Da te solo a tutto il mondo
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Da te solo a tutto il mondo

Un ornitologo osserva le società umane

  1. 144 pagine
  2. Italian
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Da te solo a tutto il mondo

Un ornitologo osserva le società umane

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Perché alcuni paesi sono ricchi, mentre altri sono poveri? In che modo le istituzioni possono influenzare il buon andamento di un sistema economico? Perché la Cina cresce a un ritmo cosí vertiginoso? Cosa possiamo imparare confrontando una crisi personale con una crisi di portata nazionale? Come possiamo affrontare i comunissimi pericoli quotidiani? Quali insegnamenti, a livello di stile di vita e benessere, possiamo ricavare dall'osservazione dei popoli tradizionali? Quali saranno le sfide globali del prossimo futuro? Dal metodo di ricerca delle scienze sociali alle differenze economiche delle nazioni, dalla crisi mondiale alle peculiarità della situazione italiana: tra antropologia, geopolitica e analisi culturale Jared Diamond, affrontando le grandi domande del presente, ci accompagna in una nuova, incredibile avventura nella storia del nostro pianeta.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858417706

Capitolo primo

Perché ci sono paesi ricchi e paesi poveri:
il peso della geografia

Immaginate di incontrare una persona mai vista prima. Vorreste sapere il piú possibile sul suo conto, ma vi è concesso di farle soltanto due domande. A sua volta, il vostro interlocutore può rispondere a ciascuna domanda con una sola parola. Quali domande dovreste porre per ottenere il maggior numero di informazioni?
Secondo il parere di molti, le due domande piú efficaci da questo punto di vista sarebbero: «In quale anno sei nato?» e «Dove sei nato?»
Cominciamo dall’anno di nascita: ipotizziamo che il vosto interlocutore sia italiano e che dica di essere nato nel 1920, o nel 1940, o nel 1950, o, ancora, nel 1990. Da un dato all’apparenza cosí semplice potrete già capire molto della sua vita. Se è nato nel 1920, sarà cresciuto sotto la dittatura. Se è nato nel 1940, probabilmente avrà conosciuto la guerra e le difficoltà del dopoguerra. Se è nato nel 1950, invece, si sarà risparmiato il periodo piú duro del dopoguerra, ma avrà vissuto gli anni delle Brigate Rosse. Se infine è nato nel 1990, avrà conosciuto tutti questi momenti storici – la dittatura, la guerra, il dopoguerra e le Brigate Rosse – soltanto attraverso i libri di scuola. Per ottenere rapidamente informazioni sulle esperienze di vita di un italiano qualsiasi, dunque, ci basta scoprire in quale anno è nato.
Passiamo alla seconda domanda: «Dove sei nato?» Supponiamo che la persona risponda di essere nata in Italia, oppure ad Haiti, negli Stati Uniti, in Ruanda, in Iraq, in Corea del Sud. La sua risposta vi fornirà moltissime informazioni su quello che probabilmente è il suo stile di vita. Voi italiani e noi americani andiamo per esempio a lavorare in macchina o in metropolitana, viviamo in case unifamiliari o in appartamenti che qualcun altro ha costruito per noi, mangiamo cibo coltivato da altri e comprato al supermercato, indossiamo abiti cuciti da chissà chi, possiamo ricorrere alle cure di medici e dentisti, condividiamo forme di intrattenimento come cinema e televisione.
Molti abitanti del nostro pianeta, invece, non hanno la possibilità di fare tutte queste cose, semplicemente perché hanno avuto la sfortuna di nascere ad Haiti o in Ruanda. Gli haitiani, i ruandesi e miliardi di altre persone – persone in gamba quanto gli italiani e gli americani, che lavorano altrettanto – non svolgono attività retribuite e vanno al lavoro a piedi, senza usare la macchina o la metropolitana. Inoltre costruiscono con le proprie mani la casa o la capanna in cui abitano, coltivano quello che mangiano e si cuciono da soli i vestiti, sempre ammesso che ne indossino. Non hanno medici o dentisti a disposizione, né tantomeno il cinema e la televisione.
Tutte queste differenze ci dimostrano che il luogo in cui nasciamo ha conseguenze enormi sul nostro stile di vita.
La forbice tra le economie nazionali è un aspetto fondamentale della geografia del nostro pianeta. Perché esistono paesi ricchi e paesi poveri? Nelle nazioni piú fortunate, come la Norvegia e gli Stati Uniti, il reddito annuo pro capite supera di circa quattrocento volte quello dei paesi piú poveri, come il Burundi e lo Yemen. Non si tratta semplicemente di un’interessante questione accademica. Al contrario, è un problema che ha enormi conseguenze politiche. Se fossimo in grado di rispondere alla domanda sulle origini prime della povertà, forse i paesi poveri potrebbero sfruttare questa conoscenza per diventare piú ricchi e i paesi ricchi mettere in atto programmi di aiuti internazionali piú efficaci, a reale beneficio dei paesi poveri.
