Hanne Wilhelmsen era l’unica persona al mondo in grado di ottenere l’autorizzazione a condurre un interrogatorio del genere. Billy T. cercò di nascondere un sorriso mentre venivano introdotti nella camera d’ospedale. Mezz’ora prima la loro iniziativa sembrava destinata a fallire: il primario si era comportato in modo cosí sprezzante che Hanne era andata su tutte le furie. L’uomo in camice bianco aveva dato il suo assenso soltanto dopo essere stato sottoposto a un insieme di pressioni e di arroganza poliziesca, condito da velate minacce sulle possibili e spiacevoli conseguenze che sarebbero emerse «sotto il profilo giuridico». L’anziano medico si era messo a giocherellare con lo stetoscopio che gli pendeva dal collo. Un gioiello, aveva pensato Billy T.: lo stemma della sua corporazione, allo scopo di rimarcare il distacco e l’appartenenza a un rango superiore.
Hermine era sveglia.
Furono accolti con assoluta indifferenza. Hanne presentò sé stessa e il collega. La paziente batté a malapena le palpebre e Billy T. si chiese se fosse in grado di capire chi erano.
– Polizia, – ripeté sorridendo a mo’ d’incoraggiamento. – Siamo della polizia.
Hermine era in un letto meccanico, non sdraiata ma quasi seduta. Aveva i capelli sporchi e arruffati, la pelle pallida sulle lenzuola d’ospedale. Un’eruzione cutanea le circondava la bocca, piccole pustole che ricordavano la forma di una farfalla. Billy T. pensò alla figlia, allergica al ciuccio. Hermine le somigliava: era come se avesse ricevuto una sorta di conforto infantile che non era in grado di sopportare.
Eppure era bella, nel suo apparente candore. I capelli erano aggrovigliati, ma le cadevano biondi e morbidi intorno al volto esile. Gli occhi inespressivi erano grandi e azzurri. Anche due giorni dopo una potente overdose Hermine Stahlberg sapeva come giocare le sue carte e in quel momento sorrise, con fare vezzoso e civettuolo, a Billy T.
– Ho sentito, – disse. – Immagino che si tratti di mamma e papà. E Preben. Vi stavo aspettando. Come vedete, non me la passo molto bene…
Un’occhiata di autocommiserazione corse lungo l’asta da cui pendeva una flebo.
– … ma mi rendo conto che dovete parlare con me.
Billy T. si sentiva a disagio. Simile a un filo appiccicoso, lo sguardo di Hermine gli si attaccò addosso e lo seguí anche mentre lui si spostava dal capezzale alla finestra. La sua reazione fu quella di rimanere in silenzio e di distogliere gli occhi. Hanne era impegnata a sbrigare le insulse formalità di rito. Prima le generalità, seguite dalle condoglianze e da domande innocue che suscitavano risposte insignificanti. Durante tutta quella procedura Hermine fissò lui e soltanto lui. Il pittogramma sulla porta che si apriva in uno dei lati corti della stanza indicava che la camera era dotata di bagno privato. Billy T. si scusò. Pisciò. Si lavò le mani, con cura. Si spruzzò dell’acqua sulla faccia. Rientrò soltanto quando sentí che il tono delle voci si era fatto piú acceso.
– Nient’altro che questo, – disse Hanne. – Voglio soltanto sapere cos’hai fatto il 10 novembre. Domenica 10 novembre.
Adesso aveva catturato l’attenzione di Hermine.
– Non lo so!
Non sembrava essersi accorta della presenza di Billy T. A poco a poco, si raddrizzava sempre di piú e, mezza girata verso Hanne, gesticolava con veemenza.
– Potrò non ricordarmi cosa ho fatto un giorno specifico piú di un mese fa!
– Che ne dici del 16? – incalzò Hanne. – Cos’hai fatto la sera del 16 novembre?
– Non capisco a che ti serve saperlo!
– Non è necessario. Voglio solo avere delle risposte alle mie domande. Comunque… possiamo sempre trascinarti al palazzo di giustizia per sottoporti a un interrogatorio formale. Se è questo che vuoi. Noi stiamo semplicemente cercando di essere gentili. Di semplificarti la vita.
– Gentili… Ah!
Dopo essersi lasciata ricadere sul letto, Hermine si coprí il viso. Da dietro le mani giunse il suono di un paio di singhiozzi soffocati. Con un sospiro Hanne si chinò in avanti.
– Ascoltami, Hermine Stahlberg. Prima rispondi alle nostre domande e prima ce ne andiamo. Okay? Te lo richiedo: possiamo recuperare qualcosa che ti permetta di ricordare cosa hai fatto il 10 e il 16 novembre? Un calendario? Un diario, forse?
Hermine picchiò i palmi delle mani sul piumone.
– Voglio un avvocato, – sentenziò.
La sua voce era cambiata. Pareva piú acuta, piú presente, come se l’overdose e la degenza a letto fossero soltanto una recita, una messa in scena studiata per proteggersi da domande indesiderate e indagini spiacevoli.
– Un avvocato…
Hanne strascicò le parole come per sentirne il sapore, poi, dopo essersi stretta nelle spalle, sorrise appena.
– Quindi secondo te hai bisogno di un avvocato.
Hermine giaceva sul letto a occhi chiusi, e Billy T. provò suo malgrado una certa ammirazione per la capacità che aveva quella ragazza di mantenere immobili le palpebre. Solo un leggero tremito alla mano destra rivelava che in realtà era tesa.
– Interessante, – intervenne. – Fra me e Hanne Wilhelmsen abbiamo piú di quarant’anni sulle spalle. Nella polizia. In tutto. E sappiamo molto bene che se qualcuno chiede la presenza di un avvocato, significa che abbiamo pestato qualche callo. E questo ci piace immensamente.
Hermine rimase impassibile.
– Devi sapere che siamo al corrente di ciò che hai fatto il…
– Non credo sia il caso di raccontare alla signorina quello che sappiamo, – lo interruppe Hanne lanciandogli una smorfia d’ammonimento. – Hermine non vuole parlare. E Hermine ha tutto il diritto di farlo. Se Hermine preferisce essere portata via di peso per essere interrogata, faremo come preferisce. Le potremo perfino procurare un avvocato. Non è vero, Billy T.? Uno bravo.
Hermine afferrò di colpo il pulsante d’emergenza che pendeva all’estremità di un filo sopra la testiera del letto. Dopo pochi secondi sopraggiunse un’infermiera.
– Non ce la faccio, – borbottò Hermine parlando di colpo in falsetto. – Non sopporto piú questi due! Fateli uscire! Fateli uscire di qui!
L’attacco isterico sembrava quasi vero. L’ultima cosa che Billy T. riuscí a intravedere, mentre venivano spinti fuori dalla stanza da un brusco portantino, fu l’infermiera che preparava un’iniezione.
– Accidenti, – commentò quando si trovarono in strada. – Potrebbe fare l’attrice, la signorina. Impressionante.
– Non sono cosí sicura che stesse recitando, – replicò Hanne. – Secondo me è terrorizzata. E a ragione.
– Ma guarda, – le disse Billy T. affibbiandole una pacca sulla schiena. Si incamminarono verso un’auto civetta parcheggiata male, con il muso che occupava parte delle strisce pedonali. – Adesso sarai d’accordo che la tua teoria fa acqua.
– Quale teoria?
– La teoria secondo cui… secondo cui forse non è la famiglia la responsabile degli omicidi.
– Io non ho mai detto questo, – precisò Hanne. – Al contrario, ho affermato che quella soluzione sembra piú attendibile rispetto alle mie. Ma non è certa. Non ancora.
Billy T. sghignazzò.
– Non ancora! Cazzo, Hanne! Hermine ha comprato l’arma. Ha ordinato, ispezionato e pagato una pistola dopo aver sparato un colpo di prova, oltretutto ricorrendo a un mercato a cui pochissime persone avrebbero il coraggio di avvicinarsi. Cosa diavolo doveva farsene di quell’arma, se non c’entrava niente con gli omicidi?
– Tu dimentichi un mucchio di cose, – replicò Hanne che stava per scivolare su una lastra di ghiaccio.
Afferratala al volo per un braccio, Billy T. non mollò la presa. Hanne si girò verso di lui.
