Democrazia
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Democrazia

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Leggi un estratto *** Nella prima parte viene ricostruito il lungo viaggio storico della democrazia dalle origini greche ai giorni nostri: le vicende della politica e quelle delle dottrine democratiche vengono ripercorse nel loro intreccio, con particolare attenzione a passaggi decisivi come le grandi rivoluzioni americana e francese, le lotte per il suffragio universale, l'affermazione delle democrazie costituzionali nella seconda metà del Novecento. La seconda parte del libro affronta invece i principali nodi teorici sui quali non cessa di interrogarsi il pensiero democratico: le basi filosofiche della democrazia, i diritti fondamentali, la laicità dello Stato, la «finzione» della rappresentanza, i partiti e la loro crisi, il ruolo dell'opinione pubblica e dei media, il condizionamento che i poteri economici, «domestici» e globali, esercitano sulla politica democratica. Il volume si conclude con una riflessione sulle patologie della democrazia contemporanea e sulle proposte che sono state avanzate per affrontarle.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858413739
Categoria
Sociology

Parte seconda

Democrazia: strutture e principî

Capitolo sesto

Argomenti per la democrazia

Agli inizi del XXI secolo, la democrazia sembra essersi ormai affermata come l’unico valore politico del quale risulta molto difficile contestare la legittimità; tutti si dicono democratici, anche quelli che non lo sono per niente; non c’è quasi piú nessuno che abbia il coraggio di mettere apertamente in discussione il valore della democrazia anche se, beninteso, il termine è cosí indeterminato e polisenso che ognuno può interpretarlo a modo suo. Ma proprio per andare oltre questo consenso tanto diffuso quanto vago e generico può essere utile porsi la questione di fondo: per quali ragioni consideriamo la democrazia un valore da promuovere, ovvero la difendiamo come il miglior regime politico? Come è noto il pensiero politico, a partire da Platone, ha prodotto nel suo secolare sviluppo non poche critiche della democrazia; e se i suoi detrattori sembrano oggi piuttosto in ribasso, vale la pena di tornare a riflettere su quali siano le buone ragioni che si possono addurre in favore della democrazia. Vale la pena anche perché, a seconda delle ragioni su cui si basa, la democrazia potrà declinarsi in molti modi diversi, e si tratterà quindi di vedere quali sono i piú convincenti.
1. Democrazia, libertà, eguaglianza.
Il primo punto sul quale dobbiamo soffermarci riguarda i fondamenti della democrazia, ovvero i buoni argomenti che si possono allegare in suo favore. L’opzione democratica non è affatto un’opzione naturale o ovvia; al contrario, potrebbe essere vista (ragionando, ad esempio, con Platone) come un’opzione assai poco convincente, perché mette il potere di governo, o quantomeno la scelta dei governanti, nelle mani di incompetenti. Perché mai dovrebbe essere la migliore opzione politica possibile?
Uno dei piú lucidi tentativi di dare una risposta a questa domanda è il saggio di Kelsen, Essenza e valore della democrazia1. Hans Kelsen, giurista nato a Praga nel 1881, è stato uno dei piú grandi esponenti della filosofia del diritto del Novecento, e l’indiscusso maestro del positivismo giuridico. Ma è anche un pensatore politico che si misura con la drammatica situazione del suo tempo e si confronta, negli anni Venti, con le due grandi negazioni dalle quali la democrazia politica pluralista viene sfidata in quella fase, il bolscevismo e il fascismo. L’opera di Kelsen sviluppa un ragionamento interessante e articolato, che per certi aspetti si ricollega al pensiero del piú importante autore democratico classico, e cioè al Rousseau del Contratto sociale.
Secondo Kelsen la democrazia si fonda su ciò che egli chiama «due postulati della ragion pratica», oppure, come scrive subito dopo, su «due istinti primordiali dell’essere sociale»2. Queste due idee di base, o istinti primordiali, sono:
a) la volontà di non essere sottoposti al dominio altrui, ovvero il rifiuto dell’eteronomia. In altre parole, il desiderio di libertà nel senso di poter fare semplicemente quello che vogliamo e di non dover obbedire a un comando estraneo;
b) il senso di uguaglianza inteso come convinzione che chi è un nostro pari, un uomo come noi, non ha il diritto di comandarci, né possiede qualità speciali che lo autorizzano a dominare sugli altri.
I due assunti o presupposti valoriali della libertà e dell’eguaglianza si saldano, nella riflessione di Kelsen, con un altro presupposto difficilmente contestabile, e cioè:
c) non è possibile l’esistenza di una società senza norme cogenti, costrittive, per il comportamento degli individui («regolamento obbligatorio delle relazioni degli uomini tra loro»3).
Il ragionamento sui fondamenti della democrazia deve quindi partire, secondo Kelsen, dalle seguenti premesse:
a) nessuno vorrebbe essere sottoposto a un dominio estraneo;
b) nessuno ha titolo piú degli altri per imporre il suo dominio (questo era stato il punto di rottura sul quale avevano insistito i grandi classici della modernità, Hobbes soprattutto, in cui il tema dell’eguaglianza è centrale, ma ovviamente anche Locke);
c) nella vita sociale non si può fare a meno di una legge coercitiva.
La sfida è come rendere compatibili la libertà e l’eguaglianza con l’esigenza di un ordinamento coattivo. Lo stesso problema era stato al centro della riflessione di Rousseau nel Contratto sociale: come dar vita a un ordinamento coattivo senza che questo si risolva in negazione della libertà e dell’eguaglianza?
La risposta di Rousseau, che nella sostanza viene ripresa da Kelsen, è la seguente: l’unico modo per sottometterci a un ordinamento coattivo senza perdere la libertà e l’eguaglianza è di sottometterci alla legge che noi stessi (tutti insieme, e su un piano di parità) ci siamo dati. La libertà è un bene irrinunciabile per l’uomo, e l’unico modo per conservarla, e anzi per accrescerla, è decidere di obbedire alla legge che noi tutti, in quanto cittadini uniti in un corpo comune, abbiamo stabilito.
La risposta, dunque, è la conclusione d):
d) libertà ed eguaglianza sono compatibili con un ordinamento coattivo solo nella misura in cui esso è quello che noi stessi, tutti insieme, ci siamo dati.
Il valore fondamentale che la democrazia tutela è quello della libertà (uguale) intesa come non subire imposizioni da parte di altri e dare la legge a se stessi. Un po’ paradossalmente, data la polemica che egli ha sempre condotto contro il diritto naturale, Kelsen riprende a questo proposito molti temi del giusnaturalismo moderno (Hobbes, Locke, Rousseau), cercando però di essenzializzarne al massimo l’argomentazione. La conclusione alla quale giunge è molto chiara: la democrazia è quel regime politico che consente di rendere compatibili l’esigenza di libertà e quella di dare un ordinamento coattivo alla vita sociale; sebbene venga conservata, la libertà subisce attraverso questo passaggio una trasformazione non indifferente: da «libertà naturale», puramente arbitraria, si trasforma in «libertà sociale e politica». Muta in parte i suoi connotati, ma viene comunque conservata.
Va notato inoltre che, in conformità al carattere antimetafisico e relativistico del suo pensiero, Kelsen considera i valori fondamentali (libertà ed eguaglianza) come due postulati, per cui il suo ragionamento potrebbe anche essere tradotto nei seguenti termini: se si vogliono la libertà e l’eguaglianza, si deve volere la democrazia; ma non ci sono ragioni valide, in ultima istanza, per affermare che la libertà sia migliore della servitú, e che l’eguaglianza sia preferibile al privilegio di alcuni.
Nel Discorso sull’ineguaglianza e nel Contratto sociale Rousseau, come in parte abbiamo già visto, prova a spingersi piú a fondo: egli tenta di dimostrare che la libertà è un bene supremo e irrinunciabile, che l’uomo non può mai legittimamente alienare (a differenza di tutti gli altri beni ai quali è in grado di rinunciare senza problemi). Il filosofo ginevrino presenta molti argomenti a sostegno di questa tesi; ma quello piú interessante si può ricostruire facendo ricorso a un semplice esperimento di pensiero.
Supponiamo che alla libertà si possa tranquillamente rinunciare, e assumiamo che io decida (liberamente) di rinunciare alla mia libertà sottomettendomi a un dittatore, come fecero ad esempio i tedeschi che votarono Hitler. Ora, immaginiamo che questo dittatore, come è realmente accaduto, mi ordini di commettere degli efferati assassinî (potrei essere, ad esempio, un soldato nazista a cui viene ordinato di massacrare un bambino ebreo). Di chi sarà ora la responsabilità di questi delitti? Posso sostenere plausibilmente che, avendo rinunciato alla mia libertà ed essendomi sottoposto al comando di un altro, non ho piú alcuna responsabilità di quello che sto facendo? Se ho rinunciato alla mia libertà decidendo di obbedire a un altro, di chi è la responsabilità dei crimini che questo altro mi ordina di commettere? È sua in quanto me li ordina? È mia in quanto sono io che l’ho autorizzato a darmi ordini? O è mia per la diversa ragione che avrei potuto sottrarmi agli ordini, vista la loro criminosità, e invece non l’ho fatto? Non sembra che alla domanda si possa dare una risposta chiara. E la conseguenza, nel caso in cui si ammettesse che qualcuno può legittimamente rinunciare alla sua libertà, è che si perderebbe un aspetto che Rousseau ritiene fondamentale per il nostro modo di intendere l’umanità, si distruggerebbe cioè il legame tra azione e responsabilità: se ammettessimo la possibilità di rinunciare alla libertà, non sapremmo piú a chi attribuire la responsabilità delle azioni che qualcuno compie. Scrive Rousseau:
Rinunziare alla libertà vuol dire rinunziare alla propria qualità di uomo, ai diritti dell’umanità, persino ai propri doveri. Non c’è compenso possibile per chi rinunzia a tutto. Una tale rinuncia è incompatibile con la natura dell’uomo: togliere ogni libertà alla sua volontà significa togliere ogni libertà alle sue azioni4.
Esposta nel nostro linguaggio, e lasciando da parte la retorica roussoiana, la conclusione è molto semplice: se ci riconosciamo come uomini responsabili delle nostre azioni, non possiamo rinunciare alla libertà; ma se la libertà è un bene inalienabile, l’unica costituzione politica accettabile è quella che non nega la libertà, cioè la costituzione democratica. Scavando piú in profondità rispetto a quanto non faccia l’antimetafisico Kelsen, Rousseau mostra che libertà e responsabilità sono inscindibilmente connesse: non si può rinunciare all’una senza far crollare l’altra. Il suo è un argomento molto ingegnoso, alla cui base però c’è ancora una volta un presupposto che dovrebbe esso stesso essere dimostrato, e cioè che non si può pensare l’uomo senza considerarlo un essere responsabile delle sue azioni.
La democrazia, come abbiamo visto, presuppone non solo il valore della libertà, ma anche quello dell’eguaglianza. L’eguaglianza, però, può essere intesa secondo un’infinità di modi e pertanto è necessario capire bene a quale senso di eguaglianza si fa riferimento in questo contesto. Possiamo infatti distinguere l’eguaglianza giuridica (tutti, nobili o plebei, sono soggetti alle stesse leggi – la conquista della rivoluzione «borghese»), l’eguaglianza politica (tutti hanno eguale diritto di voto), l’eguaglianza materiale o sostanziale (a ciascuno le stesse condizioni di vita o gli stessi beni), l’eguaglianza delle opportunità o dei punti di partenza5.
Ma l’eguaglianza da cui prende le mosse il ragionamento di Kelsen, e che costituisce un postulato del pensiero democratico, è un tipo di eguaglianza dall’accezione molto precisa, sviluppata per la prima volta da Hobbes e da Locke: è l’eguaglianza in relazione alla soggezione e al dominio reciproco, ovvero l’eguaglianza in relazione al diritto di comandare. La moderna eguaglianza democratica non afferma che gli uomini sono eguali di fatto (niente potrebbe essere piú falso), ma che sono eguali in quanto non sussistono tra loro gerarchie naturali, e pertanto non c’è nessuno che abbia, per diritto naturale, tradizionale o divino, un titolo che gli consenta di comandare sugli altri.
Questa eguaglianza è un punto di partenza assolutamente decisivo per la politica della modernità: basti ricordare che già il padre del pensiero politico moderno, Thomas Hobbes, sebbene finisse per sostenere la necessità del potere assoluto, assumeva come punto di partenza la dimostrazione dell’eguaglianza tra gli uomini6. Per mostrare che nessuno ha un titolo privilegiato a governare sugli altri, Hobbes in realtà sposta un po’ il tiro, e sostiene la tesi di una quasi-eguaglianza di fatto tra gli individui: nessuno è tanto piú forte da non poter essere ucciso dagli altri, nessuno è indiscutibilmente superiore dal punto di vista intellettivo, e questo è ironicamente dimostrato dal fatto che ognuno pensa di essere piú intelligente e piú saggio degli altri7.
Nel Secondo trattato sul governo di Locke la questione dell’eguaglianza è posta in modo ancora piú chiaro e preciso: nel paragrafo 54, il pensatore inglese sostiene che la sua affermazione «tutti gli uomini sono per natura eguali» (che poi sarà ripresa nelle principali dichiarazioni dei diritti dell’epoca moderna) non va intesa – e qui è il passo avanti rispetto a Hobbes – come se non vi fossero uomini di preminente eccellenza o virtú. Ma l’importante – continua Locke – è che
ciò non contraddice all’eguaglianza in cui tutti gli uomini si trovano dal punto di vista della giurisdizione e del dominio reciproco: questa era l’eguaglianza cui intendevo riferirmi, attinente all’argomento in questione, trattandosi dell’eguale diritto che ciascuno ha alla sua libertà naturale, senza essere soggetto alla volontà altrui o all’altrui autorità8.
Anche a questo proposito si può porre una questione analoga a quella che abbiamo sollevato precedentemente: come si giustifica la tesi secondo la quale nessuno ha titolo piú di ogni altro a comandare sugli altri? Perché questo diritto non deve essere attribuito, come accade nelle società tradizionali, ai piú saggi, ai piú anziani, ai migliori, agli uomini investiti dalla divinità?
A questa domanda potremmo rispondere in prima battuta seguendo un’indicazione di Robert A. Dahl, sulla quale torneremo piú avanti: è molto difficile riuscire a dimostrare con buoni argomenti che qualcuno possieda un’intrinseca superiorità e diritto di dominio. Ma, lasciando per un momento da parte questo problema, limitiamoci a riepilogare il cammino che abbiamo fin qui percorso: in una prospettiva come quella roussoiano-kelseniana, la democrazia realizza una finalità molto precisa, quella del non essere comandati da altri. È politicamente libero chi è sottoposto alla volontà propria, o meglio alla volontà della collettività che...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Democrazia
  3. Parte prima - Verso la democrazia: modelli e percorsi
  4. Parte seconda - Democrazia: strutture e principî
  5. Bibliografia
  6. Elenco dei nomi
  7. Il libro
  8. L’autore
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright