L'Italia del tempo presente
eBook - ePub

L'Italia del tempo presente

Famiglia, società civile, Stato. 1980-1996

  1. 656 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

L'Italia del tempo presente

Famiglia, società civile, Stato. 1980-1996

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Gli anni tormentati del post-terrorismo e del craxismo, della corruzione e della mafia, la drammatica crisi del 1992-93, la lunga corsa per entrare nell'Europa monetaria: dietro la cronaca dei fatti le scosse di un terremoto profondo che ha cambiato la vita pubblica e le abitudini degli italiani.
Nato come ampliamento del volume Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, questo nuovo libro di Paul Ginsborg si è via via trasformato in un'autonoma e approfondita ricerca sull'Italia, dal 1980 al 1996. Nella ricostruzione dell'autore, i dati dell'economia (il nuovo corso del capitalismo italiano tra disoccupazione e avanzata del terziario) sono considerati in parallelo con i fatti della politica (la crisi dello Stato centralista e burocratico, il ruolo della magistratura) e con la formazione di una nuova società civile. A sua volta il tema della famiglia, che percorre tutto il libro, è indagato a partire da un'analisi dei consumi, dei gusti e della cultura della gente.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a L'Italia del tempo presente di Paul Ginsborg, Bernardo Draghi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Storia italiana. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858419618
Argomento
Storia

Capitolo ottavo

I tempi della crisi (1992-1996)

Il 17 novembre 1991, il quotidiano «la Repubblica» riferiva che democristiani e socialisti stavano tranquillamente delineando gli scenari politici per il nuovo decennio. In particolare i due partiti si erano accordati per governare insieme per altri cinque anni, possibilmente con livelli di tensione e disaccordo inferiori a quelli che avevano caratterizzato il periodo precedente. «Nella prossima legislatura può proseguire l’attuale maggioranza – specificò Giulio Andreotti, – ma con patti chiari e senza ripensamenti sugli accordi fatti». Antonio Gava, dal canto suo, proclamò, un po’ incautamente alla luce degli avvenimenti successivi: «I voti li prenderemo per quel che siamo e nessuno potrà piú dire che li abbiamo presi per il nostro anti-comunismo»1.
Invece, a partire dalle elezioni nazionali dell’aprile 1992, l’Italia precipitò in una crisi drammatica e profonda, che non solo liquidò i vecchi partiti e le vecchie élites politiche, ma gettò su di essi un ignominioso discredito. La crisi fu di natura complessa e spesso contraddittoria. Non si trattò, come nel 1968, di una rivolta unificatrice dal basso, di una contestazione del potere e della politica di una generazione da parte di quella successiva. Né la crisi ebbe al suo centro un’unica classe, o partito, o forza sociale che la scatenasse, la governasse e ne raccogliesse i benefici. Essa non restò confinata a un’unica sfera o a un solo settore della vita del Paese, né a un teatro esclusivamente nazionale.
In realtà, considerata da vari punti di osservazione, la crisi del 1992 presentava i profili piú diversi. Vista dal Palazzo di Giustizia di Milano, assunse l’aspetto di una battaglia contro la corruzione e per la restaurazione dell’autorità della legge. Dall’osservatorio della Banca d’Italia, prese la forma di una crisi di indebitamento, che avrebbe causato la sfiducia europea e internazionale nei confronti dell’economia italiana. Vista dalla Lombardia e dal Veneto, fu una rivolta contro Roma in nome del neolocalismo e della laboriosità virtuosa del Nord. A Montecitorio, il centro focale della crisi sembrò consistere nella dissoluzione delle vecchie élites e nel bisogno impellente di definire nuove regole e nuove modalità di funzionamento del sistema politico. Nella fragile società civile di Palermo, assunse l’aspetto di una lotta disperata contro il potere mafioso.
Questi cinque volti della crisi la resero quasi impenetrabile allo sguardo dei contemporanei, a partire dai politici che ne furono le vittime piú illustri. Allo storico, essi pongono complicati problemi di individuazione delle cause e di interrelazione tra i diversi piani. Infine, la stessa complessità della crisi rese difficile prevederne gli esiti, poiché la storia del periodo 1992-96 è caratterizzata da un andamento fluttuante, in molti casi legato a decisioni cruciali e tutt’altro che scontate da parte dei vari soggetti in gioco.
Nel tentativo di spiegare la crisi, è opportuno introdurre una serie di cautele. In primo luogo, non appare molto produttivo adottare una visione «catastrofica» della storia italiana recente, secondo la quale la Repubblica si sarebbe trovata in difficoltà permanente fin dalla sua proclamazione, lacerata da numerose e insostenibili contraddizioni, e pertanto la sua fine sarebbe stata questione di tempo. Mentre solo i piú fervidi apologeti della Democrazia cristiana potrebbero negare le molte e numerose linee di frattura che attraversavano l’edificio repubblicano, se ci concentrassimo esclusivamente su di esse non riusciremmo a spiegare né i tempi della crisi, né la sua particolare traiettoria. Piuttosto, come cercherò di suggerire nella narrazione che segue, la crisi fu dovuta tanto ai vizi della democrazia italiana quanto alle sue virtú, e risulterebbe incomprensibile se non si considerassero insieme gli uni e le altre.
Va anche detto che ogni analogia con gli eventi che in quello stesso periodo stavano sconvolgendo l’Europa dell’Est, analogia ricorrente tra i commentatori dell’epoca, appare decisamente errata. Se in Italia esisteva un «regime», esso non era certo assimilabile a quelli dell’Europa orientale. La crisi italiana fu una crisi interna alla democrazia, in un Paese in cui da cinquant’anni si svolgevano libere elezioni a suffragio universale. In Italia come in Polonia la società civile dovette certamente battersi per veder riconosciute le proprie ragioni, ma il contesto dello scontro e la natura delle forze in campo furono molto diversi.
Infine, è probabilmente un errore attribuire a un’unica chiave di lettura la spiegazione della crisi2. Lo storico inglese A. J. P. Taylor amava far derivare grandi eventi da piccole cause tecniche: le rivoluzioni europee del 1848, ad esempio, sarebbero state scatenate dall’invenzione del telegrafo, e la prima guerra mondiale dalla rigidità degli orari ferroviari del periodo. In quest’ottica si potrebbe concludere che la crisi italiana, evento di portata molto minore ma pur sempre assai complesso, non sarebbe mai accaduta senza i computer di Antonio Di Pietro. Un simile minimalismo, però, non basta, e una spiegazione soddisfacente dovrebbe invece ispirarsi ad almeno tre grandi direttrici metodologiche. La prima consiste nel combinare diversi livelli di analisi, ossia prendere in esame non solo la sfera politica ma le interazioni tra quest’ultima e altri ambiti causali: economico, sociale, culturale. La seconda nel tenere in dovuta considerazione l’interdipendenza tra strutture e azioni soggettive, senza sopravvalutare né il ruolo della scelta consapevole e dell’azione di singoli soggetti nella concatenazione degli eventi, né quello del peso determinante dei fattori impersonali e strutturali. La terza e ultima, nel trovare un equilibrio tra l’apporto dei fattori causali di lunga durata e quello del flusso immediato degli eventi.
In qualche modo, gran parte dei capitoli precedenti rappresenta già un tentativo di spiegazione dell’inaspettata svolta dei primi anni ’90. Limitarsi a questa affermazione sarebbe tuttavia un fin troppo facile escamotage. Può forse servire al lettore, invece, se cercherò a questo punto di riordinare e presentare in forma schematica i principali elementi causali emersi nelle pagine precedenti. Mi auguro che nel corso di quest’ultimo capitolo possa chiarirsi il rapporto tra i vari elementi della mia spiegazione e il loro relativo ordine di priorità.
Sul piano internazionale, è possibile distinguere due fattori causali di grande importanza, uno assai specifico, l’altro piú vago. Come abbiamo visto, l’impegno europeista dell’Italia era stato rafforzato da tutta una serie di decisioni prese negli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, e dall’evoluzione della stessa Comunità Europea verso una maggiore unificazione. Queste linee di tendenza agirono come un formidabile vincolo esterno sui comportamenti della nazione e soprattutto sulla sua politica economica, come un giudizio sempre piú severo sul suo recente passato che diventava un preciso insieme di indicazioni per il suo futuro. Questa fu la causa necessaria della crisi, se mai ve ne fu una.
Un secondo elemento internazionale, del quale però è piú difficile valutare il peso, fu il crollo dei regimi comunisti. Il fallimento dei progetti riformatori di GorbaČëv e i drammatici eventi degli anni 1989-90 non solo esercitarono un effetto devastante sui comunisti italiani, ma ebbero importanti conseguenze anche per gli anticomunisti. Gli elettori che avevano tradizionalmente sostenuto i partiti di governo, e in particolare la Democrazia cristiana, scorgendo in essi il piú solido baluardo contro il pericolo comunista, per la prima volta si sentirono liberi di esplorare altre vie. Ma fino a che punto sarebbero stati disposti a percorrerle comunque, ossia indipendentemente dalla caduta del Muro di Berlino, resta tuttora una questione aperta3.
Nel contesto della politica interna e delle istituzioni nazionali, la degradazione del governo dei partiti negli anni ’80, le diffuse pratiche di corruzione di cui esso si era reso protagonista, la sua incapacità di realizzare efficaci misure a medio termine, l’arroganza e il compiacimento di gran parte dei suoi esponenti, furono tutti fattori negativi di importanza decisiva. Insieme con gli antichi difetti strutturali della pubblica amministrazione, essi scatenarono una versione particolarmente acuta di una sindrome piú volte riaffiorata nella storia dello Stato italiano: il rifiuto di «Roma»4.
Questi difetti rappresentavano tuttavia solo una parte della vicenda istituzionale. In ogni settore dell’apparato statale, e soprattutto nella magistratura, si erano formate quelle che potrebbero essere definite «minoranze virtuose», elementi recalcitranti ostinatamente convinti che la morale ufficiale della Repubblica, le sue leggi e la sua Costituzione non potessero essere semplicemente una foglia di fico posta a coprire pratiche non codificate. Le loro iniziative avrebbero fatto da detonatore alla crisi. All’azione di queste minoranze si assommò, paradossalmente, quella di alcuni loro avversari. Gli esponenti piú acuti dell’élite politica erano a loro volta consapevoli della necessità della riforma, soprattutto in campo economico e in tutti quei settori che potevano pregiudicare la performance dell’Italia in Europa, avvalendosi a questo scopo del contributo di tecnocrati nel «core executive». Gran parte della storia degli ultimi due governi Andreotti rappresentò un esperimento politico di questo tipo; esperimento che, anche quando fu coronato da successo, non allentò la tensione, ma mise i partiti ancor piú con le spalle al muro; un riformismo, in altre parole, che non serviva tanto a mantenere la tempesta su un lontano orizzonte, quanto ad avvicinarla.
Sotto il profilo sociale, due dei principali segmenti che costituivano i moderni ceti medi urbani trovarono vie diverse per esprimere la loro profonda insoddisfazione. Il primo, imprenditoriale e neolocalistico, appartenente al mondo del lavoro autonomo e per il quale le sfere della famiglia e del lavoro venivano spesso a sovrapporsi, era esasperato dalla Democrazia cristiana e andava in cerca, soprattutto nel Nordest del Paese, di nuovi sbocchi politici e soluzioni radicali. L’altro, critico e «riflessivo», aveva spesso singoli componenti della famiglia, di formazione sia cattolica sia di sinistra, impegnati nella società civile; questo ceto credeva piuttosto nella necessità di uno Stato riformato e di soluzioni nazionali anziché locali5.
A influire sulla maggioranza delle famiglie italiane concorrevano due fattori culturali di grande importanza: il graduale ampliarsi dell’esperienza scolastica, specialmente femminile, e l’accresciuto accesso a strumenti nuovi di comunicazione di massa. Entrambi, pur con tutte le loro carenze e ambiguità, insinuarono nelle famiglie una vaga ma significativa idea di come le cose avrebbero dovuto essere, anche se la realtà era spesso diversa. Insieme, comunque, costituirono l’anello di congiunzione piú importante tra società, «questione morale» e la crisi del 1992-936.
L’ultimo elemento causale era il piú violento e anche quello di piú difficile soluzione. Il crescente potere della criminalità organizzata, e in particolare la strategia aggressiva della nuova leadership della mafia siciliana, esercitò una profonda influenza destabilizzatrice, soprattutto in quanto una parte del ceto politico della Repubblica manteneva occultamente costanti rapporti con quelle stesse organizzazioni criminali. Anche in questo caso, tuttavia, gli elementi causali ebbero una doppia origine. In altre parole non derivarono solo dalla strategia aggressiva dei «corleonesi», ma anche dall’azione del pool dei magistrati palermitani coordinato da Antonino Caponnetto, e dal nuovo spirito antimafia di quella società civile che faceva le sue prime, timide sortite nella Palermo degli anni ’80.
Fin qui ci siamo limitati a presentare gli elementi di una possibile spiegazione in forma di elenco, utile ma static...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L'Italia del tempo presente
  3. Prefazione
  4. L’Italia del tempo presente
  5. I. L’economia italiana tra vincoli e sviluppo
  6. II. Le gerarchie sociali di una nazione opulenta
  7. III. Famiglie e consumi
  8. IV. Società civile e cultura di massa 
  9. V. Il fallimento della politica (1980-1992)
  10. VI. Corruzione e mafia
  11. VII. Lo Stato: dentro e fuori (1980-1992)
  12. VIII. I tempi della crisi (1992-1996)
  13. Appendice statistica
  14. Elenco dei nomi
  15. Il libro
  16. L’autore
  17. Dello stesso autore
  18. Copyright