldassarre dove diamine aveva il capo, se non ordinava di chiudere ogni cosa?… Don Gaspare, il cocchiere maggiore, verde in viso come un aglio, si stringeva nelle spalle:
«Tutto a rovescio, qui dentro.»
Ma Pasqualino Riso, il secondo cocchiere, gli spiattellò chiaro e tondo:
«Non avrete il disturbo di restarci un pezzo!»
E l’altro, di rimando:
«Tu no, che hai fatto il ruffiano al tuo padrone!»
E Pasqualino, botta e risposta:
«E voi che lo faceste al contino!…»
Tanto che Salemi, il quale risaliva all’amministrazione, ammoní:
«Che è questa vergogna?»
Ma don Gaspare a cui la certezza di perdere il posto toglieva il lume degli occhi, continuava:
«Quale vergogna?… Quella d’una casa dove madre e figli si soffrivano come il fumo negli occhi?…»
Molte voci finalmente ingiunsero:
«Silenzio, adesso!»
Però quelli che s’eran messi troppo apertamente con la principessa avevano il cuore piccino piccino, sicuri di ricevere il benservito dal figlio. Giuseppe, in quella confusione, non sapeva che fare: chiudere il portone per la morte della padrona era una cosa, in verità, che andava con i suoi piedi; ma perché mai don Baldassarre non dava l’ordine? Senza l’ordine di don Baldassarre non si poteva far nulla. Del resto, neppur gli scuri erano chiusi su al piano nobile; e poiché il tempo passava senza che l’ordine venisse, qualcuno cominciava ad accogliere un dubbio e una speranza, nella corte: se la padrona non fosse morta? “Chi ha detto che è morta?… Il cocchiere!… Ma non l’ha veduta!… Può aver capito male!…”. Altri argomenti convalidavano la supposizione: il principe non sarebbe partito cosí a rotta di collo, se fosse morta, perché non avrebbe avuto nulla da fare lassú… E il dubbio cominciava a divenire per alcuni certezza: doveva esserci un malinteso, la principessa era soltanto in agonia, quando finalmente Baldassarre affacciossi dall’alto della loggia gridando:
«Giuseppe, il portone! Non hai chiuso il portone? Chiudete le finestre della stalla e delle scuderie… Dite che chiudano le botteghe. Chiudete tutto!»
«Non c’era fretta!» mormorò don Gaspare.
E come, spinto da Giuseppe, il portone girò finalmente sui cardini, i passanti cominciarono ad accrocchiarsi: “Chi è morta?… La principessa?… Al Belvedere?…”. Giuseppe si stringeva nelle spalle, avendo perso del tutto la testa; ma domande e risposte s’incrociavano confusamente tra la folla: “Era in campagna?… Ammalata da quasi un anno… Sola?… Senza nessuno dei figli!…”. I meglio informati spiegavano: “Non voleva nessuno vicino, fuorché l’amministratore… Non li poteva soffrire…”. Un vecchio disse, scrollando il capo: “Razza di matti, questi Francalanza!”.