– Ti dimentichi per esempio che non abbiamo uno straccio di movente riconducibile a Hermine, – gli spiegò. – Lei è l’amatissima figlia, la cocca di famiglia. Amica di tutti. L’unica capace di creare dei ponti fra loro, non ricordi? È ovvio che non va esclusa. Anzi, io…
Inclinò la testa di lato e inumidí con la lingua le labbra inaridite dal freddo.
– Ho la netta sensazione che ci sia in lei qualcosa di molto piú recondito che nel fratello o nella cognata. Tutti e due sappiamo in che stato riduce le persone la droga. Sotto questo punto di vista il suo profilo collima piú che altro con quello di un assassino che ha commesso un omicidio brutale, spinto da un impulso irrefrenabile. Sono molto curiosa di conoscere il motivo per cui Hermine ha ricevuto tutto quel denaro quando ha compiuto vent’anni. Ma proprio per questo, Billy T., proprio perché Hermine è l’indefinibile, la misteriosa, quella tra i nostri sospettati di cui sappiamo meno, dovremmo scoprire piú cose su di lei prima di trarre delle conclusioni. Molte di piú. E poi…
Strizzò gli occhi per scrutare il cielo in tempesta.
– Noi non sappiamo se sia stata Hermine a comprare l’arma. Al riguardo abbiamo soltanto quello che ha raccontato il tuo amico Straccio. Abbiamo un mucchio di fili sciolti. Ammettilo: chi ti ha fornito le informazioni non rappresenta la fonte piú attendibile del mondo. Forse si è inventato tutto, dall’inizio alla fine. Da quanto mi hai detto tu stesso, Straccio era fuori di sé al pensiero di finire dentro. Anche le persone come lui leggono il giornale. Straccio sapeva bene cosa volevi sentirti dire.
Billy T. non le aveva ancora lasciato il braccio. Rimasero immobili in quella posizione, lui con il vento che gli soffiava sulla schiena, lei protetta dal suo corpo gigantesco.
– Ha detto la verità, Hanne. Conoscevo Straccio. O perlomeno c’è qualcosa di vero in quello che mi ha raccontato.
Con il dorso della mano Billy T. si asciugò gli occhi che gli lacrimavano dal freddo. Il vento stava aumentando.
– Le sue parole magari sono state sincere, ma questo non significa che siano esatte, – rispose Hanne, adesso con tono piú conciliante. – Lui per primo ha ammesso che si trattava soltanto di voci che aveva sentito in giro.
– Aveva delle date, Hanne. Straccio aveva due date e il posto in cui è avvenuta la consegna.
– Ma nessun nome. Né chi avesse procurato la pistola.
– No, nessun nome. Però…
Si diresse lentamente verso la macchina.
– Stamattina ho controllato con gli agenti che lavorano sotto copertura. In quell’ambiente si mormora a tutto spiano. Tutti i tossici che sono stati arrestati nel fine settimana se ne escono con allusioni piú o meno marcate agli omicidi di Eckersbergs gate.
Si fermò di nuovo, con il viso rivolto verso il vento che soffiava pungente sulle guance.
– Straccio era convinto di quello che diceva, Hanne. Avrei dovuto spremerlo di piú, insistere, farmi dire dove aveva preso quelle informazioni. Ogni volta che tornavo su quel punto, evitava di rispondere e alla fine era cosí stremato che mi è sembrato giusto lasciarlo stare.
– E adesso è troppo tardi, – commentò Hanne mentre apriva la portiera.
– Si tratta comunque di una pista, – disse Billy T. sconsolato.
– Pista, – ripeté lei con una risatina. – Lo puoi ben dire. È la pista piú succulenta e scivolosa che ci potessimo sognare. Oltretutto è l’unica che abbiamo. Guido io.
– Dove andiamo? – le chiese Billy T.
– Alla casa editrice.
– Alla casa editrice? A fare che?
– A scoprire qualche dettaglio utile su Sidensvans.
– Sidensvans?
Billy T., seduto stretto e scomodo nella piccola auto di servizio, picchiò il braccio destro sul cruscotto.
– Non ti dài mai per vinta, – borbottò, cercando d...