L'ultimo fronte
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L'ultimo fronte

Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale

  1. 424 pagine
  2. Italian
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L'ultimo fronte

Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale

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Attraverso la paziente e sempre dolorosa raccolta di interi epistolari e di un gran numero di "ultime lettere" dei caduti sul fronte russo (di qui il titolo del libro), Nuto Revelli ridà voce a quei «sommersi» della storia che il silenzio delle fonti ufficiali si ostina, ovunque e da sempre, a soffocare. E che invece riemergono a dire, vivi e presenti nella loro quotidianità, i problemi e gli interrogativi di una condizione umana. Diecimila lettere, migliaia di uomini che parlano, che raccontano. Alcuni che dicono quasi tutto, disegnano l'arco completo della loro vita militare; altri, con testimonianze frammentarie, restituiscono poche pagine della loro esperienza. Pagine tutte ancora attuali, a settant'anni da quel conflitto epocale, per testimoniare insieme, l'orrore, lo squallore della guerra e la cultura materiale di quei soldati contadini.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858419670

Epistolari

OTTAVIO MORINO

Nato a Savigliano, classe 1914, dottore in legge.
Caduto alla Ridotta Capuzzo il 3 gennaio 1941.
Reparto: divisione Ariete, 3° battaglione carri 13/40.
Grado: sottotenente di complemento.
Campagne di guerra: Africa settentrionale.
Nucleo familiare: padre, impresario edile (1876-1940); madre (1884-1966); Rosa (1906); Giocondo (1908); Felice (1910); Bianca (1912); Ottavio; Lea (1916); Decimo (1921); Mariuccia (1923); Beppe (1926); Nanni (1928).
Epistolario completo: 75 lettere (Gianfranco Badino, Angelo Ronchetto Salvana).
Testimonianza delle sorelle Bianca e Mariuccia:
Ottavio era cresciuto nel fascismo. Amava lo sport, il calcio; sognava la professione del giocatore professionista. Altro suo sogno, diventare ufficiale effettivo dell’aeronautica.
La campagna di guerra contro la Francia – con i magazzini pieni di vestiario, con i soldati mal vestiti, scalzi – l’aveva sconcertato. Forse quando partí per il fronte africano era già un deluso.
Cadde il 3 gennaio 1941. Scomparsi tutti gli ufficiali, tutti i soldati del battaglione, tutti annientati, non riuscimmo mai a sapere nulla della sua morte.
Nostra madre continuò a pensarlo vivo, prigioniero, mutilato, sbandato, ma vivo.
Bologna, 21 novembre 1936.
Cari Genitori, ieri sera ho fatto il mio ingresso alla scuola, con un po’ di tristezza, solo. […]. Qui siamo nelle macchine fino al collo. Presto cominceremo l’istruzione: guida di camion, auto, moto e poi finalmente carri armati pesanti e veloci. La mensa è molto scarsa, ma sempre migliore del rancio comune. […].
8 dicembre 1936.
[…]. Ieri finalmente ho inaugurato il carro armato d’assalto, ed è andata benissimo. Sembra un giocattolo per bambini. Un cambio ottimo, un motore equilibratissimo, due leve di comando di direzione di manovra semplicissima. E per la strada si fanno tutti gli scherzi che si vuole. E tutto questo risolleva il mio morale molto abbassato e ridesta il mio entusiasmo in modo da poter continuare con tranquillità questa vita pesantissima. […].
Bologna, 10 gennaio 1937.
[…]. L’altro ieri abbiamo giurato fedeltà alla patria ed al re ed ora siamo soldati sul serio. Però la nostra vita prosegue come prima e gli unici mutamenti notevoli susseguenti al rito sono stati il condono delle punizioni ed un pranzo un po’ migliore: due fettine trasparenti di prosciutto ed una pasta da noi molto festeggiata se non per la qualità e quantità almeno per l’illusione che ci davano di un pranzo succulento. […].
Vergato, 10 aprile 1937.
[…]. Stamani, essendo in visita presso di noi il generale Quarra, ispettore dei carri armati presso il ministero della guerra, cioè la nostra massima autorità, sono stato chiamato a dare un saggio di pilotaggio di fronte a lui. Ed è andato bene, benché nelle mani avessi soltanto un vecchione di carro di rottura mezzo scassato. Mi ha ubbidito lo stesso, forse perché lui vecchio tornava a vibrare sotto l’impulso della volontà del mio cuore giovane. Ed impennato sull’ostacolo, mentre io non vedevo altro che cielo, l’ha superato una volta ancora. E poi ci è ritornato sopra quasi con voluttà dei suoi tempi migliori, vi si è seduto naso al vento ed è ricaduto con tutta la dolcezza possibile alla sua massa di ferro. L’ho poi ancora fatto sculettare un po’ in piano e infine sono sceso: rosso in viso, sudato, ma contento. Peccato non avessi nelle mie mani un carro d’assalto. […].
