La porta stretta
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La porta stretta

  1. 216 pagine
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La porta stretta

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Primo grande successo letterario di Gide, La porta stretta - il cui titolo richiama la parabola del Vangelo di Luca sull'importanza della fede - racconta di una forma di eroismo esistenziale: la costrizione volontaria, che inevitabilmente conduce alla tragedia. Tra le pagine di questo romanzo, nel quale si può cogliere l'eco letteraria della parabola esistenziale dell'autore, troviamo Alissa e Jérôme, cugini che si amano di un amore casto, platonico: un sentimento puro, potente e ricambiato, nonostante il quale e a causa del quale Alissa si abbandonerà alla morte per volontario sacrificio religioso. Un rapporto contrastato, quello che tratteggia Gide senza fornire al lettore facili giudizi, tra natura e cultura, tra l'ideale e il sensuale, irrisolto e forse insolubile. Riproposta nella storica traduzione di Oreste Del Buono per la prima edizione BUR, La porta stretta (1909) è l'opera di un narratore maturo che volendo fare "la satira dell'idealismo" scrive invece "un toccante romanzo idealistico" e testimonia la sua lotta spirituale tra rigida educazione borghese e scoperta della propria sessualità.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2022
ISBN
9788831807036
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

Capitolo V

Il mio amore era la sola ragione di vita che mi riconoscevo, e mi aggrappavo a esso: non desideravo nulla, non volevo desiderare nulla che non provenisse dalla mia amata.
Il giorno dopo, mentre mi preparavo ad andar a trovare Alissa, la zia mi fermò e mi porse questa lettera, appena ricevuta:
«...La grande agitazione di Juliette ha ceduto solo verso la mattina alle medicine prescritte dal dottore. Supplico Jérôme di non venire per qualche giorno. Juliette potrebbe riconoscerne il passo o la voce, e le è necessaria la più grande calma...
Temo che le condizioni di Juliette mi debbano trattenere qui. Se non riesco a ricevere Jérôme prima della sua partenza, digli, cara zia, che gli scriverò...»
La consegna prendeva di mira soltanto me. La zia, chiunque altro, erano tutti liberi di suonare alla porta dei Bucolin; e la zia contava di andarvi quella mattina stessa. Il rumore che potevo fare? Che pretesto mediocre!... Non importa.
«Va bene. Non andrò.»
Mi costava molto rinunciare a veder subito Alissa; tuttavia temevo quell’incontro: temevo ch’ella mi considerasse responsabile delle condizioni della sorella, e mi riusciva più facilmente tollerabile l’idea di non rivederla che quella di rivederla irritata.
Volli rivedere almeno Abel.
Alla sua porta, una domestica mi consegnò un biglietto:
«Lascio queste due righe perché tu non ti preoccupi. Rimanere a Le Havre, così vicino a Juliette, m’era insopportabile. Mi sono imbarcato per Southampton ieri sera, quasi subito dopo averti lasciato. Terminerò queste vacanze a Londra, in casa di S... Ci ritroveremo a scuola.»
...Ogni soccorso umano mi sfuggiva allo stesso tempo. Non prolungai maggiormente un soggiorno che mi riservava solo dolore, e tornai a Parigi, rientrando a scuola in anticipo. Rivolsi i miei sguardi a Dio, a Colui «dal quale deriva ogni vera consolazione, ogni grazia e ogni dono perfetto». A Lui offrii il mio dolore. Pensavo che anche Alissa doveva rifugiarsi in Lui, e il pensiero che lei pregava, incoraggiava ed esaltava la mia preghiera.
Molto tempo trascorsi in meditazioni e studi: unici avvenimenti furono le lettere che Alissa mi scriveva e quelle che le scrivevo io. Ho conservato ogni sua lettera; i miei ricordi, d’ora in poi confusi, vi si ritrovano...
Dalla zia – e da lei soltanto dapprima – ebbi notizie di Le Havre; da lei appresi quante inquietudini avessero provocato i primi giorni le penose condizioni di Juliette. Dodici giorni dopo la mia partenza ricevetti infine questo biglietto da Alissa:
«Perdonami, caro Jérôme, se non t’ho scritto prima. Lo stato della nostra povera Juliette non me n’ha lasciato il tempo. Dopo la tua partenza non l’ho più abbandonata. Avevo pregato la zia di darti mie notizie e credo che l’abbia fatto. Saprai dunque che da tre giorni Juliette va migliorando. Ringrazio già Dio, ma non oso ancora rallegrarmi.»
Pure Robert, del quale sino a ora vi ho appena parlato, aveva potuto fornirmi qualche notizia delle sorelle essendo rientrato a Parigi qualche giorno dopo di me. Pensando a loro m’occupai di Robert più di quanto mi suggerisse la naturale inclinazione del mio carattere; ogni volta che la scuola d’agraria, da lui frequentata, lo lasciava libero, m’interessavo di lui e cercavo di distrarlo.