I famigli, frattanto, sbarravano le finestre delle scuderie e delle rimesse; il fornaio, il bettoliere, l’ebanista e l’orologiaio accostavano anch’essi i loro usci. Un altro crocchio di curiosi radunati dinanzi al portone di servizio, rimasto ancora aperto, guardavano dentro alla corte dove c’era un confuso andirivieni di domestici; mentre dall’alto della loggia, come un capitano di bastimento, Baldassarre impartiva ordini sopra ordini:
«Pasqualino, dalla signora marchesa e ai Benedettini… ma da’ la notizia al signor marchese e a Padre don Blasco, hai capito?… non al Priore!… A te, Filippo: passa da donna Ferdinanda… Donna Vincenza? Dov’è donna Vincenza?… Prendete lo scialle e andate alla badia… parlate alla Madre Badessa perché prepari la monaca alla notizia… Un momento! Salite prima dalla principessa che ha da parlarvi… Salemi?… Giuseppe, ordine di lasciar passare i soli stretti parenti… È venuto Salemi?… Lasciate ogni cosa; il principe e il signor Marco v’aspettano lassú, che c’è bisogno d’aiuto. Natale, tu anderai da donna Graziella e dalla duchessa. Agostino, questi dispacci al telegrafo… e passa dal sarto…»
A misura che ricevevano le commissioni, i servi uscivano, aprendosi la via in mezzo alla folla; passavano con l’aria affrettata di altrettanti aiutanti di campo tra i curiosi che annunziavano: “Vanno ad avvertire i parenti… i figli, i cognati, i nipoti, i cugini della morta…”. Tutta la nobiltà sarebbe stata in lutto, tutti i portoni dei palazzi signorili, a quell’ora, si chiudevano o si socchiudevano, secondo il grado della parentela. E l’ebanista la spiegava:
«Sette figliuoli, possiamo contarli: il principe Giacomo e la signorina Lucrezia che è in casa con lui: due; il Priore di San Nicola e la monaca di San Placido: quattro; donna Chiara, maritata col marchese di Villardita: e cinque; il cavaliere Ferdinando che sta alla Pietra dell’Ovo: sei; e finalmente il contino Raimondo che ha la figlia del barone Palmi… Poi vengono i cognati; i quattro cognati: il duca d’Oragua, fratello del principe morto; padre don Blasco, anch’egli monaco benedettino; il cavaliere don Eugenio e donna Ferdinanda la zitellona…»
Ogni volta che lo sportello si schiudeva per dar passaggio a qualche servo, i curiosi cercavano di guardare dentro il cortile; Giuseppe, spazientito, esclamava:
«Via di qua! Che diavolo volete? Aspettate i numeri del lotto?»
Ma la folla non si moveva, guardava per aria le finestre ora chiuse quasi aspettando l’apparizione della stampiglia coi numeri.
E la notizia correva di bocca in bocca come quella d’un pubblico avvenimento: “È morta donna Teresa Uzeda…” i popolani pronunziavano Auzeda “la principessa di Francalanza… È morta stamani all’alba… C’era il principe suo figlio… No, è partito da un’ora.” L’ebanista frattanto, in mezzo a un cerchio di gente attenta come alla storia dei Reali di Francia, continuava a enumerare il resto della parentela: il duca don Mario Radalí, il pazzo, che aveva due figli maschi, Michele e Giovanni, da donna Caterina Bonello, e apparteneva al ramo collaterale dei Radalí-Uzeda; la signora donna Graziella, figlia d’una defunta sorella della principessa e moglie del cavaliere Carvano; cugina carnale perciò di tutti i figliuoli della morta; il barone Grazzeri, zio della principessa nuora, con tutta la parentela; e poi i parenti piú lontani, gli affini, quasi tutta la nobiltà paesana: i Costante, i Raimonti, i Cúrcuma, i Cugnò… A un tratto s’interruppe per dire:
«Tò! Guardate i lavapiatti che arrivano prima di tutti!»
Don Mariano Grispo e don Giacomo Costantino arrivavano, come ogni giorno, all’ora della colazione, per far la corte al principe, e non sapevano niente: scorgendo la folla ed il portone chiuso, si fermarono di botto:
«Santa fede!… Buon Dio d’amore!…»
E a un tratto affrettarono il passo, entrarono interrogando costernati il portinaio che dava le prime notizie: «Non mi sembra vero!… Un fulmine a ciel sereno!…». Poi salirono per lo scalone con Baldassarre che risaliva anch’egli in quel punto dalla corte e faceva loro strada mormorando:
«Povera principessa!… Non poté superarla!… Il signor principe è subito partito.»
