Il testamento e altre poesie
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Il testamento e altre poesie

  1. 320 pagine
  2. Italian
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Universalmente considerato come uno dei piú grandi poeti di tutti i tempi, Villon è stato spesso interpretato dai critici e dai traduttori come un poeta maledetto, antesignano degli eroi romantici. Oggi sappiamo che Villon non era affatto un poeta ingenuo e istintivo, che padroneggiava straordinariamente gli strumenti tecnici e retorici della poesia del suo tempo. Però è pur vero che la sua opera contiene in sé un germe di deviazione e di provocazione che va al di là dei generi letterari codificati a cui appartiene. E questo germe ha continuato a svilupparsi nei secoli, fino ai rapper di oggi, come azzarda suggestivamente Aurelio Principato nella sua introduzione, facendo di Villon l'archetipo di una «funzione» poetica che ha attraversato e segnato la storia della cultura occidentale.
In questa nuova edizione delle sue poesie piú importanti la traduzione è condotta in versi, recuperando il piú possibile anche le rime e il tessuto sonoro dei testi. La scommessa è reinterpretare fedelmente Villon restituendone anche la forza ritmica che permette alle sue parole di risuonare fino a noi, e oltre. «In questa celebrazione della vita e di piaceri poco spirituali c'è una malinconia vera, un senso di precarietà e di decadenza. Un'allegria sfrenata gremisce quadri pittoreschi sul cui sfondo traspare una danza macabra, o pendono gli impiccati in mezzo al paesaggio, come in certe tavole di Bruegel. Sulla caricatura e la parodia, è la melanconia che si impone». Cesare Segre

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858418093
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia

Il testamento

I

En l’an de mon trentiesme aage1,
Que toutes mes hontes j’euz beues,
Ne du tout fol ne du tout saige
Non obstant maintes peines eues,
Lesquelles j’ay toutes receues
Soubz la main Thibault d’Aucigny2
S’esvesque il est, signant les rues,
Qu’il soit le mien, je le regny.
1 Questa indicazione, combinata con quella dell’ottava XI, porrebbe la nascita di Villon nel 1431. È tuttavia legittimo pensare a un’età simbolica, che richiama da una parte l’età di Cristo e, dall’altra, il ciclo di Saturno.
2 Vescovo di Orléans, responsabile della prigionia di Villon nella città sulla Loira.

II

Mon seigneur n’est ne mon evesque,
Soubz luy ne tiens s’il n’est en friche;
Foy ne luy doy n’ommaige avecque,
Je ne suis son serf ne sa biche1.
Peu m’a d’une petite miche
Et de froide eaue tout ung esté;
Large ou estroit, moult me fut chiche:
Tel luy soit Dieu qu’il m’a esté!
1 Nell’originale l’omonimia fra serf e cerf fa da ponte al bisenso del femminile biche («cerbiatta» ma anche «efebo») permettendo al poeta di passare dal rigetto della devozione personale all’insinuazione di natura sodomitica.

III

Et s’aucun me vouloit reprendre
Et dire que je le maudiz,
Non faiz, se bien me scet comprendre;
En riens de luy je ne mesdiz.
Vecy tout le mal que j’en dis:
S’il m’a esté misericors,
Jhesus, le roy de paradis,
Tel luy soit a l’ame et au corps!

IV

Et s’esté m’a dur ne cruel,
Trop plus que cy je ne raconte,
Je veul que le Dieu eternel
Luy soit dont semblable a ce compte.
Et l’Eglise nous dit et compte
Que prions pour noz annemys;
Je vous diray j’ay tort et honte,
Quoy qu’il m’aist fait, a Dieu remys.

V

Sy prieray pour luy de bon cueur,
Pour l’ame du bon feu Cotart1;
Mais quoy! ce sera donc par cueur,
Car de lire je suis fetart.
Priere en feray de picart:
S’il ne le scet, voise l’apprendre,
S’il m’en croit, ains qu’il soit plus tart,
A Douay ou a L’Ysle en Flandre!
1 È l’ubriacone di cui alla ballata introdotta dall’ottava cxxv. La rima in -art apre qui la via a una complessa allusione agli eretici contemporanei, sia tramite il gioco di parole («arde», cioè il rogo), sia attraverso la preghiera nulla perché silenziosa («a mente», v. 3), con conseguente riferimento alla condanna di valdesi ad Arras ovvero ai cosiddetti piccardi di Boemia.

VI

Combien, s’oÿr veult que l’on prie
Pour luy, foy que doy mon baptesme,
Obstant qu’a chacun ne le crye,
Il ne fauldra pas a son esme:
Ou psaultier prens, quant suis a mesme,
Qui n’est de beuf ne cordouen,
Le verselet escript septiesme
Du psëaulme Deus laudem1.
1 Il salmo è il n. 108, e contiene un augurio che siano abbreviati i giorni dell’episcopato.

VII

Si prie au benoist filz de Dieu,
Qu’a tous mes besoings je reclame,
Que ma povre priere ait lieu
Vers luy, de qui tiens corps et ame,
Qui m’a preservé de maint blasme
Et franchy de ville puissance;
Loué soit il, et Nostre Dame,
Et Loÿs, le bon roy de France,

VIII

Auquel doint Dieu l’eur de Jacob
Et de Salmon l’onneur et gloire
– Quant de prouesse, il en a trop,
De force aussi, par m’ame, voire –,
En ce monde cy transsitoire
Tant qu’il a de long ne de lé,
Afin que de lui soit memoire,
Vivre autant que Mathussalé,

IX

Et douze beaux enffans, tous masles,
Veoir de son cher sang royal,
Aussi preux que fut le grant Charles,
Conceuz en ventre nuptïal,
Bons comme fut saint Marcïal.
Ainsi en preigne au feu daulphin!
Je ne lui soubzhaicte autre mal,
Et puis paradis en la fin.

X

Pour ce que foible je me sens,
Trop plus de biens que de sancté,
Tant que je suis en mon plain sens,
Sy peu que Dieu m’en a presté,
Car d’autre ne l’ay emprunté,
J’ay ce testament tres estable
Fait, de derreniere voulenté,
Seul pour tout et inrevocable.

XI

Escript l’ay l’an soixante et ung,
Lors que le roy me delivra
De la dure prison de Mehun
Et que vie me recouvra,
Dont suis, tant que mon cueur vivra,
Tenu vers luy m’usmilier,
Ce que feray jusqu’il moura:
Bienfait ne se doit oublier.

XII

Or est vray qu’aprés plains et pleurs
Et angoisseux gemissemens,
Aprés tritresses et douleurs,
Labeurs et griefz cheminemens,
Travail mes lubres sentemens,
Esguisez comme une pelocte,
M’ouvrist plus que tous les commens
D’Averroÿs sur Arristote.

XIII

Combien, au plus fort de mes maulx,
En cheminant sans croix ne pille,
Dieu, qui les pelerins d’Esmaulx
Conforta, ce dit l’Euvangille,
Me monstra une bonne ville
Et pourveut du don d’esperance:
Combien que pechiez si soit ville,
Riens ne het que perseverance.

XIV

Je suis pecheur, je le sçay bien,
Pourtant ne veult pas Dieu ma mort,
Mais convertisse et vive en bien,
Et tout autre que pechié mort.
Combien qu’en peché soye mort,
Dieu vit, et sa misericorde,
Se conscïence me remort,
Par sa grace pardon m’acorde.

XV

Et comme le noble Roumant
De la Rose 1 dit et confesse
En son premier commancement
C’on doit jeune cueur en jeunesse,
Quant on le voit viel en viellesse,
Excuser, helas! il dit voir;
Ceulx donc qui me font telle presse
En meureté ne me vouldroient voir.
1 Piuttosto che al Roman de la Rose, che Jean de Meung continuò dopo Guillaume de Lorris, si pensa che il riferimento sia all’inizio del Testament composto dallo stesso autore.

XVI

Se pour ma mort le bien publicque
D’aucune chose vaulsist mieulx,
A mourir comme ung homme inique
Je me jugasse, ainsi m’est Dieux!
Griefz ne faiz a jeunes ne vieux,
Soie sur piez ou soye en bierre:
Les mons ne bougent de ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il testamento e altre poesie
  3. Introduzione di Aurelio Principato
  4. Nota su questa edizione
  5. Nota bibliografica
  6. Il testamento e altre poesie
  7. I lasciti
  8. Il testamento
  9. Poesie diverse
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Copyright