Così, per mezzo suo, appresi quanto non osavo chiedere ad Alissa o alla zia: Edouard Teissières s’era recato molto spesso a chieder notizie di Juliette; ma, allorché Robert era partito da Le Havre, Juliette non aveva ancora rivisto il suo pretendente. Seppi anche che Juliette, dopo la mia partenza, aveva conservato nei confronti della sorella un ostinato silenzio che nulla aveva potuto vincere.
Dalla zia appresi poco dopo che Juliette desiderava fosse al più presto reso ufficiale quel fidanzamento che Alissa, mi pareva di saperlo, sperava venisse presto rotto. Questa decisione, contro la quale consigli, ingiunzioni, suppliche s’infrangevano, le solcava la fronte, le bendava gli occhi, la imprigionava nel suo Silenzio...
Trascorse tempo. Ricevevo da Alissa, cui, d’altra parte, non sapevo che scrivere, solo biglietti estremamente deludenti. La spessa nebbia invernale mi circondava; la lampada da tavolo, e tutto il fervore del mio amore e della mia fede non erano in grado, ahimè, di allontanarmi compiutamente la notte e il freddo dal cuore. Altro tempo trascorse. Poi, un mattino d’improvvisa primavera, giunse una lettera d’Alissa a mia zia, assente in quel momento da Le Havre – e la zia me ne comunicò il contenuto. Trascrivo qui da quella lettera qualche brano che può illuminare questa storia:
«...Ammira la mia docilità; secondo il tuo desiderio ho ricevuto Teissières; ho parlato a lungo con lui. Riconosco che s’è dimostrato perfetto, e comincio quasi a credere, lo confesso, che questo matrimonio potrà riuscire meno infelice di quanto abbia dapprima creduto. Certo, Juliette non l’ama; ma lui mi pare di settimana in settimana sempre meno indegno d’essere amato. Parla della situazione con chiarezza e non s’inganna quanto al carattere di mia sorella; ma confida molto nell’efficacia del suo affetto per lei e si vanta che non esista nulla che la sua tenacia non possa vincere. Cioè è proprio innamorato.
Effettivamente sono molto commossa per tutte le attenzioni che Jérôme ha per mio fratello. Penso che si comporti in tal modo per dovere, poiché il carattere di Robert non è molto congeniale al suo – e forse anche per far piacere a me – ma indubbiamente ha già potuto comprendere come più il dovere che uno si assume è arduo, più educa l’anima e l’eleva. Ma che riflessioni sublimi! Non sorridere troppo della tua nipote maggiore, poiché proprio questi pensieri mi sostengono e m’aiutano a considerare il matrimonio di Juliette come un bene.
Quanto m’è gradita la tua affettuosa sollecitudine, carissima zia!... Ma non credere che sia infelice; posso quasi dire: è tutto il contrario, poiché la prova che ha appena scosso Juliette ha avuto il suo contraccolpo in me. Quelle parole della Scrittura che ripetevo senza troppo comprenderle si sono improvvisamente chiarite ai miei occhi: “Sventura all’uomo che ripone la sua speranza nell’uomo”. Molto tempo prima di ritrovarmele nella Bibbia avevo letto queste parole su una piccola immagine di Natale che Jérôme m’aveva inviato quando non aveva ancora dodici anni e io ero sui quattordici. C’erano, su quell’immagine, a lato d’un fascio di fiori che allora ci sembravano molto belli, questi versi, una parafrasi di Corneille:
Quel charme vainqueur du monde
vers Dieu m’élève aujourd’hui?
Malheureux l’homme qui fonde
sur les hommes son appui!1
ai quali confesso di preferire infinitamente il semplice versetto di Geremia. Senza dubbio Jérôme allora aveva scelto l’immagine senza prestare molta attenzione ai versi. Ma, se devo giudicare dalle sue lettere, la sua disposizione d’animo è adesso molto simile alla mia, e ringrazio ogni giorno Iddio di averci insieme avvicinati a Lui.
Ricordandomi della nostra conversazione, non gli scrivo più così a lungo come in passato, per non turbarlo nel suo lavoro. Certamente troverai che, in compenso, parlo tanto di lui; per paura di continuare, pongo subito fine a questa lettera; per questa volta non rimproverarmi troppo.»