Traversando la fila delle anticamere dagli usci dorati ma quasi nude di mobili, don Giacomo esclamava a bassa voce, come in chiesa:
«È una gran disgrazia!… Per questa famiglia è una disgrazia piú grande che non sarebbe per ogni altra…»
E piano anch’egli, don Mariano confermava, scrollando il capo:
«La testa che guidava tutti, che aggiustò la pericolante baracca!…»
Introdotti nella Sala Gialla, si fermarono dopo qualche passo, non distinguendo nulla pel buio; ma la voce della principessa Margherita li guidò:
«Don Mariano!… Don Giacomo!…»
«Principessa!… Signora mia!… Com’è stato?… E Lucrezia?… Consalvo?… La bambina?»
Il principino, seduto sopra uno sgabello, con le gambe penzoloni, le dondolava ritmicamente, guardando per aria a bocca aperta; discosta, in un angolo di divano, Lucrezia stava ingrottata, con gli occhi asciutti.
«Ma com’è avvenuto, cosí a un tratto?» insisteva don Mariano.
E la principessa, aprendo le braccia:
«Non so… non capisco… È arrivato Salvatore dal Belvedere, con un biglietto del signor Marco… Lí, su quella tavola, guardate… Giacomo è partito subito.» A bassa voce, rivolta a don Mariano, intanto che l’altro leggeva il biglietto: «Lucrezia voleva andare anche lei» aggiunse; «suo fratello ha detto di no… Che ci avrebbe fatto?».
«Confusione di piú!… Il principe ha avuto ragione…»
«Niente!» annunziava frattanto don Giacomo, finito di leggere il biglietto. «Non spiega niente!… E hanno avvertito gli altri?… hanno dispacciato?…»
«Io non so… Baldassarre…»
«Morire cosí, sola sola, senza un figlio, un parente!» esclamava don Mariano, non potendo darsi pace; ma don Giacomo:
«La colpa non è di questi qui, poveretti!… Essi hanno la coscienza tranquilla.»
«Se ci avesse voluti…» cominciò la principessa, timidamente, piú piano di prima; ma poi, quasi impaurita, non finí la frase.
Don Mariano tirò un sospiro doloroso e andò a mettersi vicino alla signorina.
«Povera Lucrezia! Che disgrazia!… Avete ragione!… Ma fatevi animo!… Coraggio!»
Ella che se ne stava a guardare per terra, battendo un piede, levò la testa con aria di stupore, quasi non comprendendo. Ma, come udivasi un frastuono di carrozze che entravano nel cortile, don Mariano e don Giacomo tornarono ad esclamare, a due:
«Che sciagura irreparabile!»
Arrivarono la marchesa Chiara col marito e la cugina Graziella:
«Lucrezia, la mamma!… Sorella!… Cugina!…»
Subito dopo entrò la zia Ferdinanda, a cui le donne baciarono le mani, mormorando:
«Eccellenza!… Ha sentito?…»
La zitellona, asciutta asciutta, scrollava il capo; Chiara abbracciava Lucrezia piangendo; il marchese salutava mestamente i lavapiatti; ma la piú commossa era donna Graziella:
«Non mi par vero!… Non volevo crederci!… Che si muore cosí?… E il povero Giacomo? Dice che è corso subito lassú?… Povero cugino!… Se almeno avesse potuto arrivare a chiuderle gli occhi!… Che dolore, non aver tempo di rivederla!…» Udendo Chiara singhiozzare, in seno alla sorella Lucrezia, esclamò: «Hai ragione, sfògati, poveretta! Mamma ce n’è una sola!…».
Ella pareva tanto addolorata della disgrazia dei cugini da dimenticare perfino che la morta era sorella della sua propria madre. Si profferiva alla principessa; le diceva, traendola in disparte:
«Hai bisogno di nulla?… Vuoi che ti dia una mano?… Come sta la mia figlioccia?… Che ha lasciato detto il cugino?…»
«Non so… Ha ordinato a Baldassarre il da fare…»
Baldassarre, infatti, andava su e giú, mandando ancora messi, ricevendo quelli che tornavano dall’aver eseguito le ambasciate. Tutti i parenti, oramai, erano avvertiti: soltanto il famiglio mandato ai Benedettini veniva a dire che Padre don Lodovico stava per arrivare, ma che Padre don Blasco non era nel convento.
«Va’ dalla Sigaraia… a quest’ora sarà da lei… Corri, digli che è morta sua cognata…»
Don Lodovico arrivò con la carrozza di San Nicola; e nella Sala Gialla tutti s’alzarono all’apparire del Priore. Chiara e Lucrezia gli andarono incontro, gli presero ciascuna una mano, e la marchesa, cadendo in ginocchio, proruppe:
«Lodovico!… Lodovico!… La nostra povera mamma!»
Tacevano tutti, guardando quel gruppo: la cugina, con gli occhi rossi, mormorava:
«È una cosa che strazia l’anima!»
Il Priore, chinatosi sulla sorella, la rialzò senza guardarla in viso, e nel silenzio generale, rotto da brevi singhiozzi repressi, disse, alzando gli occhi asciutti al cielo:
«Il Signore l’ha chiamata a sé… Chiniamo la fronte ai decreti della Provvidenza divina…» e poiché Chiara voleva baciargli la mano, egli si schermí: «No, no, sorella mia…» e la strinse al petto, baciandola in fronte.
«Perché si nasce!…» esclamò dolorosamente don Giacomo all’orecchio di don Mariano; ma questi, scrollando il capo, si fece innanzi con piglio risoluto:
«Basta adesso, signori miei!… I morti son morti, e il pianto non li risuscita… Pensate alla vostra salute, adesso, che è l’importante…»
«Coraggio, poveretti!…» confermò la cugina Graziella, prendendo per mano le cugine, costringendole amorosamente a sedere; mentre il marchese baciava sua moglie in fronte, le asciugava gli occhi, le parlava all’orecchio, e donna Ferdinanda, poco portata alle scene patetiche, si metteva il principino sulle ginocchia.
Il biglietto del signor Marco passava di mano in mano; il Priore manifestava anch’egli l’intenzione di partire per il Belvedere, ma i lavapiatti protestarono:
«Per far che cosa?… Angustiarsi per niente?… Se si potesse dar aiuto…»
«Partirei io» soggiunse la cugina.
«Aspettiamo, piuttosto» propose il marchese. «Giacomo manderà certo a dire qualcosa…»
L’arrivo di un’altra carrozza fece infatti supporre che venisse qualcuno dal Belvedere. Era invece la duchessa Radalí. Poiché ella aveva il marito impazzato e non faceva visite a nessuno, il suo pronto accorrere intenerí piú che mai la cugina, che la chiamava zia, quantunque non ci fosse parentela tra loro; ma il ritorno di donna Vincenza da S. Placido segnò il colmo della commozione. La cameriera non trovava parole per esprimere il dolore della monaca, giungeva le mani dalla pietà:
«Figlia mia! povera figlia!… Come una pazza, fa come una pazza!… E chiama: “Sorelle mie! Sorelle mie!…”.»
Lucrezia piangeva anch’ella, adesso; Chiara disse tra i singhiozzi:
«Io vado alla badia…»
«Vostra Eccellenza farà un’opera santa… Anche la Madre Badessa piangeva: “Povera principessa!… Degna serva di Dio!”.»
La cugina s’offerse d’accompagnarla; ma poi, visto che la principessa non sapeva dove dar del capo:
«Resto piuttosto ad aiutar Margherita» disse a C...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. I Viceré
  3. Il «mondo» in Federico De Roberto di Luigi Baldacci
  4. Perché Croce aveva torto di Leonardo Sciascia
  5. I Viceré
  6. Parte prima
  7. Parte seconda
  8. Parte terza
  9. Assonanze
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Copyright