Ora vi racconterò qualcosa che mi ha molto colpito, e che riguarda proprio le differenze in termini di ricchezza nazionale. Una decina di anni fa ho trascorso alcuni giorni in Olanda; da lí, con un lungo viaggio aereo, sono andato in Africa, nello Zambia. Se un extraterrestre appena arrivato sul nostro pianeta si ritrovasse in Olanda, forse penserebbe: «Questo dev’essere un paese ben povero! Per forza, visto che è svantaggiato da tutti i punti di vista». Tanto per cominciare, ha inverni lunghi ed estati brevi, per cui gli agricoltori possono ottenere al massimo un raccolto all’anno. Inoltre non possiede risorse minerarie né montagne, perciò – penserebbe l’extraterrestre – non può avere dighe né risorse idroelettriche, dunque la sua produzione energetica deve dipendere dalle importazioni di petrolio e carbone. Ha poi la sfortuna di confinare con la Germania, paese molto piú vasto e dotato di un esercito fortissimo che l’ha già invasa nel 1940, con conseguenze tragiche e devastanti. Come se non bastasse, un terzo del suo territorio si trova al di sotto del livello del mare, quindi è esposto al rischio di inondazioni. Date queste premesse, il nostro extraterrestre potrebbe insomma a buon diritto sostenere che l’Olanda è un paese molto povero.
Dopo qualche giorno, come dicevo, ho preso un aereo per lo Zambia. Torniamo per un istante al nostro extraterrestre, e immaginiamo che atterri proprio lí, nel cuore dell’Africa meridionale. È probabile che anche nella sua lontana galassia sia giunta voce che i paesi africani sono tendenzialmente poveri. Nonostante ciò, egli non potrà fare a meno di notare gli innegabili vantaggi di cui gode lo Zambia rispetto alla maggior parte degli altri paesi africani, e persino rispetto all’Olanda. Tanto per cominciare, lo Zambia non ha bisogno di importare petrolio, né gas naturale, né carbone, come invece sono costretti a fare l’Italia e gli Stati Uniti. Tutta l’energia necessaria viene prodotta da centrali idroelettriche, alimentate da enormi dighe sul fiume Zambesi, ed è cosí abbondante che lo Zambia ne esporta una parte verso i paesi circostanti. Diversamente dall’Olanda, poi, è molto ricco di minerali, soprattutto di rame, e il clima caldo permette agli agricoltori di ottenere piú raccolti all’anno, invece di uno solo come avviene in Olanda. Diversamente da molti suoi vicini è inoltre un paese pacifico, stabile e democratico: le sue tribú non si combattono a vicenda, non ha mai conosciuto guerre civili, ha sempre avuto buoni rapporti con le nazioni confinanti, non ha mai subito invasioni nemiche e vi si tengono libere elezioni. La popolazione, infine, è composta da persone gentili, che lavorano sodo e attribuiscono grande valore all’istruzione.
Ora però vorrei che provaste a indovinare a quanto ammonta il reddito medio pro capite dello Zambia. Pensate che sia piú alto di quello olandese? O piú basso, o magari uguale? E se pensate che il reddito pro capite dell’Olanda sia piú alto rispetto a quello dello Zambia, di quanto? Quattrocento volte, dieci, oppure una volta e mezza?
La risposta è: il reddito medio pro capite dell’Olanda è cento volte superiore a quello dello Zambia! In pratica parliamo di circa ventiduemila euro annui per l’Olanda, contro i duecentoventi dello Zambia. Il nostro visitatore dallo spazio farebbe fatica a crederci. Perché, nonostante tutti i privilegi di cui gode lo Zambia e tutti gli svantaggi che affliggono l’Olanda, quest’ultima è tanto piú ricca? E cosí torniamo all’interrogativo iniziale: perché esistono paesi ricchi e paesi poveri?
Per rispondere bisogna tener conto di due ordini di fattori: quelli istituzionali e quelli geografici, che affronterò in questo capitolo. Chiarisco fin da subito che non è mia intenzione sottovalutare l’importanza dei fattori istituzionali. Semplicemente, in questa sede ci concentreremo soprattutto sugli aspetti geografici, lasciando al prossimo capitolo la discussione degli aspetti istituzionali.
Uno dei fattori geografici piú importanti è la latitudine: in media, i paesi delle zone temperate sono molto piú ricchi dei paesi tropicali. Persino i paesi tropicali con istituzioni efficienti e virtuose, come il Costa Rica, sono piú poveri delle nazioni europee che invece ne sono prive, ad esempio la Bulgaria.
È interessante notare quanto la latitudine influisca sulla ricchezza anche all’interno di singole nazioni molto estese sull’asse nord-sud. La zona nordorientale degli Stati Uniti, che comprende lo stato di New York e l’Ohio, si trova nella fascia temperata ed è tuttora molto piú ricca rispetto agli stati della zona sudorientale, ad esempio il Mississippi e l’Alabama, che occupano le aree tropicali piú calde. In passato la differenza di reddito tra gli stati nordorientali e quelli sudorientali era addirittura maggiore. Qualcosa del genere vale anche per il Brasile, la cui area piú ricca è costituita dalla fascia temperata meridionale, cioè la piú distante dall’Equatore, dove si trovano le floride metropoli di Rio de Janeiro e São Paulo. (Va ricordato che il Brasile è a sud dell’Equatore, mentre gli Stati Uniti a nord: di conseguenza la zona temperata degli Stati Uniti è situata nelle aree settentrionali del paese, mentre quella del Brasile in quelle meridionali). Le regioni piú misere del Brasile sono le zone tropicali del Nord, a cavallo dell’Equatore. In sostanza, dunque, gli effetti della latitudine sulla ricchezza locale sono visibili non solo nel confronto fra nazioni ma anche all’interno di uno stesso paese, purché abbastanza esteso nel senso della latitudine. Ecco perché appare legittimo domandarsi se a far sí che l’Italia sia piú ricca a nord che a sud non siano soltanto le istituzioni, ma anche la geografia.
Le ragioni della povertà dei paesi tropicali sono principalmente due: la minor produttività agricola e i maggiori problemi sanitari rispetto ai paesi temperati.
Cominciamo dalla produttività agricola. A prima vista, si potrebbe erroneamente pensare che le aree tropicali abbiano rendimenti agricoli piú elevati delle zone temperate, e questo per molte ragioni. Una di esse è che ai Tropici la stagione di crescita dei raccolti dura tutto l’anno e non soltanto sei mesi (come in Italia) o qualche settimana (come in Svezia e in Canada). Un’altra è che ai Tropici fa caldo tutto l’anno, l’insolazione è abbondante, la piovosità e la disponibilità di acqua sono in genere molto superiori rispetto alle zone temperate. Mille millimetri di pioggia all’anno, per esempio, sono considerati buoni per l’Italia, mentre in nessuna regione della Nuova Guinea piove cosí poco. Le precipitazioni medie della Nuova Guinea superano i duemila millimetri l’anno, con punte locali al di sopra dei cinquemila, e addirittura dei diecimila millimetri (ben dieci metri!) nelle zone piú piovose.
Malgrado tutte le ragioni appena elencate, gli agricoltori delle zone tropicali sanno che purtroppo i loro rendimenti non sono affatto piú elevati. È per questo che i risultati ottenuti nelle principali regioni agricole italiane, ad esempio la Pianura Padana, li riempiono di stupore e di invidia.
È un fenomeno per cui esistono due spiegazioni. La prima è che i suoli tropicali sono poco fertili e poco profondi. In Italia, negli Stati Uniti e nelle altre aree temperate gli agricoltori sono invece abituati a seminare in terreni molto produttivi e profondi. Ciò dipende, almeno in parte, dall’avanzamento da nord a sud e dal successivo arretramento da sud a nord dei ghiacciai, evento che durante le ultime ere glaciali si è verificato almeno ventidue volte su gran parte del territorio italiano e statunitense. Avanzando e poi regredendo, i ghiacciai hanno frantumato le rocce sottostanti e generato nuovi strati di terreno, profondi e ricchi di nutrienti. Di contro, le aree tropicali a clima caldo non sono mai state interessate dalle glaciazioni, quindi non hanno potuto avvantaggiarsi della conseguente rigenerazione e fertilizzazione del suolo.
Un’altra importante differenza tra zone temperate e fasce tropicali salta agli occhi ogni volta che passeggiamo in un bosco. Per noi abitanti delle zone temperate è normale vedere sul terreno una grande quantità di foglie e rami, perché nelle nostre foreste la sostanza organica che ricopre il suolo decade lentamente e impiega parecchio tempo a rilasciare tutte le sue sostanze nutrienti. Ai Tropici, invece, le foglie e gli altri materiali organici si decompongono piú in fretta a causa delle temperature elevate. Ma a quel punto i nutrienti non riescono a penetrare nel terreno perché vengono dilavati dalle piogge, trascinati nei fiumi e, infine, negli oceani.
Veniamo ora alla seconda ragione del basso rendimento agricolo nelle zone tropicali. Come sappiamo, ai Tropici la biodiversità è decisamente maggiore rispetto alle zone temperate. Ciò non significa soltanto che vi sono molte piú specie di uccelli (per la gioia dei birdwatcher che volano fino in Brasile per ammirarli), ma anche molte piú specie di organismi patogeni, insetti, muffe capaci di infestare e danneggiare i raccolti, provocando un calo rilevante nei rendimenti agricoli.
Dunque, come abbiamo visto, le caratteristiche del suolo e la forte biodiversità fanno sí che, ai Tropici, contrariamente alle aspettative, i rendimenti agricoli siano inferiori rispetto alle zone temperate. Tale fenomeno spiega perché i principali esportatori di prodotti agricoli – Stati Uniti, Canada, Russia, Olanda, Argentina, Cile, Sudafrica, e cosí via – si trovano quasi tutti nelle zone temperate. Soltanto il Brasile, che comunque possiede vaste aree di territorio sia nella fascia temperata sia in quella tropicale, esporta una quantità significativa della sua produzione.
Oltre alla bassa produttività agricola, la tendenziale povertà delle nazioni tropicali dipende anche dalla difficile situazione sanitaria. Abbiamo appena visto come i Tropici abbiano una notevole ricchezza di specie animali e vegetali. Una varietà di forme di vita che non comprende soltanto i meravigliosi uccelli apprezzati dagli ornitologi, bensí anche parassiti, vermi, insetti e microbi portatori di malattie difficili da identificare e debellare. Stando al parere degli esperti non c’è niente al mondo che aiuti a migliorare le condizioni di salute di un paese piú degli inverni freddi delle zone temperate. Il freddo dei mesi invernali, infatti, uccide parassiti e germi, che in primavera devono ricominciare a diffondersi partendo da zero, a differenza di quanto avviene ai Tropici, dove elementi patogeni e organismi opportunisti possono prosperare per dodici mesi l’anno.
Ciò non significa che le zone temperate siano luoghi perfettamente salubri. Chiunque conosca la storia italiana sa che un tempo anche nel vostro paese si moriva di frequente a causa delle malattie infettive. In genere le malattie delle zone temperate, comprese quelle che in passato colpivano di piú la popolazione italiana, hanno carattere epidemico, perciò si diffondono con una certa velocità nelle zone densamente popolate: si pensi, ad esempio, al vaiolo e al morbillo. Tuttavia la maggior parte di tali malattie si può contrarre una sola volta nella vita, dopodiché si diventa immuni e non si rischia di subire un nuovo contagio. Al contrario, le patologie tropicali tendono a essere ricorrenti: chi sopravvive a un primo attacco non è al sicuro da ricadute e può riammalarsi molte volte nel corso della propria vita. La malaria, in questo senso, è esemplare.
Chi di voi è stato ai Tropici avrà sentito parlare o sperimentato di persona le parassitosi croniche causate da vermi, protozoi e altri organismi patogeni che affliggono le popolazioni dei climi tropicali. Solo per fare un esempio, l’indonesiano medio ospita all’interno del proprio organismo circa sei tipi diversi di parassiti. Dopo l’Aids, la malaria è la malattia infettiva piú importante del mondo per incidenza e mortalità. E se nello Zambia l’aspettativa di vita è di soli quarantun anni, la colpa è da imputare alle parassitosi, alla malaria e ora anche all’Aids.
Naturalmente, vivere nelle aree tropicali ad alto rischio di malattie parassitarie e infettive, con la prospettiva di morire a quarant’ anni, è prima di tutto un’enorme tragedia umana. Ma un freddo economista ci farebbe notare che le malattie tropicali sono, per svariate ragioni, dannose anche in termini economici. La prima ragione è, come abbiamo visto, un’aspettativa di vita piú breve. Ciò vuol dire che anche la vita produttiva media dei lavoratori qualificati e dei manager è piuttosto corta. Pensiamo, ad esempio, al problema della formazione: se un ingegnere può dirsi completamente formato solo intorno ai trent’anni di età, in media un ingegnere dello Zambia sarà in grado di contribuire all’economia del suo paese soltanto per undici anni, dopodiché sarà probabilmente morto. In Italia, invece, l’aspettativa di vita si aggira intorno ai settantasette anni, quindi un ingegnere italiano potrà contribuire all’economia del suo paese per almeno trent’anni, ma anche per quaranta o cinquanta, se gli sarà permesso di continuare a lavorare oltre l’età pensionabile.
