La vocazione della psiche
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La vocazione della psiche

  1. 224 pagine
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La vocazione della psiche

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Informazioni sul libro

Undici analisti e psicoterapeuti ripercorrono la propria esperienza professionale e di vita intorno alla domanda posta da Nicole Janigro: «Terapeuti perché?» L'intento è di risalire alle motivazioni profonde di una scelta, interrogandosi anche su quanto il terapeuta metta in gioco "parti di sé" nel lavoro col paziente. E ancora: nell'esistenza di ognuno c'è un momento preciso oppure è solo un lungo processo che conduce a una mutazione di se stessi, il poter immaginare che la psicoterapia possa diventare una vocazione, un mestiere, il "nostro"? Per tutti un passaggio di ruoli: pazienti divenuti analisti, figli trasformati in genitori, allievi che devono iniziare a sentirsi maestri.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858418987

Vittorio Lingiardi

La verità, vi prego, sulla psicoanalisi

Ogni psicologia, la mia inclusa, ha il carattere di una confessione soggettiva.
CARL GUSTAV JUNG, Il problema dell’inconscio
nella psicologia moderna
(1929)1.
I.
Fin da ragazzo mi chiedevo come funziona la psiche, come si formano i gusti, come nascono, durano e muoiono le relazioni2. La mia stanza d’analisi erano i romanzi: lí studiavo i miei tipi psicologici. E nella mia famiglia. Ma osservare e leggere non mi bastava. Mi sentivo attratto – oserei dire inclinato – dalla cura. Malinconico e volonteroso, leggevo le Lettere a un giovane poeta e annotavo: «Sono forse tutti i draghi della nostra vita principesse, che attendono solo di vederci un giorno belli e coraggiosi. Forse ogni terrore è nel fondo ultimo l’inermità che vuole aiuto da noi»3. Tuttora la frase mi accompagna mentre svolgo i miei tanti mestieri.
Dopo la maturità ho fatto un lungo viaggio in Grecia con pensieri incerti sul futuro. Al ritorno mi sono fermato una settimana a Trieste: da poco era stata approvata la legge 180 di riforma della psichiatria e io volevo conoscere gli psichiatri che applicavano le idee di Franco Basaglia. Tornato a Milano, mi sono iscritto a Medicina. Per diventare psichiatra e psicoanalista, e cosí è andata. Nei beati anni della lettura la psicoanalisi non è stata però predominante. «Se avessi letto solo psicoanalisi non sarei mai riuscito a raggiungere quel livello di sensibilità che mi permette di fiutare quando l’ideologia si prolunga in ciò che in ambito psicoanalitico circola invece come un fatto assodato»4.
Ci sono alcuni autori psicoanalitici che ammiro per la loro intelligenza, ma che non riesco ad amare perché sento le loro teorie, e il linguaggio con cui provano a esporle, troppo lontane dal campo analitico. Mi piace usare la parola «campo» perché ricorda sia la fatica sia la bellezza del lavoro clinico e dell’azione terapeutica, la figura dell’analista come «giardiniere» o «contadino». Nel mio lavoro di ricerca e di insegnamento, ma anche nelle mie scelte editoriali, ho sempre cercato di colmare lo scarto tra teoria e pratica clinica. Almeno di facilitare la connessione tra elaborazioni teoriche e pratiche cliniche. Il puro esercizio del pensiero, in psicoanalisi, non mi ha sedotto – forse perché, per formazione medica, la psicoanalisi è per me prima di tutto un metodo di cura.