Vercelli, 7 luglio 1937.
[…]. Siamo in piena attività. Dalle 5 del mattino, il che vuol dire sveglia alle 4, alle 7 di sera siamo in servizio. Vorrei che tutti coloro i quali giudicano comoda la vita da ufficiali venissero a provare la nostra. E fa un caldo terribile… […].
Frassinetto, 26 luglio 1937.
[…]. Qui l’unica cosa che vi è di bello è la montagna che mi sta di fronte. Assomiglia stranamente al Rocciareto. Vi sono pernici rosse e gaie: cosí almeno dicono i paesani. All’alba tendo le orecchie per sentirle cantare. Non l’ho ancora sentite. E mi assale la nostalgia, anche della nostra campagna calda e assolata, delle nostre stoppie, di «Ladj» in ferma, e delle quaglie frullanti. […]. Grazie per l’assegno. […].
Vercelli, 5 ottobre 1937.
[…]. Da oggi sono sottotenente. Vi sarà un aumento di stipendio. Ne ho proprio bisogno. Questo mese è un disastro. Se non mi aiutate non so come fare. Avrei bisogno quindi di 350 lire e credo che saranno le ultime che vi chiederò. In quanto allo studio ho intenzione di dare tre esami. […].
Vercelli, 6 settembre 1938.
[…]. Le mie finanze sono per esaurirsi completamente e non vorrei fare debiti. La nostra mobilitazione si è trasformata in un richiamo per istruzione e quindi non so quando avrà termine. […].
Vicenza, 5 febbraio 1940.
[…]. Lavoro dal mattino alla sera, senza soste. Ogni giorno arriva uno scaglione di reclute. Bisogna inquadrarli, vestirli, dar loro un indirizzo militare. E per ora il mio lavoro consiste esclusivamente in questo. Ma non è poco. Arrivano certe sagome che talvolta tenere il muso serio è uno sforzo quasi impossibile. Ma in fondo son tutti bravi ragazzi, pieni di buona volontà. Non sembrano certo ai premilitari di buona memoria che ho lasciato da poco. In quanto alle speranze di un prossimo ritorno a casa, queste sono molto vaghe e lontane. Davanti a noi abbiamo già fissato un programma di due mesi di lavoro. Al 31 Marzo reclute ed anziani devono essere pronti per qualsiasi destinazione. Non dico di piú, perché uno solo in Italia può decidere del nostro domani. E adesso vengo alle dolenti note. Mi trovo già a corto di quattrini. […].
Verona, 27 agosto 1940.
Cara mamma, […]. Sono stato assegnato ad una compagnia carri M.13, il nuovo tipo, che attende di partire da un momento all’altro, forse per Napoli… Per ora non si sa nulla di preciso, ma se l’ora verrà anche per me io l’accoglierò, credimi, con entusiasmo ardente. Spero che tu sarai una mamma italiana, quale il duce vuole, forte, ed orgogliosa di offrire, se fosse necessario, il figlio alla patria (con i debiti scongiuri). […]. Abbiate fiducia in Colui che nelle sue segrete vie cerca il nostro bene, anche se tali vie talvolta sono molto dolorose. [...].
Bengasi, 8 settembre 1940.
[…]. Siamo arrivati costí stamane alle ore 8 dopo una traversata cosí tranquilla che quasi ci pareva di essere in crociera. Mare sempre calmo, cielo sereno, panorami sempre nuovi come in uno scenario di fiaba. La nostra rotta è stata molto varia. Napoli, isole Egadi, capo Bon in Tunisia, Tripoli, tutta la costa Africana del golfo della Sirte, Bengasi. La nave che ci ha portati è il Marco Polo, cabina di prima classe, mensa ottima, bagno affiancato alla cabina, piscina in coperta. Quattro giorni di vita da milionari. Sigarette finissime a poco prezzo. Chissà come nella brulla marmarica rimpiangeremo tutte queste comodità. Ma sapremo adattarci… […].
Bengasi, 19 settembre 1940.
