In alto l'Aspidistra
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In alto l'Aspidistra

  1. 352 pagine
  2. Italian
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In alto l'Aspidistra

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Informazioni sul libro

La Londra degli anni Trenta è un mondo in cui il denaro e le convenzioni sociali hanno un ruolo determinante per il futuro di una persona. Gordon Comstock, ultimo rampollo di una famiglia della classe media tormentata dalle difficoltà economiche, avrebbe i numeri per farsi strada, se non fosse che è un poeta e, soprattutto, un ribelle. Decide quindi di sottrarsi alla dittatura del denaro per scrivere il grande poema della sua vita, e accetta un lavoro mal pagato in una squallida libreria. Imbocca così una spirale discendente, in cui rischierà di perdersi, e si salverà solo grazie alla dedizione della fidanzata Rosemary, sempre al suo fianco. In alto l'aspidistra, proposto qui in una nuova traduzione che restituisce in modo attuale le sfumature lessicali dell'originale, è un capolavoro che oggi più che mai urge rileggere, una parodia di un certo mondo intellettuale inglese che per lo sguardo disincantato di Orwell sulla società del tempo anticipa i suoi grandi romanzi distopici scritti nel dopoguerra. Prefazione di Paola Mastrocola.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2022
ISBN
9788831807081
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

IN ALTO L’ASPIDISTRA

I

L’orologio batteva le due e mezza. Nell’ufficetto sul retro della libreria McKechnie, Gordon – Gordon Comstock, ultimogenito di casa Comstock, ventinovenne già piuttosto invecchiato – era stravaccato sul tavolo e col pollice apriva e chiudeva a ripetizione un pacchetto di Player’s Weights da quattro penny.
Il din don di un orologio più lontano – del Prince of Wales, di fronte alla libreria – increspò l’aria stagnante. Con uno sforzo, Gordon si rimise seduto composto e ripose le sigarette in tasca. Moriva dalla voglia di fumare. Gliene restavano soltanto quattro, però. Era mercoledì e non avrebbe incamerato un soldo prima di venerdì. Troppo uno schifo, star senza fumare quella sera e tutto l’indomani.
Già abulico all’idea delle ore senza sigarette, si alzò e si mosse verso la porta – una figuretta fragile, dalle ossa delicate e dai movimenti scattosi. Aveva la giacca consumata sul gomito della manica destra e senza il bottone di mezzo; portava pantaloni di flanella confezionati, macchiati, sformati. Le scarpe, perfino dall’alto si vedeva che avevano bisogno di risuolatura.
Mentre si alzava, i soldi gli tintinnarono nella tasca dei pantaloni. Conosceva con precisione il loro ammontare. Cinque penny e mezzo – due penny e mezzo e un joey. Si fermò, tirò fuori di tasca la squallida monetina da tre penny e la guardò. Che cosa inutile e infame! Cretino lui ad averla accettata! Il giorno prima, comprando le sigarette. «Non le scoccia una monetina da tre penny di resto, vero?» aveva cinguettato quella stronzetta di una commessa. E lui, ovvio, se l’era lasciata rifilare. «Ma no, figuriamoci!» aveva risposto – cretino, imbecille cretino!
Al pensiero di avere solo cinque penny e mezzo al mondo, tre dei quali non poteva neanche spendere, gli venne un tuffo al cuore. Si può comprare qualcosa, infatti, con una monetina da tre? Non è una moneta, è un gioco di parole. Ti senti un idiota a tirarla fuori di tasca, a meno che non stia in mezzo a molti altri spiccioli. «Quant’è?» fai. «Tre penny» dice la commessa. E tu ravani a fondo per cacciar fuori quel cosino assurdo che ti entra intero sulla falangetta come un numerino della tombola. La commessa tira su col naso. Capisce subito che non hai altro al mondo. La vedi lanciare alla monetina un’occhiata in tralice – mentre si chiede se c’è attaccata qualche briciola del Christmas pudding del Natale scorso, dove di certo l’hai trovata. Dopodiché te ne vai tutto impettito, ben sapendo di non poter mai più rimettere piede in quel posto. No! Il joey non lo si spende. Restavano due penny e mezzo – due penny e mezzo da farsi bastare fino a venerdì.
Era la controra morta, clienti pochi o nessuno. Gordon era in compagnia di settemila libri. La stanzetta scura da cui si accedeva all’ufficio odorava di polvere e carta ammuffita ed era piena di libri fino all’orlo, quasi tutti vecchi e invendibili. Sui ripiani in cima, sotto il soffitto, i volumi in quarto di enciclopedie fuori commercio dormicchiavano su un fianco, come pile di bare nelle fosse comuni. Gordon scostò le tende blu appesantite dalla polvere dietro le quali si accedeva nell’altra stanza. Era meglio illuminata e conteneva la biblioteca dei libri in prestito. Una di quelle da due penny e niente deposito, predilette dai ladruncoli. Dentro, manco a dirlo, solo romanzi. E che romanzi! Ovvio anche questo. I romanzi, un esercito di ottocento effettivi, tappezzavano tre lati della stanza su su fino al soffitto, fila dopo fila di coste oblunghe e appariscenti, quasi le mura fossero fatte di mattoni multicolori messi in verticale. Erano in ordine alfabetico, Arlen, Burroughs, Deeping, Dell, Frankau, Galsworthy, Gibbs, Priestley, Sapper, Walpole. Gordon li sogguardava con odio profondo. In quel periodo odiava tutti i libri, e i romanzi in particolare. Che orrore, l’idea di tante schifezze scotte e pesanti ammassate tutte insieme. Sformati, sformatini di sugna. Eccolo murato da ottocento tranci di sformato – una cupola detritica. Che pensiero soffocante. Attraversò la porta aperta che dava sulla sala anteriore. Nel farlo, si lisciò i capelli. Un gesto automatico. Poteva esserci una ragazza davanti alla vetrina. Gordon non rubava l’occhio. Era alto a malapena uno e settanta e avendo in genere i capelli troppo lunghi dava l’impressione di essere un po’ grosso di testa. La sua statura non altissima lo metteva sempre vagamente a disagio. Quando si accorgeva di essere guardato si irrigidiva tutto, gonfiava il petto in fuori e assumeva un’espressione alla “crepa!” con cui, a volte, riusciva a ingannare gli ingenui.
Ma fuori non c’era nessuno. La stanza sul davanti, al contrario del resto dell’esercizio, era curata e dall’aria danarosa, con duemila libri suppergiù, senza contare quelli in vetrina. A destra, una vetrinetta con i libri per bambini. Gordon distolse lo sguardo da un’infame sovraccoperta illustrata in stile Arthur Rackham: bambini follettosi saltellavano alla Wendy in mezzo a un praticello di campanule. Guardò oltre la porta d’ingresso, a vetri. Giornataccia, si alzava pure il vento. Cielo carico, strade scivolose. Era il 30 novembre, sant’Andrea. La libreria McKechnie si trovava all’angolo di una specie di piazzetta informe, su cui convergevano quattro strade. A destra, appena visibile dall’ingresso, un grande olmo, in quel momento spoglio, stagliava i suoi molteplici rametti come un pizzo color seppia contro il cielo. Di fronte, accanto al Prince of Wales, grandi cartelloni pubblicizzavano cibi e farmaci industriali, esortando il prossimo a devastarsi le budella con pattume sintetico. Una galleria degli orrori di facce da bambola – rosa, inespressive, trasudanti un ottimismo idiota. Bell-Ona Mix, Cereali Frument-Or (SON CAPRICCI, SENZA FRUMENT-OR), Vini Kangaroo, Vitamalt Barretta, Bovex. Più di tutti, era il Bovex ad angustiare Gordon. Un impiegato con gli occhiali, faccia da topo e capelli a palla da biliardo, seduto in una tavola calda sorrideva dietro un tazzone bianco di estratto di carne Bovex. CORNER TABLE SI GODE UN PRANZETTO A BASE DI BOVEX era la didascalia.
Gordon cambiò fuoco allo sguardo. La sua faccia riflessa nel vetro opacizzato dalla polvere gli restituì l’occhiata. Non una bella faccia. Non ancora trentenne ma invecchiata. Pallidissima, con persistenti rughe amare. Una fronte come si dice “importante” – alta, cioè – ma il mento piccolo e aguzzo, perciò il volto nel suo insieme dava un’idea di pera, anziché di ovale. Capelli spettinati color topo, bocca antipatica, occhi nocciola tendenti al verde. Riallargò lo sguardo. Odiava gli specchi, in quel periodo. Fuori, tutto spoglio e invernale. Un tram, come un rauco cigno ferroso, scivolava lamentosamente sopra il lastricato e sulla sua scia il vento spazzava resti di foglie morte. I ramoscelli dell’olmo erano scossi, tirati verso oriente. Il cartellone del Bell-Ona Mix aveva un angolo strappato; un lembo di carta sbatacchiava come un gagliardetto, a intervalli irregolari. Anche nella traversa a destra i pioppi spogli si piegavano di netto, quando li coglieva il vento. Un vento aspro, cattivo. Mandava raffiche dal tono spaventoso; il primo ringhio della furia invernale. La mente di Gordon si sforzò di partorire un paio di versi.
Sui pioppi qualcosa... Sui pioppi cedevoli? No meglio ripiegati. Brutta l’allitterazione pioppi ripiegati? Chi se ne frega. Sui pioppi ripiegati e nudi. Va bene.
Il vento qualcosa... Vediamo, il vento spaventoso? No, meglio minaccioso. Il vento minaccioso sbuffa... No, sterza, va’.
Sui pioppi ripiegati e nudi,
Il vento minaccioso sterza.
Va bene. “Sterza” è uno schifo per la rima, però c’è sempre “sferza”, con cui ogni poeta litiga da Chaucer in poi. Ma la mente di Gordon aveva perso slancio. Giocherellò coi soldi in tasca. Due penny e mezzo più un joey – due penny e mezzo, cioè. Era così scocciato da avere la mente appiccicosa. Impossibile gestire rime e aggettivi. E come si fa, con due penny e mezzo in tasca?
Rimise a fuoco lo sguardo sui cartelloni di fronte. Schifo di una roba orrenda. Aveva le sue ragioni per odiarli. Rilesse gli slogan in automatico. VINI KANGAROO – ROSSO INGLESE. BELL-ONA MIX, E FAI FELICE IL MARITINO. TUTTI IN BICICLETTA, CON VITAMALT BARRETTA. SE SEI UN INTELLETTUALE È LA FORFORA, FA MALE. SON CAPRICCI, SENZA FRUMENT-OR. GENGIVITE – CHI, IO? CORNER TABLE SI GODE UN PRANZETTO A BASE DI BOVEX.
Ah! Un cliente – potenziale, quantomeno. Gordon si irrigidì. A rimanere sullo stipite riuscivi a guardare in tralice fuori dalla vetrina grande senza essere visto a tua volta. Esaminò il potenziale.
Mezza età, non malvestito, completo nero, bombetta, ombrello, borsa di pelle – leguleio provinciale o segretario comunale – sbirciava la vetrina con due occhioni celestissimi. Con due occhioni colpevoli. Gordon ne seguì lo sguardo. Ah, ecco! Ha scovato le prime edizioni di Lawrence lì nell’angolino. Sbava per qualche porcheria, chiaro. Avrà avuto un vago sentore di Lady Chatterley. Che brutta faccia, pensò Gordon. Pallida, grossa, moscia, dai tratti indecisi. Gallese, a naso... Un protestante nonconformista, di certo. Aveva le classiche borse antianglicane ai lati della bocca. A casa, presidente della Lega immacolata o del Comitato spiagge pulite (scarpe di gomma e torcia elettrica per insidiare le coppie che si baciano sul lungomare), ma adesso a spassarsela in città. Gordon sperò che entrasse. Fosse riuscito a vendergli una copia di Donne in amore. Quanto l’avrebbe deluso!
Macché! L’avvocatucolo gallese si tirava indietro. Schiaffò l’ombrello sottobraccio e se ne andò voltando le virtuose terga. Stasera però, sicuro, il rossore nascosto dalle tenebre, sarebbe entrato in un negozio a luci rosse per comprarsi Cose da pazzi in un convento parigino di Sadie Blackeyes.
Gordon si allontanò dall’ingresso per tornare agli scaffali. Subito a sinistra, uscendo dalla biblioteca, c’erano i libri nuovi o seminuovi – una macchia coloratissima, apposta per catturare l’occhio di chi sbirciava da dietro la porta a vetri sulla strada. Le loro coste snelle e immacolate parevano desiderarti dagli scaffali. «Comprami, comprami!» dicevano. Romanzi freschi di stampa – spose ancora inviolate e bramose di esser deflorate con il tagliacarte –, copie promozionali come giovani vedove ancora in fiore seppure non più vergini e poi, sparsi qua e là a gruppi di cinque o sei, le patetiche rimanenze dei “remainder” sempre speranzose nella loro verginità attentamente preservata. Gordon distolse lo sguardo. I “remainder” gli richiamavano brutti ricordi. Dell’unico triste libriccino che aveva pubblicato a suo nome due anni prima, erano state vendute esattamente centocinquantatré copie prima che finisse tra i “remainder”; e neanche così era andato bene. Passò davanti alle novità e si fermò sugli scaffali subito ad angolo, contenenti altri libri di seconda mano.
In fondo a destra, i libri di poesia. Di fronte a lui, prosa di vario genere. Libri gerarchizzati in alto e in basso, le novità più care ad altezza d’occhio, i meno cari sopra e sotto, sbiaditi. In ogni libreria si svolge una furiosa selezione naturale, all’interno della quale le opere dei vivi gravitano ad altezza sguardo mentre quelle dei morti salgono o scendono – giù nella Gehenna o su in empireo, sempre e comunque via da dove possano essere notate. Nei ripiani in basso marcivano in silenzio i “classici”, sauri estinti d’epoca vittoriana. Scott, Carlyle, Meredith, Ruskin, Pater, Stevenson – nomi a malapena leggibili sulle ampie coste logore. Sui ripiani in cima, pressoché oltre ogni reperibilità possibile, dormivano tozze biografie di duchi. Subito sotto, ancora commerciabile e quindi a portata allungando un braccio, la letteratura “religiosa” – di ogni setta e credo, indiscriminatamente accatastata. L’universo dell’oltre, dallo stesso autore di Sono stato toccato dagli spiriti. Vita di Cristo del diacono Farrar. Gesù primo membro del Rotary. L’ultimo libro di propaganda cattolica di padre Hilaire Chestnut. La religione vende sempre, purché sia un tanto sentimentaloide. Ancora in basso, proprio ad altezza d’occhio, i contemporanei. L’ultimo Priestley. Cosine carucce per lettori “medi”. “Umorismo” per tirarsi su, da Herbert, Knox, Milne. E anche roba intellettuale. Un paio di romanzi di Hemingway e Virginia Woolf. Biografie predigerite in stile simil-Strachey. Libri boriosi e ricercati su poeti e pittori non troppo complessi scritti da giovani animali danarosi capaci di scivolare con grazia da Eton a Cambridge e da Cambridge alle riviste letterarie.
Gordon fissava quelle libresche pareti con sguardo vuoto. Odiava tutti i libri in blocco, vecchi e nuovi, intellettuali e popolari, boriosi e cinguettanti. Gli bastava guardarli per ricordarsi la sua improduttività. Eccolo lì, uno “scrittore”, in teoria, incapace di “scrivere” però! Non era solo questione di non riuscire a pubblicare; non produceva niente, o quasi. Mentre le fesserie accatastate sugli scaffali... insomma, quelle almeno esistevano; in un certo senso, erano un traguardo. Perfino gente come Dell e Deeping produceva il suo mezz’ettaro annuale a stampa. Ma più di tutto odiava la boria dei libri “acculturati”. La critica e la prosa d’arte. Il tipo di roba che gli animali danarosi usciti da Cambridge producevano praticamente a occhi chiusi – lui stesso l’avrebbe fatto, con un po’ più di soldi. Soldi e cultura! In un posto come l’Inghilterra, senza soldi non ti acculturi più di quanto non entri al Cavalry Club. Con il gesto automatico di un bimbo che si dondola un dente da latte, tirò fuori un volume dall’a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Orwell e il mito dell’artista-contro. di Paola Mastrocola
  4. In alto l’aspidistra. L’ultimo “romanzo” di George Orwell. di Daniele Petruccioli
  5. Avvertenza
  6. In alto l’aspidistra
  7. George Orwell. Chi era, chi è
  8. Cronologia della vita e delle opere
  9. Copyright