Tuttavia, dopo una buona, ma non certosina, frequentazione di Freud e Jung, i miei autori sono stati Donald Winnicott, Harry Stack Sullivan, Merton Gill, il primo Thomas Ogden, Christopher Bollas, Stephen Mitchell, Jessica Benjamin. Con il concetto di holding environment e l’insistenza sulla necessità di creare un ambiente analitico capace di favorire l’emersione degli aspetti autentici del Sé, Winnicott è stato uno degli autori che piú mi ha spinto a sperimentare una dimensione clinica organizzata attorno ai temi del contenimento, del riconoscimento reciproco e della scoperta di sé. Le autrici e gli autori della svolta relazionale sono senz’altro quelli che piú hanno contribuito a formare il mio stile analitico, quella che oggi viene chiamata «sensibilità relazionale». Due libri che spesso raccomando sono Il mondo interpersonale del bambino di Donald Stern5 e Infant research e trattamento degli adulti di Beatrice Beebe e Frank Lachman6, che comunque non bastano a saldare il mio debito verso l’infant research.
Sto cedendo alla tentazione di ricostruire la mia biblioteca ideale. Resisto ricordando Wilfred Bion: «Leggete senz’altro tutti questi libri e tutto ciò che volete, ma non permettete poi che vi stiano tra i piedi mentre vi state formando una vostra personale opinione della persona con cui avete a che fare»7.
II.
Il ricordo bioniano mi riporta agli incontri significativi per la mia formazione. Il mio analista silenzioso e barbuto, Augusto Vitale, mi ha accompagnato, proteggendomi da sofferenze inutili, all’incontro con le malinconie e le durezze del Senex – certo a discapito di gioie e prodezze di un Puer che, all’epoca, si faceva sentire con vivacità. Uso un linguaggio junghiano perché quella è stata la mia prima casa, a cui devo tanto, ma che oggi penso come un affascinante liceo propedeutico ad altri necessari percorsi teorici e clinici.
Per troppi anni analisi. Ora non piú.
Stanotte è apparso il celestino in sogno,
l’alfiere serafino,
che al filo d’aquilone regge il cielo.
«Prendi la vita», ha detto, «è tua»8.
Il collegamento tra realtà dell’intervento clinico e modello teorico di riferimento non è unico e lineare, ma ramificato. Uno dei compiti dell’analista consiste nel sapersi muovere tra le diverse scuole di pensiero, imparando a considerarle funzioni o metafore che aiutano a comprendere il campo relazionale.
Mi piace occuparmi contemporaneamente di molte cose. La mia cattedra è un laboratorio aperto, una sala parto in continua attività. La stanza è veramente piccola, con una densità di popolazione per metro quadrato (studenti, tirocinanti, dottorandi, specializzandi) da città indiana. I nostri campi di ricerca sono: la valutazione e la diagnosi della personalità e dei suoi disturbi; i generi e gli orientamenti sessuali; lo studio dell’efficacia della psicoterapie; i meccanismi di difesa, l’alleanza terapeutica e le risposte emotive del clinico nella relazione con il paziente.
I primi passi di ricercatore clinico li ho fatti con Cesare Maffei, con cui mi sono laureato, che mi ha fatto leggere Otto Kernberg, aprendomi la strada alla conoscenza clinica dei disturbi di personalità e al valore della ricerca empirica. A Milano ho lavorato come psichiatra d’ospedale per molti anni, prima al Policlinico e poi al Servizio di diagnosi e psicoterapia del San Raffaele, da cui mi sono licenziato nel 1998 per iniziare l’avventura alla Sapienza di Roma. Ricordo quando ho preso la decisione:
Io penso solo quando nuoto
o quando vado in moto.
Braccia distese, corpo in movimento.
Devo licenziarmi: in questo momento.
Altri incontri della vita professionale che hanno lasciato un segno in me e nel mio lavoro: Salomon Resnik, per il lungo ciclo di supervisioni veneziane; Luciana Nissim Momigliano, per il piacevole transfert extra-analitico e perché una sera di tanti anni fa, prima della psicoanalisi gay-friendly, pronunciò la frase «dell’omosessualità la psicoanalisi non ha capito niente e ha scritto una delle sue pagine piú vergognose»; Jack Drescher, che mi ha offerto molti strumenti per leggere queste pagine vergognose; Adam Horvath, Jeremy Safran, Jonathan Shedler e Drew Westen, colleghi e amici ai quali la mia identità di ricercatore in psicoterapia deve molto. Nino Dazzi, che fin dal mio arrivo alla Sapienza è stato punto di riferimento per la mia vita istituzionale e lo sviluppo dei miei progetti di ricerca. Due colleghe: Anna Maria Speranza per il dialogo etico e Nicla Vassallo per il ragionamento filosofico. I miei primi allievi, con le loro domande, le loro idee, le loro letture: Antonello Colli e Francesco Gazzillo, oggi entrambi ricercatori e psicoanalisti, e Annalisa Tanzilli, dottore di ricerca, che ha diviso con me onori e oneri della Scuola di specializzazione in Psicologia clinica della facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza, che ho diretto dal 2006 al 2013. E chi è arrivato da poco, chi arriverà.
Parte della mia vita accademica si è sposata con quella editoriale. Con Franco Del Corno condivido un costante impegno sui libri a fianco di Raffaello Cortina. Difficile dire di cosa sia fatta una collana scientifica. Tante letture e suggerimenti. Folgorazioni, ma non troppe. Le proprie convinzioni e l’apertura a quelle degli altri. La passione per i cataloghi delle altre case editrici, i siti internet e le librerie, italiane e straniere. Attenzione per il lavoro dei colleghi. Cura artigiana per la costruzione dei libri. Contrastare le mode, ma sentire lo spirito del tempo9.
III.
Mi sono associato al Centro italiano di Psicologia analitica (CIPA) con un lavoro teorico su archetipi e modelli clinici dell’omosessualità maschile nelle psicologie junghiana e freudiana10. Fino a quel momento disertato o maltrattato dalla letteratura psicoanalitica italiana, il tema «omosessualità» iniziava a trovare una voce. Una voce che metteva in discussione il modo in cui la psicoanalisi aveva affrontato, con teorie false e spesso crudeli, il nodo delle sessualità e dei generi. Basterebbe ricordare cosa scriveva Franco Fornari nel 1975:
Prescindendo dai rapporti anali che possono intervenire negli omosessuali, l’inversione appare soprattutto prodotta, oltre che dalla confusione corporea, dalla confusione di persone, sia in riferimento al self che al non-self. Nell’esperienza clinica l’omosessualità appare fondamentalmente sostenuta da un processo di identificazione introiettiva, in cui il soggetto è identificato confusivamente con la madre, e da un processo di identificazione proiettiva, in cui l’oggetto è identificato confusivamente con se stesso. L’omosessuale costruisce un fondamentale rapporto narcisistico negando la propria distinzione dalla madre e la propria distinzione dal proprio partner […]. Si tratta di una cultura pregenitale fondata sull’equazione simbolica confusiva, anziché sul simbolo vero e proprio, espresso nella sua forma piena dal segno linguistico11.
Per quasi un secolo la patologizzazione dell’omosessualità ha agito in modo implicito e indisturbato nelle società psicoanalitiche freudiane. Molto meno, o per niente, in quelle junghiane (salvo forse qualche lettura eccessivamente reificata dei concetti di animus e anima). Mi sono adoperato per cambiare questo stato di cose. Fino alla fine degli anni Ottanta «non si poteva essere gay e diventare psicoanalista. Era possibile essere uno psicoanalista omosessuale in segreto – se si aveva un po’ di fortuna, molta discrezione e un analista didatta che non lo raccontava al...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La vocazione della psiche
  3. Introduzione di Nicole Janigro
  4. La vocazione della psiche
  5. Per salvare l’oggetto d’amore di Lella Bellocchio Ravasi
  6. Una vocazione psicoanalitica: ricordi, sogni, riflessioni di Franco Borgogno
  7. Psicoterapia e «mondo aperto». Allargare l’orizzonte di Fabio Giommi
  8. La verità, vi prego, sulla psicoanalisi di Vittorio Lingiardi
  9. Le vocazioni tradite di Fabio Madeddu
  10. Per toccare lo spirito nel quotidiano di Romano Màdera
  11. Incontrando Jung a Vienna di Eva Pattis
  12. Psicoanalisi: incontrata, dimenticata, ritrovata di Andreina Robutti
  13. Analista per caso di Marina Valcarenghi
  14. Terapeuta per passione di Giulia Valerio
  15. Insider living di Luigi Zoja
  16. Il libro
  17. L’autore
  18. Copyright