[…]. Sembrava dovessimo lasciare Bengasi da un’ora all’altra per il fronte Egiziano. Invece attendiamo ancora l’ordine. Formiamo un battaglione di riserva a disposizione del comando supremo. Se la resistenza sarà dura saremo noi che daremo il colpo decisivo. Frattanto ci prepariamo. Siamo accampati a dieci Km. da Bengasi, ai limiti quasi del deserto. Terra rossa senza confini, arroventata dal sole. […]. Per ora non ho neppure l’impressione, come clima, di aver lasciato l’Italia. Però purtroppo le privazioni cui siamo sottoposti mi ricordano ogni giorno che siamo in Africa, e nella parte piú squallida e piú brulla. Se si lascia Bengasi, bellissima città, pochi Km. e si è in pieno deserto. Qualche oasi qua e là e sabbia, sabbia… Mancano, oltre l’acqua, anche i viveri, e ufficiali e soldati facciamo tutti… cinghia. Ho comprato per caso le ultime scatole di marmellata e le ho pagate lire 7,50, scatole di due etti di contenuto. Questi fogli di carta da lettera, gli unici che ho trovato, li ho pagati 1,30. Ogni genere è requisito per essere inviato al fronte che, per rassicurarvi, dista da noi ancora 700 Km. In quanto ai bombardamenti questi tendono al porto, e noi non ne siamo che spettatori lontano, e caso strano, gli inglesi qui colpiscono giusto. […].
Bengasi, 24 settembre 1940.
[…]. Attendiamo di partire per il fronte egiziano. E quando sarò lassú tu mamma non devi temere, poiché la nostra guerra qui è una guerra speciale di agguato e di caccia alle autoblinde ed ai carri armati inglesi. Questi ultimi poi sono nettamente inferiori al tipo di carro M. precedente quello che abbiamo noi ora, e se ogni volta che incontrano quello fuggono da veri inglesi, arrivederci quando incontreranno noi… Da quando gli M. 11 (noi abbiamo gli M. 13) si trovano qui, cioè dai primi di luglio, un solo nostro carro è stato colpito (e vi era un mio collega ed amico) perché nella foga di inseguire delle autoblinde è andato ad incappare in una batteria antiaerea. Il cannone gli si è inceppato, non ha piú potuto reagire, ed è morto sul campo dell’onore. I bombardieri inglesi di tanto in tanto ci visitano di notte, ma bombardano sempre molti Km. lontano da noi. […].
21 ottobre 1940.
[…]. Mi trovo non piú a Bengasi, ma a 700 Km. da esso, in terra egiziana. Vi sto piú in tranquillità che non a Bengasi: sono alla seconda sera che mi ci trovo e nessun aereo si è fatto finora vivo. Accampato fra i sassi, […], vivo a scatolette di carne ed acqua salmastra. Ma non importa: il mio corpo si sta temprando ad ogni privazione e si irrobustisce. Il mio spirito si carica ogni giorno di nuovi rancori da far scontare e spero che presto venga il giorno della resa dei conti. Ho pensato finora alla guerra con umanità, come ad una cosa terribile ma necessaria. Ora invece, dopo la lunga inazione, comincio a desiderare che questa venga presto, non soltanto per l’amore di patria ma anche per scaricare l’odio che ogni giorno mi penetra nel cuore. Non spaventarti mamma di queste mie parole, saprò essere prudente, se non per me, almeno per gli uomini che nel carro con me e nei carri vicino a me affronteranno la morte per la nostra vita di domani. Scusa se ti scrivo a matita e se spedisco senza francobollo, ma sono nella Marmarica nuda e desertica. Anche di qui il mio pensiero, in ogni ora di sosta dal lavoro, vola a voi, al verde delle vostre campagne, alle foglie dorate che forse cominciano a cadere… […]. Nel giorno dei Santi, quando voi porterete i crisantemi sulla tomba del nostro caro, mettetene un mazzetto per parte mia. Mi sembrerà di essere con voi a pregare, so che la nostra preghiera sarà esaudita. Perdonami se in questa mia lettera mi sono staccato un po’ dalla normalità ed ho lasciato traboccare i miei sentimenti. Credo sia uno sfogo di cui avevo bisogno. [...].
4 novembre 1940.
[…]. Continua la mia vita di eremita. Si attende sempre. Io intanto faccio il cacciatore. Ho già ucciso qualche lepre, una pernice (qui le pernici sono tutte «gaie») e mi sto impratichendo dei luoghi che pur essendo quasi desertici, pietre e sabbia, qualche ciuffo di erba spinosa qua e là, offrono in talune valli privilegiate discrete possibilità di caccia. Sto aspirando alla cattura di qualche gazzella, già le ho inseguite varie volte, ma a piedi corrono piú di me. Bisogna prenderle di astuzia. Già ne ho avute quattro ad un tiro un po’ lungo, e la cartuccia che aveva preso umidità mi ha tradito. Forse sarà per domani mattina… Questa la mia guerra, finora. Mi sono, come sai, avvicinato di molto all’inglese, ma sto piú tranquillo che a Bengasi. Di tanto in tanto passa qualche apparecchio inglese, ma o non ci vede o ci trascura. Il suo rombo è l’unica voce di guerr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L'ultimo fronte
  3. Introduzione
  4. Nota tecnica
  5. L’ultimo fronte
  6. Epistolari
  7. Ultime lettere
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright