1. La comunicazione.
1.1. Schema della comunicazione.
L’assioma che sorregge queste pagine è il seguente: la letteratura è una forma di comunicazione. (Si potrebbe dire, in senso piú lato: l’arte è una forma di comunicazione; ma qui non importa). La finalità comunicativa è già implicita nell’atto stesso di destinare una propria composizione scritta od orale a un pubblico dai limiti imprevedibili: il destinatore è convinto di poter essere compreso e desidera esserlo. Si noti che comunicazione ha un valore molto piú ampio che informazione: l’informazione, puramente fattuale, può esser tradotta in simboli e, a fortiori, in altra lingua, senza residui; la comunicazione comprende anche elementi non informativi che, per il fatto stesso di esser comunicati, si configurano come nozioni.
La comunicazione letteraria si realizza come qualunque altra comunicazione. Scrive Jakobson2:
Il mittente invia un messaggio al destinatario. Per essere operante, il messaggio richiede in primo luogo il riferimento a un contesto (il «referente», secondo un’altra terminologia abbastanza ambigua), contesto che possa essere afferrato dal destinatario, e che sia verbale, o suscettibile di verbalizzazione; in secondo luogo esige un codice interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente e al destinatario (o, in altri termini, al codificatore e al decodificatore del messaggio); infine un contatto, un canale fisico e una connessione psicologica fra il mittente e il destinatario, che consenta loro di stabilire e di mantenere la comunicazione. Questi diversi fattori insopprimibili della comunicazione verbale possono essere rappresentati schematicamente come segue:
Partendo da questo schema si possono definire le peculiarità della comunicazione letteraria; ciò che faremo mediante un confronto con la comunicazione dialogica quotidiana, che rappresenta l’uso primario del linguaggio a scopo comunicativo.
Prima e fondamentale osservazione è che mittente e destinatario, nella comunicazione letteraria, non sono compresenti, anzi in genere appartengono a tempi diversi. Invece che con la triade mittente-messaggio-destinatario, è come se la comunicazione letteraria operasse su due diadi: mittente-messaggio e messaggio-destinatario. Ne deriva: che la comunicazione è a senso unico; che non è possibile, come nella conversazione, né il controllo della comprensione del destinatario (feedback3) né l’aggiustamento della comunicazione in rapporto con le sue reazioni. Di conseguenza, anche il contatto è piuttosto labile: intanto esso riguarda solo la diade messaggio-destinatario, inoltre esso è completamente affidato all’interesse del destinatario per il messaggio; il mittente, assente o non piú in vita, ha al massimo la possibilità di concentrare nel messaggio incentivi alla fruizione. Altre difficoltà vengono dal fatto che il contesto a cui il mittente si riferisce è ignoto o incompletamente noto al destinatario: fatto previsto dal mittente, che cerca di inglobare nel messaggio il massimo possibile di riferimenti al contesto, insomma introietta il contesto nel messaggio. Si aggiunga la mancanza dei mezzi di espressione paralinguistici: intonazione, gestualità, ecc.: «Molti dei tratti che differenziano lo stile scritto da quello parlato possono essere fatti risalire al bisogno, nello scrivere, di compensare la perdita di elementi soprasegmentali e individuali del discorso»4. Non minori difficoltà produce la differenza di codice tra mittente e destinatario: già il codice linguistico – e tanto piú col crescere della distanza temporale – è solo parzialmente condiviso dalle due parti; ma i codici in gioco sono tutti i codici culturali, e lí le falle nell’informazione del destinatario possono esser gravi.
Di fronte a queste difficoltà di comunicazione, di cui si vedranno avanti alcuni rimedi, vi sono anche vantaggi rispetto alla comunicazione dialogica. Mentre il controllo filologico permette di verificare la genuinità del messaggio (e compensa la mancanza di feedback), la possibilità di rileggere (o riascoltare) consente una comprensione piú approfondita: la reiterazione delle letture – normale per il critico – produce una totale assimilazione del messaggio. Vengono cosí superati anche i vuoti di attenzione, le distrazioni durante la fruizione, ecc. E sono possibili verifiche su altre fonti d’informazione, dello stesso mittente o di altri, cosí da ricostruire, almeno in parte, l’«enciclopedia» (cioè l’assieme di conoscenze) e le implicazioni del messaggio.
Si badi però alla differenza tra comunicazione orale del messaggio (canto o recitazione pubblica; lettura ad alta voce in cerchie ristrette) e fruizione per via di lettura. La fruizione auricolare è condizionata dal canale (lo speaker): avviene nei tempi voluti da lui, e fornisce un testo già interpretato (musica, tratti soprasegmentali, gestualità, ecc.). Essa non ammette controlli, né ritorni su parti precedenti del testo, e perciò coinvolge le lacune dell’attenzione. Ciò vale, nel medioevo, per gran parte della produzione di tipo popolare; vale ancora oggi per testi teatrali rappresentati, per film, teleromanzi, ecc.
1.2. L’autore.
1.2.1. Il mittente del messaggio viene di solito chiamato autore. In altri tempi ha avuto corso una critica che orientava la fruizione dei testi letterari verso una specie di empatia tra lettore e autore: il messaggio diventava il tramite, sia pur necessario, attraverso il quale il destinatario riusciva a raggiungere i sentimenti del mittente, per riviverli. Questo indirizzo si fondava su una concezione del fare letterario che implicava una incredibile immediatezza tra sentimento ispiratore e realizzazione letteraria: come se il fare letteratura servisse a dare sfogo a sentimenti, e come se le reazioni personali presenti nell’opera non trovassero espressione grazie a complicati, lenti filtri formali.
È parso all’inizio che la critica psicoanalitica recuperasse in qualche modo la vecchia impostazione, anche se cercando negli autori, invece che sentimenti e passioni, complessi e pulsioni. Ma i rappresentanti piú scaltriti di questa corrente di pensiero hanno subito fatto constare che complessi e pulsioni venivano da loro studiati, nella sfera letteraria, per le loro emergenze formali nei testi, insomma come elementi strutturali; o meglio ancora, che l’inconscio si esprime come un linguaggio, e che non v’è prodotto linguistico indenne dal lavoro dell’inconscio. Il luogo di questo lavoro è il linguaggio, piú che l’autore.
1.2.2. L’autore è tuttavia elemento imprescindibile della comunicazione letteraria, in quanto mittente del messaggio. Egli è l’artefice e il garante della funzione comunicativa dell’opera5. La natura di messaggio che ha il testo letterario è determinata dal fatto che l’autore, per farsi mittente, si è posto in un particolare rapporto con il o i destinatari: un rapporto di tipo culturale nei suoi contenuti, pragmatico nella sua finalità (l’emissione del messaggio muta lo stato di fatto). Essenziale per questo rapporto è la confluenza di codici in un enunciato linguistico, l’opera.
Intesa in questo senso, la parola autore viene a significare, esattamente come nel medioevo (ricordo le Derivationes di Uguccione, letteralmente riprodotte da Dante in Convivio, IV, VI, 3-5), piú ancora che scrittore, «promotore», «garante», e insomma «autorità» (che infatti è termine etimologicamente connesso). L’autore produce una nuova costruzione linguistica, e ne garantisce la possibilità (e la pregnanza) comunicativa.
1.2.3. Anche se con varietà di prestigio, nella letteratura colta il nome dell’autore è in genere tramandato. Molti autori, anzi, cercano di garantire la conservazione del proprio nome mediante firme interne: ricordo l’autocitazione di Bono Giamboni alla fine del Libro de’ Vizî e delle Virtudi, cosí come Dante si nomina in Purg., XXX, 55. Di solito, sono l’incipit, ed eventualmente l’explicit, dei manoscritti a riportare il nome dell’autore, che poi nel frontespizio delle stampe precede o segue il titolo dell’opera. Solo per motivi prudenziali qualche opera venne pubblicata anonima.
Nella letteratura a tradizione orale l’anonimato è molto piú frequente. A parte il caso estremo dei canti popolari, che davvero «vivono di variazioni», sicché nessuno pensa a ricordare le persone (in genere non professionisti) che li hanno foggiati la prima volta, bisogna pensare che anche per opere di maggior rilievo l’impegno del primo estensore venisse considerato in genere, persino dagli interessati, immeritevole di notorietà. Sono spesso anonime le chansons de geste francovenete (come già quelle francesi), i cantari in ottave del Tre e Quattrocento, ecc. Indubbio il rapporto tra esecuzione orale e anonimato: mentre nella letteratura colta è il destinatario a cercare l’opera, magari per la fama dell’autore, qui è l’opera che cerca i destinatari, il pubblico, nelle piazze dove i canterini (che solo qualche volta saranno anche stati gli autori) facevano merce della loro recitazione o del loro canto. E vi dev’essere anche rapporto tra analfabetismo (quello di gran parte degli ascoltatori) e anonimato: difficile comprendere il concetto di autore per chi non ha varcato la soglia della scrittura.
Alcune opere letterarie, dalla Commedia alla Gerusalemme liberata, hanno anche goduto di una notevole memorizzazione, e hanno avuto diffusione popolare, ma non uscendo che eccezionalmente dalle coordinate della produzione colta. Tipico l’aneddoto che il Sacchetti (Il Trecentonovelle, CXIV), riprendendolo da Diogene Laerzio (come già don Juan Manuel, che ne fa protagonista un trovatore)6, attribuisce a Dante, irritato perché un fabbro, battendo sull’incudine, «cantava il Dante [cioè la Commedia] come si canta uno cantare [cioè un...