Una seconda ragione per cui le malattie tropicali sono dannose per l’economia è che provocano, oltre a una mortalità preoccupante, un’elevata morbilità. Quando non uccide, per esempio, la malaria lascia deboli e malaticci, inabili al lavoro per gran parte del tempo. Quindi i cittadini dello Zambia che avranno la fortuna di essere ancora vivi a quarantadue anni accumuleranno ogni anno un numero di giornate lavorative inferiore a quello dei loro coetanei italiani, dato che lí ci si ammala molto spesso.
Le malattie tropicali danneggiano l’economia anche alterando il profilo demografico della popolazione. La breve durata media della vita e i tassi di mortalità generalmente elevati inducono a procreare molto, per compensare la perdita di parte della discendenza. E ciò fa sí che la quota di popolazione produttiva sia decisamente bassa in confronto a quella non produttiva: gli adulti in grado di lavorare sono pochi e i bambini improduttivi molti, quindi il reddito medio pro capite su scala nazionale tende ad abbassarsi.
Infine, l’ultimo svantaggio economico provocato dalle cattive condizioni sanitarie è la scarsa occupazione femminile: come abbiamo appena visto, le donne dei paesi tropicali, incinte per buona parte della loro vita adulta, incontrano molte difficoltà a mantenere un lavoro.
Ecco dunque perché le malattie tropicali non rappresentano soltanto una tragedia umana e, insieme alla bassa produttività agricola, contribuiscono a spiegare la tendenziale povertà dei paesi tropicali.
Tutto questo ci rattrista? Certo che sí. Tutto questo significa forse che gli svantaggi dei paesi tropicali sono insormontabili? Che li condannano a una povertà senza speranza? Certo che no. Nessuno nega che siano handicap, tuttavia conoscerne l’esistenza è già di per sé un buon punto di partenza. È come quando ci viene diagnosticata una malattia. Sentirci dire che siamo ammalati ci addolora, ma spesso la consapevolezza è il primo passo verso la guarigione. Analogamente, i paesi tropicali che hanno riflettuto sulle ragioni della loro povertà sono riusciti a trarre beneficio da una simile consapevolezza e hanno lavorato sodo per risolvere il problema. Le economie tropicali che in tempi recenti hanno registrato la crescita piú rapida sono proprio quelle che hanno investito di piú nella sanità. Inoltre, sono le stesse che hanno incrementato gli investimenti in aree produttive diverse dall’agricoltura: rendendosi conto, infatti, che in quel settore sarebbe stato impossibile raggiungere i livelli di competitività dei paesi temperati, hanno realizzato che la sola agricoltura non le avrebbe mai arricchite. Tra i paesi tropicali che si sono serviti della diagnosi dei loro problemi per ottenere maggiore benessere figurano senz’altro la Malaysia, Singapore, Taiwan, Hong Kong e Mauritius.
Le difficili condizioni sanitarie in cui versano le zone tropicali hanno inoltre una conseguenza di particolare interesse per la Cia, e forse anche per la corrispondente agenzia italiana, che hanno tra i loro compiti strategici quello di prevedere in anticipo quali governi nazionali corrono il rischio di collassare e di lasciare il paese nel caos: la disperazione generata da simili tracolli spinge spesso le popolazioni locali a emigrare o addirittura a sposare la causa del terrorismo, o ancora a creare problemi di altro genere alle nazioni piú ricche. Per questo motivo gli analisti della Cia hanno provato a individuare il fattore piú affidabile per prevedere il possibile fallimento di uno stato.
Con loro grande sorpresa, hanno scoperto che l’indice piú efficace per misurare la vulnerabilità di un ordinamento statale è... un’elevata mortalità infantile! Una delle ragioni di tale correlazion...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Da te solo a tutto il mondo
  3. Prefazione - Le tappe del mio viaggio: dalla fisiologia all’ornitologia alle scienze sociali
  4. Da te solo a tutto il mondo
  5. I. Perché ci sono paesi ricchi e paesi poveri: il peso della geografia
  6. II. Il ruolo del buon governo e delle buone istituzioni nella ricchezza e povertà delle nazioni
  7. III. La Cina
  8. IV. Crisi e cambiamento
  9. V. Valutazione dei rischi: che cosa possiamo imparare dai popoli tradizionali?
  10. VI. Dieta, stile di vita e salute
  11. VII. I problemi principali che il mondo dovrà affrontare
  12. Letture consigliate
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright