La stella del diavolo
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La stella del diavolo

  1. 512 pagine
  2. Italian
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La stella del diavolo

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Informazioni sul libro

Oslo è nella morsa di una delle estati piú torride che la storia ricordi. In un appartamento del centro una giovane donna giace in una pozza di sangue, assassinata. Un dito è stato reciso dalla sua mano sinistra e dietro la sua palpebra è stato nascosto un minuscolo diamante a cinque punte, la stella del diavolo. Nello stesso momento, in un altro punto della città, Harry Hole giace nel suo appartamento, completamente ubriaco. Tuttavia, è proprio il capo della polizia, Bjarne Møller, che lo costringe a riemergere dal suo isolamento. È a corto di uomini ma, soprattutto, vuole dare a Hole un'ultima chance.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858420461

Parte quinta

32.

Domenica. Le rondini

Rakel era in camera da letto e si stava guardando allo specchio. La finestra era aperta per sentire il rumore di un’auto o dei passi sulla ghiaia del vialetto. Guardò il ritratto di suo padre sul piano della specchiera. Ogni volta trovava che aveva un’espressione incredibilmente giovane e innocente in quella foto.
Aveva fissato i capelli con un semplice fermaglio, come sempre. Avrebbe dovuto cambiare pettinatura? Il vestito era di sua madre, un vestito di mussola rossa che aveva fatto modificare e che sperava non fosse troppo appariscente. Quando era piccola, suo padre le parlava spesso della prima volta che aveva visto sua madre con quel vestito, e Rakel non si stancava mai di ascoltarlo, era come una favola.
Tolse il fermaglio e si lasciò cadere i capelli neri sul volto. In quel momento sentí suonare il campanello della porta. Poi sentí Oleg correre nell’ingresso, la sua voce eccitata. E la risata di Harry. Rakel si guardò un’ultima volta allo specchio. Il cuore le batteva piú forte. Uscí dalla camera da letto.
– Mamma, Harry è…
Oleg si interruppe di colpo quando lei apparve in cima alla scala. Rakel mise con cautela un piede sul primo scalino, all’improvviso i tacchi alti le sembravano instabili. Ma poi recuperò l’equilibrio e alzò lo sguardo. Oleg era ai piedi della scala e la fissava a bocca aperta. Harry era poco distante. Gli occhi gli scintillavano al punto che Rakel aveva l’impressione di sentirne il calore sulle guance. In mano lui aveva un mazzo di rose.
– Come sei bella, mamma, – sussurrò Oleg.
Rakel chiuse gli occhi. Entrambi i finestrini erano abbassati e il vento le accarezzava i capelli e la pelle mentre Harry affrontava le curve di Holmenkollåsen. Nell’auto c’era un vago odore di detersivo. Rakel abbassò il parasole per controllare il rossetto e vide che anche lo specchietto era stato lucidato.
Sorrise pensando al loro primo incontro. Lui si era offerto di portarla al lavoro con la sua macchina e Rakel era stata costretta ad aiutarlo a spingerla per metterla in moto.
Trovava incredibile che Harry avesse ancora la stessa auto di allora.
Lo osservò con la coda dell’occhio.
Lo stesso naso dritto. E le stesse labbra morbide, quasi femminili, che contrastavano con gli altri tratti del volto, duri e maschi. E gli occhi. Non si poteva dire che fosse un bell’uomo, non nel senso classico della parola. Ma era speciale. Speciale. E i suoi occhi. No, non gli occhi. Lo sguardo.
Harry si voltò, come se avesse sentito i suoi pensieri.
Le sorrise. Ed era quello. La dolcezza infantile del suo sguardo, come se dentro ci fosse un ragazzino che la prendeva in giro. C’era qualcosa di naturale, onesto. Aperto. Integro. Era lo sguardo di una persona di cui ci si può fidare. Di cui ci si vuole fidare.
Rakel ricambiò il sorriso.
– A cosa stai pensando? – chiese lui tornando a guardare la strada.
– A un po’ di tutto.
Nelle ultime settimane, Rakel aveva avuto molto tempo per riflettere. Abbastanza tempo per rendersi conto che Harry non le aveva promesso qualcosa che poi non aveva mantenuto. Non le aveva mai promesso che non avrebbe avuto ricadute. Non le aveva mai promesso che il suo lavoro non avrebbe continuato a essere la cosa piú importante della sua vita. Non le aveva mai promesso che sarebbe stato facile. Quelle erano tutte promesse che si era fatta da sola, ora se ne rendeva conto.
Quando arrivarono davanti alla casa di Oppsal, Olav Hole e Søs li stavano aspettando sulla porta. Harry le aveva parlato talmente tanto di quella piccola casa che Rakel aveva l’impressione di esserci cresciuta.
– Ciao, Oleg, – disse Søs con un tono da sorella maggiore. – Abbiamo fatto l’impasto per la torta.
– Davvero? – Oleg scrollò lo schienale del sedile di Rakel, impaziente di scendere dall’auto.
Mentre tornavano in città, Rakel si abbandonò contro il poggiatesta e gli disse che era bello, ma che non doveva farsi idee strane. Harry rispose che era molto piú che bella e che poteva farsi qualsiasi idea volesse. Quando arrivarono sui pendii dell’Ekebergskrenten, con la città sotto di loro, Rakel vide una V nera solcare il cielo.
– Rondini, – disse Harry.
– Volano basso. Vuol dire che pioverà?
– Sí. Hanno detto che pioverà.
– Ah, magnifico. È per questo che si alzano in volo, per avvertire?
– No. Stanno facendo un lavoro piú utile. Stanno ripulendo l’aria dagli insetti. Insetti nocivi e simili.
– Ma perché hanno tanta fretta? Sembrano isteriche.
– Perché non hanno molto tempo. Quando il sole tramonta, gli insetti spariscono e le rondini sono costrette a interrompere la caccia.
– E la tua caccia è finita?
Harry non rispose, teneva lo sguardo fisso sulla strada.
– Harry?
– Scusa, – disse. – Ero sovrappensiero.
Il pubblico della première aspettava nello spiazzo ombreggiato davanti al Teatro nazionale. I famosi conversavano con i famosi, i giornalisti intervistavano e le telecamere riprendevano. A parte i pettegolezzi su qualche flirt estivo, l’argomento di conversazione era lo stesso per tutti: l’arresto, avvenuto il giorno prima, del killer in bicicletta.
Harry le teneva una mano in fondo alla schiena mentre si dirigevano verso l’entrata, e Rakel sentiva il calore dei suoi polpastrelli attraverso il tessuto sottile. Un volto si parò davanti a loro.
– Roger Gjendem dell’«Aftenposten». Scusate, ma stiamo facendo un’inchiesta su cosa pensano i cittadini della cattura del serial killer. Ovvero di chi ha rapito la cantante che avrebbe dovuto avere il ruolo principale, questa sera.
Si fermarono, e Rakel si accorse di non avere piú la mano di Harry sulla schiena.
Il giornalista sorrideva, ma il suo sguardo era incerto.
– Ci siamo già parlati, Hole. Quando lavoravo per la cronaca nera. Non ti dispiace se ti do del tu? Ci siamo visti un paio di volte quando sei tornato dopo la storia di Sydney. Mi hai anche detto che ero l’unico giornalista che ti citava correttamente. Ti ricordi?
Harry lo fissò per un attimo prima di rispondere.
– Mhm. Hai chiuso, con la nera?
– No, no –. Roger Gjendem scosse con forza il capo. – Sto solo sostituendo un collega in ferie. Posso avere un commento dell’ispettore Harry Hole?
– No.
– No. Neanche due parole?
– Quello che volevo dire è che non sono piú nel corpo di polizia, – spiegò Harry.
Lo sconcerto del giornalista era palese.
– Ma se ti ho visto…
Harry si diede una rapida occhiata intorno e poi si chinò verso di lui.
– Hai un biglietto da visita?
– Sí…
Roger Gjendem gli porse un biglietto da visita con il logo dell’«Aftenposten» in lettere gotiche. Harry se lo infilò in tasca.
– Devo chiudere il pezzo entro le undici di stasera.
– Vedremo, – disse Harry.
Gjendem rimase fermo con un’espressione stupita sul volto mentre Rakel saliva lo scalone con le dita calde di Harry di nuovo al loro posto.
Davanti all’entrata, vedendoli un uomo sorrise. Aveva una grande barba e gli occhi pieni di lacrime. Rakel lo riconobbe dalle fotografie sui giornali. Era Willy Barli.
– Come sono contento di vedervi qui insieme, – disse allargando le braccia. Harry esitò, ma non riuscí a evitare l’abbraccio.
– Tu devi essere Rakel.
Willy Barli le strizzò l’occhio da sopra la spalla di Harry mentre lo abbracciava come se avesse ritrovato un orsacchiotto perduto.
– Perché ti ha abbracciato? – chiese Rakel quando trovarono i loro posti in quarta fila.
– Affetto virile, – rispose lui. – Willy è un artista.
– Sí. Ma che cosa hai detto a quel giornalista, che non sei piú nella polizia?
– Infatti, ieri è stato il mio ultimo giorno alla centrale.
Rakel lo fissò.
– Perché non mi hai detto niente?
– Te ne ho accennato ieri. In giardino.
– E che cosa farai adesso?
– Qualcos’altro.
– Cosa?
– Qualcosa di completamente diverso. Ho avuto un’offerta da un amico. E l’ho accettata. Spero che nel futuro ne arrivino altre. Dopo te ne parlo.
Il sipario si alzò.
Il sipario calò, ma gli applausi continuarono con la stessa forza per quasi dieci minuti.
Gli interpreti venivano di continuo alla ribalta in formazioni diverse finché non si stancarono di cambiare e rimasero semplicemente fermi a godersi quel tributo. Toya Harang si profondeva in inchini agli innumerevoli «Brava» che echeggiavano nel teatro e, alla fine, chiunque avesse svolto un ruolo nello spettacolo fu chiamato sul palco. Toya e Willy Barli si abbracciarono, e ci furono lacrime sia in scena sia in sala.
Persino Rakel dovette tirare fuori il fazzoletto, e strinse forte la mano di Harry.
– Avete delle facce strane, – disse Oleg dal sedile posteriore. – C’è qualcosa che non va?
Come se fossero sincronizzati, Rakel e Harry scrollarono il capo all’unisono.
– Siete di nuovo amici, non è vero?
– Non siamo mai stati altro, – disse Rakel con un sorriso.
– Harry?
– Sí, capo, – rispose lui guardando nello specchietto retrovisore.
– Significa che possiamo andare di nuovo al cinema insieme? A vedere film d’azione?
– Forse. Soltanto se sono veri film d’azione.
– Ah, – disse Rakel. – E io cosa dovrei fare?
– Tu puoi giocare con Olav e Søs, – disse Oleg eccitato. – Vedrai che ti diverti, mamma. Olav mi ha insegnato a giocare a scacc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La stella del diavolo
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Parte quarta
  8. Parte quinta
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright