Germinale (Einaudi)
eBook - ePub

Germinale (Einaudi)

Traduzione di Camillo Sbarbaro. Con un saggio di Francesco De Sanctis

  1. 536 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Germinale (Einaudi)

Traduzione di Camillo Sbarbaro. Con un saggio di Francesco De Sanctis

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Il giovane Stefano Lantier va a cercare lavoro in una miniera e trova un mondo di sofferenza e di miseria, in cui tutti i valori della dignità umana sono calpestati: l'onesto Maheu, il volgare Chaval, il macchinista russo Suvarin, cupo e sognatore, la giovane e contesa Caterina e molti altri personaggi, buoni e malvagi, assurgono a simbolo di una società e di una condizione in cui il male sembra prevalere su tutto, anche sull'amore. Il soffio epico che accompagna le fosche vicende di questa folla di «miserabili» travolge ogni pretesa oggettiva per trasformarsi in visione, incubo, allegoria: la rivolta è possibile, ma la corruzione dell'animo umano sembra compromettere il sogno di una definitiva redenzione.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Germinale (Einaudi) di Émile Zola, Camillo Sbarbaro in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Literature e Classics. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858418697
Argomento
Literature
Categoria
Classics

Parte quarta

Capitolo primo

Per quel lunedí, gli Hennebeau avevano invitato a colazione i Grégoire con la figliola. Nel pomeriggio, Paolo Négrel avrebbe condotto la signorina a visitare gli importanti lavori con cui si stava rimodernando il pozzo di Saint-Thomas; pretesti, sí la colazione che la gita, escogitati dalla Hennebeau per affrettare le nozze tra il nipote e Cecilia. Ed ecco che proprio quel lunedí, scoppiava lo sciopero: come un fulmine a ciel sereno.
Il primo dicembre, allorché la Compagnia aveva annunciato la prossima entrata in vigore del nuovo salario, i minatori erano rimasti calmi; e cosí, il giorno in cui s’era fatta la paga della prima quindicina, nessuno di loro aveva sollevato la minima obiezione. Per cui tutti, dal direttore all’ultimo sorvegliante, credevano la nuova tariffa accettata; tanto maggiore perciò la sorpresa per l’improvvisa levata di scudi. Lo sciopero era stato preparato con tanta segretezza e riusciva cosí unanime da far sospettare in chi l’aveva diretto un’energia non comune.
Il direttore n’ebbe la prima notizia da Danseart, venuto a svegliarlo alle cinque per avvertirlo che, al Voreux, non un uomo era sceso; e che la borgata dormiva profondamente, a porte e finestre chiuse. Ma peggiori notizie lo aspettavano. Balzato da letto e messosi al lavoro ancora pieno di sonno, Hennebeau vedeva abbattersi sullo scrittoio, come una gragnuola, dispacci su dispacci; mentre ogni quarto d’ora un nuovo latore di cattive notizie chiedeva di essere ricevuto. In principio egli sperò che la rivolta si limitasse al Voreux; ma dovette presto disilludersi. A Mirou, a Crèvecœur, alla Madeleine non s’erano presentati che gli addetti ai cavalli; alla Victoire e a Feutry-Cantel, i due pozzi piú disciplinati, solo due terzi delle maestranze avevano preso servizio; unico, Saint-Thomas si teneva sinora fuori del movimento.
Sino alle nove, il direttore non fece che battere telegrammi: al prefetto di Lilla, alle autorità civili e militari, agli amministratori della Compagnia, per avvertire e chiedere istruzioni. Infine, per avere precisi ragguagli, mandò Négrel a fare un giro di ispezione nelle miniere vicine.
Solo a questo punto, si sovvenne dell’invito a colazione; e già stava per mandare il cocchiere dai Grégoire per disdirlo, quando un’esitazione lo arrestò. L’uomo che con tanta risolutezza aveva nel giro di poche ore predisposto ogni cosa per affrontare la situazione, adesso mancava d’iniziativa davanti a una decisione di niun conto.
Salí dalla moglie e la trovò in accappatoio. Senza scomporsi: – Ah, si son messi in sciopero, – fece la donna, quando lui l’ebbe richiesta del suo avviso. – Ebbene, che ci fa? Non lasceremo mica di far colazione per questo, è vero? – Lui ebbe bel dire che la giornata non si annunziava adatta per un invito a pranzo, e che la visita a Saint-Thomas non si sarebbe potuta fare; lei trovava risposta a tutto: perché mandare a monte un desinare già avviato? Quanto alla gita, si vedrebbe al momento: se davvero presentava qualche rischio, ci si rinunzierebbe.
– Del resto, – aggiunse quando la cameriera che la pettinava se ne fu andata, – sai perché mi sta a cuore aver qui quella brava gente… Questo matrimonio dovrebbe importarti di piú che non le bizze dei tuoi operai… Insomma, mi piace cosí: non mi contrariare.
Lui la guardò e un leggero tremito tradí, su quel viso duro e chiuso di uomo d’ordine, il morso d’un segreto dolore. L’accappatoio lasciava scoperte le spalle e il seno della donna: delle spalle e un seno di Pomona indorata dall’autunno; d’una bellezza sontuosa e, per quanto matura, desiderabile ancora. Un attimo lui dovette provare prepotente il desiderio di prenderla, di morderla come un frutto, nel tepore e nell’irritante profumo di muschio di quella stanza dove tutto respirava lusso e sensualità. Ma si contenne: da dieci anni dormivano separati.
– Sta bene, – disse andandosene. – Lasciamo tutto com’è.
Hennebeau era nato nelle Ardenne. I suoi inizi erano stati difficili. Trovatosi, ragazzo ancora, orfano e senza mezzi, aveva seguíto con ogni sorta di sacrifizi il corso di ingegnere minerario a Parigi. Laureatosi a ventiquattr’anni e partito per la Grand’Combe, aveva fatto la prima pratica nella miniera di Santa Barbara. Tre anni dopo, i pozzi di Marles, nel Pas-de-Calais, lo avevano visto ingegnere divisionale; ed era stato qui ch’egli s’era ammogliato, sposando – colpo di fortuna di regola nella sua carriera – la figlia d’un ricco filandiere di Arras. Quindici anni la coppia aveva abitato la piccola città di provincia. La monotonia di quella vita, non allietata neppure dalla nascita d’un figlio, congiurò a distaccare sempre piú i due coniugi. La donna, allevata nell’adorazione del danaro, cominciò a disdegnare quel marito che guadagnava con tanto stento cosí poco da non consentire alla sua vanità alcuna di quelle soddisfazioni che da educanda aveva vagheggiato.
Lui, d’un’onestà intransigente, non speculava, rigido come un soldato nell’adempimento del suo dovere. Ad aggravare il disaccordo tra i due s’era aggiunto sin dal principio uno di quei curiosi malintesi della carne che gelano i temperamenti piú ardenti; lui adorava la moglie; lei era d’una sensualità ingorda di bionda; e già dormivano divisi, a disagio ambedue, irrimediabilmente urtati sin dal primo approccio. E, all’insaputa di lui, già la moglie aveva un amante, quando, nel desiderio di venire incontro alle aspirazioni di lei, Hennebeau lasciò i pozzi di Marles per accettare a Parigi un posto negli uffici. Ed era invece Parigi che doveva rendere definitiva la loro disunione; quella Parigi dove lei, sin dal tempo della prima bambola, aveva sognato di vivere; e dove, diventata di colpo elegante, spogliatasi nel giro d’una settimana d’ogni provincialismo, la donna si lanciò nel vortice di tutte le dispendiose follie del tempo. I suoi dieci anni di soggiorno parigino furono riempiti da una grande passione: scandaloso legame con un uomo; il cui abbandono poco mancò la uccidesse. Questa volta lui non poté ignorare; avvennero fra i due coniugi scenate tremende; ma, disarmato davanti alla placida incoscienza con cui quella donna prendeva il suo bene dove lo trovava, egli si rassegnò. Fu dopo la rottura tra i due, allorché la vide ammalarsi di dolore, che Hennebeau aveva accettato il posto di direttore nelle miniere di Montsou, nella estrema speranza che, portata a vivere in quel deserto, la donna finisse per correggersi.
Il trasferimento a Montsou significò per la coppia un ritorno alla noia e all’irritazione dei primi tempi del matrimonio. Lei, sulle prime, parve trar sollievo da quella grande pace, attingere calma dalla monotonia di quella piatta pianura sconfinata. Prese anzi le arie della donna finita il cui cuore è morto per sempre e che ormai si sente cosí distaccata dal mondo che non si cruccia neanche piú di ingrassare. Ma sotto quella cenere covava un’ultima fiamma che non tardò a manifestarsi: un bisogno di vivere ancora che la donna ingannò dandosi durante sei mesi febbrilmente da fare per sistemare e arredare a suo modo la casa. Dichiarando che, nello stato in cui si trovava, era impossibile viverci, la riempí di tappezzerie, di ninnoli, di oggetti d’arte, con un gusto ed un lusso che della casa degli Hennebeau si parlò anche a Lilla. Ma appena quell’occupazione cessò di assorbirla, tutto a Montsou le divenne odioso, il paese intorno la esasperò: quelle mortificanti distese di campi, quelle strade nere che non finivano mai, quella terra senz’alberi, brulicante d’una popolazione che la schifava e spaventava al tempo stesso. I lamenti dell’esiliata cominciarono. Accusò il marito di averla sacrificata a uno stipendio di quarantamila franchi, una miseria che bastava appena a mandare avanti la casa. Non avrebbe potuto anche lui come i suoi colleghi, darsi dattorno? esigere una cointeressenza, ottenere delle azioni, arrotondare insomma in qualche modo i suoi proventi? E su questo tasto insisteva con la crudeltà della moglie che ha portato in dote un patrimonio. Lui intanto, senza mai darlo a divedere, nascondendolo anzi dietro l’impassibilità dell’uomo d’affari, si torturava nel desiderio di quella creatura: passione tardiva d’una violenza che s’acuiva con l’aggravarsi dell’età. Quella donna, lui non l’aveva mai goduta da amante; e la smania di averla anche lui una volta nel modo che l’avevano avuta gli altri, lo ossessionava. Ogni mattino si proponeva di conquistarla; ma davanti alla scostante freddezza con cui quella lo guardava, alla precisa sensazione che tutto in lei si rifiutava, finiva per evitare di sfiorarle sia pure una mano. Era, la sua, una sofferenza senza possibilità di guarigione ch’egli gelosamente celava sotto un contegno gelido; lo strazio d’un cuore bisognoso di affetto che si struggeva in segreto di non aver trovato, nella compagna che s’era scelto, la felicità che si era ripromesso.
Quando piú nulla la distrasse, la Hennebeau cadde in una crisi di tedio; s’atteggiò a vittima d’un esilio che ormai si augurava apertamente la conducesse alla tomba. Fu allora che arrivò a Montsou Paolo Négrel. Sua madre che, rimasta vedova d’un militare di carriera, viveva ad Avignone d’una piccola rendita, s’era costretta alla piú rigida economia per mettere il figlio in grado di concorrere ad una cattedra nel Politecnico. Ma la riuscita del giovane agli esami era stata cosí modesta, che lo zio lo aveva persuaso a rinunziare al posto, offrendosi di assumerlo come ingegnere al Voreux. Accolto e ospitato in casa di Hennebeau come un figlio, Paolo si trovò sin dal primo momento nella possibilità di mandare alla madre millecinquecento franchi, la metà dello stipendio. Per indurlo ad accettare un cosí generoso trattamento, lo zio gli aveva fatto presente l’imbarazzo in cui alla sua età chiunque si sarebbe trovato, se avesse dovuto metter su casa per suo conto, in una delle villette che la Compagnia riservava agli ingegneri dei pozzi. Dal canto suo, la Hennebeau aveva dal primo giorno trattato il giovane con l’amorevolezza della buona zia che dà del tu al nipote e che veglia a che in tutto e per tutto si trovi bene. Nei primi mesi specialmente, gli aveva testimoniato un interessamento materno, sino a soccorrerlo di consigli pur nelle minime cose. Ma anche in questo compito, non cessava di essere donna; e facilmente si lasciava andare con lui a confidenze di carattere intimo. Quel giovinotto cosí pratico, d’una intelligenza spregiudicata, che manifestava sull’amore tanto pessimismo, la interessava; mentre la attirava l’arguzia del suo viso mefistofelico. Manco dirlo, finí che una sera Paolo si trovò fra le braccia della zia; lei ebbe l’aria di darsi per buoncuore: amare non poteva piú; per lui intendeva unicamente essere un’amica. Infatti, non fu gelosia; si burlava di lui che trovava le operaie del pozzo al riparo di ogni tentazione e quasi gli teneva il broncio pel fatto che non avesse mai qualche avventura piccante da raccontarle. Poi, l’idea di dargli moglie la appassionò; le sembrava bello sacrificarsi, metterlo lei stessa nelle braccia di una ragazza ricca. Nonostante questo progetto, i loro rapporti seguitarono; Paolo era il suo passatempo, il suo balocco; su lui riversava le sue ultime tenerezze di donna annoiata e prossima al tramonto. Il sospetto della tresca non sfiorò Hennebeau che due anni dopo: una notte che avvertí presso l’uscio un fruscio di piedi scalzi. Ma l’idea che tra quel ragazzo e quella donna che poteva essergli madre ci fosse qualcosa, che i due ardissero consumare l’adulterio proprio in casa sua sotto i suoi occhi, gli apparí cosí enorme che la scacciò senz’altro. Il fatto poi che l’indomani la moglie gli confidava esultante la sua scelta d’una sposa per il nipote, del mostruoso sospetto lo fece addirittura arrossire; e per Paolo non nutrí piú che riconoscenza, se grazie a lui la casa era diventata meno tetra.
Scendendo dalla camera della moglie, trovò giusto il giovinotto che rientrava dal suo giro di ispezione.
– Ebbene? Niente di grave, a giudicare dal tuo viso!
– Ho fatto il giro dei borghi. Gli operai si mantengono tutti calmi. Credo solo che ti invieranno una loro rappresentanza.
Hennebeau avrebbe voluto chiedere maggiori ragguagli; ma dall’alto giunse la voce della moglie:
– Sei tu, Paolo? Vieni dunque a darmi notizie. Buffi, questi vostri operai che vorrebbero anche fare i cattivi, mentre stanno meglio di noi!
Privato cosí del suo informatore, Hennebeau tornò al suo tavolo di lavoro, dove nel frattempo s’erano accumulati altri telegrammi.
Alle undici arrivarono i Grégoire; i quali restarono stupiti di vedersi aprire immediatamente e della premura con cui Ippolito, gettata un’occhiata in cima e in fondo alla strada, li sollecitò a entrare. In salotto, le tende erano calate; furono fatti passare direttamente nello studio, dove Hennebeau si scusò di riceverli; ma il salotto era in vista dalla strada: indugiarvisi sarebbe stata una provocazione ch’era meglio evitare. E siccome quelli non capivano: – Come? non sapete nulla, allora? – Ma neanche quando apprese dello sciopero, Grégoire uscí dalla sua flemma. Bah! non succederebbe nulla! erano tutti dei cosí bravi ragazzi! Agitando il mento, la moglie approvava, radicata anche lei nella fiducia in cui la confermava la secolare rassegnazione dei minatori; mentre Cecilia, allegrissima quel giorno, e incantevole di salute nel suo vestito color albicocca, sorrideva alla parola sciopero, che alla sua spensieratezza evocava solo passeggiate di beneficenza in giro per i borghi operai.
In quella compariva la padrona di casa, chiusa in un abito di seta nera e scortata da Négrel. Già di sulla soglia:
– Che ne dite di questa seccatura? Non poteva scegliere un altro giorno, quella gente? Paolo, sapete, è d’avviso che per oggi convenga rinunziare a Saint-Thomas!
– Oh poco male! – s’affrettò a dire Grégoire. – Resteremo qui e sarà tanto di guadagnato!
Siccome Paolo s’era contentato di salutare, d’una occhiata imperiosa la Hennebeau lo spinse verso Cecilia: che diamine! cosí s’accoglie la fidanzata? E quando udí i due colombi tubare, li avvolse in uno sguardo materno. E mentre il marito finiva di scorrere i dispacci e rispondeva ai piú urgenti, ci tenne ad avvertire gli ospiti che dell’arredamento dello studio lei non era responsabile; se no, il pesante mobilio di acagiú che lo ingombrava avrebbe da gran tempo preso la porta; come sarebbe sparita dalle pareti quella tappezzeria di carta un tempo rossa e ormai stinta; né si sarebbero viste in giro quelle cartelle tutte gualcite dall’uso.
In queste chiacchiere trascorse quasi un’ora; e si stava per passare in sala da pranzo, quando capitò Deneulin. Inchinatosi appena alla padrona di casa e salutati i Grégoire, Deneulin si rivolse preoccupato a Hennebeau: – Sicché ci siamo! Me l’ha detto ora il mio ingegnere… Da me, stamattina, gli uomini sono discesi tutti… Ma lo sciopero può estendersi, non sono affatto tranquillo. Sentiamo, com’è la situazione da voi?
Aveva attaccato subito l’argomento che gli stava a cuore; il tono concitato e la nervosità dei gesti che tradivano una viva ansietà, gli davano in quel momento l’aspetto d’un ufficiale di cavalleria in congedo. E il direttore cominciava a metterlo al corrente, quando Ippolito annunciò che la colazione era servita.
– Resta con noi, – disse allora Hennebeau. – A tavola si discorre meglio.
Col capo altrove, Deneulin accettò su due piedi; solo dopo, ravvedendosi, si scusò con la Hennebeau, la quale già aveva fatto mettere un nuovo piatto a tavola e che si mostrò lietissima di averlo a colazione.
A destra e a sinistra di Hennebeau sedettero la Grégoire e Cecilia; Paolo, tra questa e Grégoire; quindi la padrona di casa, con a fianco Deneulin.
– Mi scuserete, – disse la Hennebeau, mentre si serviva l’antipasto, – mi scuserete se non vi do, come volevo, delle ostriche… Al lunedí a Marchiennes c’è un arrivo di ostriche d’Ostenda; e la mia intenzione era di mandare la cuoca con la vettura… Ma la donna ha avuto paura d’essere presa a sassate.
A sassate? Trovando una simile paura ridicola, i convitati partirono in un coro di risa, cosí rumoroso che preoccupò Hennebeau. Lanciando un’occhiata inquieta alla strada sulla quale s’aprivano le finestre: – Ssst, – raccomandò. – Non facciamoci troppo sentire, stamane! Non è igienico.
– Ah, comunque vada, – celiò Grégoire in risposta, – d’un affettato come questo, non intendo far parte a nessuno!
Si rise ancora, ma piú sommessamente. Nella sala ovattata di sontuose tappezzerie, con antiche cassapanche di quercia lungo le pareti, i convitati si mettevano a loro agio. Credenze a vetri luccicavano di argenteria; un lampadario di rame pendeva dal soffitto e nelle sue bocce si specchiavano palme e ciuffi di aspidistra che sorgevano da vasi di maiolica. Fuori, la giornata di dicembre, che una pungente brezza gelava; mentre il tepore di serra che regnava nell’interno permetteva di avvertire nell’aria l’aroma dell’ananas che aspettava, tagliato a fette, in una coppa di cristallo.
Per impressionare i Grégoire, il mefistofelico Négrel: – Se si tirassero le tendine? – propose a un certo punto. E siccome, credendo a un ordine, la domestica che aiutava Ippolito abbassò qualche tendina, nella penombra della sala tutti per ischerzo cominciarono a dar segni di paura; posando la forchetta, un bicchiere, si badava a non far rumore; e si salutava ogni nuovo piatto come fosse sfuggito a un saccheggio. Gaiezza piú ostentata che sentita, dietro la quale si celava una paura bell’e buona, se tutti loro malgrado lanciavano ogni poco occhiate inquiete alla strada, quasiché davvero un’orda di affamati fosse lí fuori in agguato.
Dopo l’imbrogliata d’uova con tartufi, vennero servite delle trote di fiume. La conversazione era caduta sulla crisi che da un anno e mezzo s’andava aggravando.
– Era inevitabile! – disse Deneulin. – Una prosperità come quella di questi ultimi anni non poteva portare ad altro… Pensate agli immensi capitali che si sono immobilizzati in cost...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Germinale
  3. Nota a «Germinale»
  4. Germinale
  5. Parte prima
  6. Parte seconda
  7. Parte terza
  8. Parte quarta
  9. Parte quinta
  10. Parte sesta
  11. Parte settima
  12. Appendice critica
  13. Studio sopra Emilio Zola di Francesco De Sanctis
  14. Cronologia della vita e delle opere
  15. Bibliografia
  16. Il libro
  17. L’autore
  18. Dello stesso autore
  19. Copyright