Quante riflessioni m’ispirò tale lettera! Maledissi l’indiscreto intervento della zia (che cos’era mai quella conversazione cui Alissa alludeva e che m’era valsa il suo silenzio?), la malaccorta premura che la spingeva a comunicarmi questo. Se già mal sopportavo il silenzio d’Alissa – ah! – era mille volte meglio lasciarmi ignorare che lei scriveva a qualche altro quanto non mi diceva più! Tutto m’irritava in quella lettera: sentirla raccontare con tanta facilità alla zia i nostri minimi segreti, il tono di naturalezza, e la tranquillità, le note serie e allegre...
«Ma no, povero amico mio! nulla t’irrita, in questa lettera, tranne il fatto che non t’è indirizzata» mi disse Abel, mio compagno di tutti i giorni, Abel cui solo potevo parlare e verso il quale, nella mia solitudine, mi spingevano continuamente la debolezza, il gemebondo bisogno di simpatia, la diffidenza in me stesso, e, nel mio impaccio, il credito che accordavo ai suoi consigli, nonostante la diversità delle nostre nature, o magari a causa d’essa...
«Studiamo questo foglio» disse spiegando la lettera sul suo scrittoio.
Tre notti erano già passate sulla mia irritazione, che avevo saputo conservare per quattro giorni nel mio cuore! Ero quindi maturo per quanto il mio amico seppe dirmi:
«La partita Juliette-Teissières, l’abbandoniamo al fuoco dell’amore, non è vero? Sappiamo bene che potenza abbia la fiamma. Perbacco! Teissières mi sembra perfetto come farfalla da bruciare...».
«Non parliamo di questo» dissi, imbronciato per le sue spiritosaggini. «Occupiamoci del resto della faccenda.»
«Il resto?» disse. «Tutto il resto è per te. E lamentati anche! Non una riga, non una parola che non siano dominate dal pensiero di te. È come dire che l’intera lettera t’è indirizzata; zia Félicie, inviandotela, l’ha solo restituita al suo vero destinatario; in mancanza di te, Alissa si rivolge a questa brava donna come alla prima persona che le capita a tiro; chi sa quanto possono interessare a tua zia i versi di Corneille – che tra parentesi, sono di Racine – è con te che lei parla, ti assicuro; a te dice tutte queste belle cose. Sei uno sciocco, e solo uno sciocco, se tua cugina, prima di due settimane, non ti scrive tutto, a lungo, quietamente, naturalmente...»
«Non mi pare affatto avviata per questa strada!»
«Sta a te fargliela imboccare! Vuoi il mio consiglio? Non bisbigliar più una parola d’amore, da ora in poi... per parecchio tempo; non parlar più del vostro matrimonio: non ti rendi conto che, dopo l’incidente di sua sorella, lei non vuol sentirne parlare? Sfrutta l’affetto fraterno e scrivile incessantemente di Robert, dato che possiedi la pazienza necessaria per occuparti d’un cretino simile. Continua semplicemente a interessare la sua intelligenza; tutto il resto verrà da sé. Ah! se toccasse a me scriverle!...»
«Non saresti degno d’amarla.»
Tuttavia seguii il consiglio di Abel; e ben presto le lettere d’Alissa ritornarono a essere vivaci; ma non potevo aspettarmi da parte sua manifestazioni di gioia o d’abbandono completo prima che la salute, se non la felicità di Juliette, non fosse ristabilita. Le notizie che Alissa mi forniva della sorella andavano migliorando. Il matrimonio doveva celebrarsi in luglio. Alissa mi scrisse di essere convinta che per quella data Abel e io fossimo trattenuti a Parigi dagli studi... Capii che giudicava preferibile una nostra assenza alla cerimonia, e prendendo a pretesto qualche esame, ci contentammo d’inviare i nostri auguri.
Una quindicina di giorni dopo il matrimonio, mi arrivò questa lettera da Alissa:
«Caro Jérôme,
Pensa al mio stupore di ieri, quando aprendo a caso il bel Racine che mi hai donato, vi ho trovato i quattro versi della tua vecchia immagine di Natale, che conservo da quasi dieci anni nella mia Bibbia.
Quel charme vainqueur du monde
vers Dieu m’élève aujourd’hui?
Malheureux l’homme qui fonde
sur les hommes son appui!2
Li credevo estratti da una parafrasi di Corneille e confesso che non li trovavo precisamente molto belli. Ma, proseguendo la lettura della quarta cantica spirituale, mi sono imbattuta in strofe tanto belle che non posso trattenermi dal trascrivertele. Certamente tu le...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. di Oreste Del Buono
  4. Cronologia della vita e delle opere
  5. Bibliografia
  6. LA PORTA STRETTA
  7. Capitolo I
  8. Capitolo II
  9. Capitolo III
  10. Capitolo IV
  11. Capitolo V
  12. Capitolo VI
  13. Capitolo VII
  14. Capitolo VIII
  15. Diario di Alissa
  16. Epilogo
  17. Copyright