La cosa più bella delle citazioni altrui è poterle fare proprie. Imbatterti in una manciata di parole che qualcun altro ha messo in fila e che, con un’accuratezza disarmante, riassume il tuo pensiero. Anzi, di più, se ne fa portavoce. A me è capitato leggendo Philip Roth: “Tutto ciò che non sappiamo è stupefacente. Ancor più stupefacente è quello che crediamo di sapere”. L’aspetto che più mi interessa di questa affermazione ha a che fare con le migliaia di input che rielaboriamo ogni giorno e che ci restituiscono un’immagine di realtà chiara e cristallina, in cui non siamo mai sfiorati dal dubbio che le cose non siano come ci appaiono. Alcuni esempi mi aiuteranno a percorrere con scioltezza i tornanti di questa riflessione.
Immaginiamoci come viaggiatori al volante della nostra automobile. Scegliete il modello che preferite: c’è chi si immaginerà alla guida di una Ferrari e chi preferirà invece un’utilitaria robusta e affidabile. Non cambia il fatto che ognuno di noi è in marcia sulla strada della vita. Ciascuno è responsabile della velocità alla quale guida, delle tappe del suo viaggio, di quando e dove fermarsi, di quale direzione prendere. Le strade sono tante e le alternative possibili esponenzialmente maggiori: ognuno sceglierà un percorso differente. Cosa accomuna tutti noi viaggiatori? Su qualunque strada, trafficata o meno, sterrata, scoscesa o facilmente percorribile, siamo tutti in grado di reagire istintivamente alle più disparate situazioni. Riusciamo, ad esempio, ad accorgerci subito che il guidatore nella corsia accanto ha perso il controllo dell’automobile. Recepiamo tanti stimoli cui rispondiamo all’istante. Questa capacità è chiamata dallo psicologo israeliano Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia, “intuizione esperta”. Pensate ad esempio al campione di scacchi che gettando un’occhiata alla scacchiera determina subito la mossa vincente. Ecco un’intuizione esperta. O ancora, pensate al medico che a una prima visita al paziente riesce a elaborare una diagnosi complessa. Spesso ci meravigliamo di fronte a questo tipo di intuizioni esperte. Ma le nostre capacità intuitive quotidiane non sono da meno, forse sono solo meno esperte. Se mentre siamo in auto riceviamo una telefonata, siamo in grado di capire dal tono di voce del nostro interlocutore se qualcosa non va (alla guida però rispondiamo con il vivavoce, mi raccomando!). La nostra capacità intuitiva è molto sviluppata, e ci torna utile in un’infinità di occasioni. L’intuizione è corroborata dall’esperienza: riconosciamo l’ira o la paura nel tono di voce di una persona perché abbiamo familiarità con queste emozioni. Lo scacchista ha familiarità con la scacchiera e con il gioco degli scacchi. Il medico ha dedicato almeno un decennio allo studio e alla pratica della medicina. In Pensieri lenti e veloci, Kahneman scrive: “Quando ci si trova davanti un problema e l’individuo ha competenza nel settore, riconosce la situazione e la soluzione intuitiva che gli viene in mente è solitamente corretta”. E infatti anche noi di fronte ai problemi quotidiani ci sentiamo preparati. Abbiamo accumulato una certa dose di esperienza del mondo e, grazie alle nostre capacità intuitive, ci possiamo sedere al volante della nostra auto e sentirci sicuri. Ma se vi dicessi che a un certo punto del tragitto c’è la concreta possibilità di imbattersi in un gigantesco elefante, che pascola fuori dal finestrino, senza riuscire a vederlo? Pensereste che non è possibile.
L’ultima volta che ho fatto questo esempio ai miei studenti, era una quarta di un istituto alberghiero, sono scoppiati a ridere. «Un elefante, prof?» mi disse uno studente. «Non credo che ce ne siano tanti qui intorno.»
«L’elefante è una metafora, Antonio. Puoi sostituirlo con qualcosa di tuo piacimento, a patto che sia abbastanza ingombrante» gli risposi ridendo. «Il punto, in ogni caso, è che a volte crediamo di sapere tutto ciò che c’è da sapere sulla realtà, ma è la nostra mente a ingannarci. E le nostre capacità intuitive, tanto utili in certi contesti, ci offuscano la visuale perché ci fanno sentire troppo sicuri di noi stessi.» Capii in quel momento che avremmo divagato dal programma durante quelle due ore, e così è stato. Ci addentrammo in una riflessione interessante che ho deciso di riportare in questo capitolo.
«Spesso utilizziamo il pensiero intuitivo in vari contesti: assegnare la probabilità che un evento si verifichi, valutare possibilità, ipotesi e alternative nella soluzione di un problema, stimare una frequenza, interpretare una statistica» dissi. «In tutti questi compiti, se ci affidassimo solo alla nostra intuizione, saremmo soggetti a errori, i cosiddetti “bias”. Vi interessa approfondire la questione?» chiesi. Cerco sempre di non imporre gli argomenti ai miei studenti quando ci discostiamo dal programma; sono convinta che la conoscenza sia un lungo percorso di co-costruzione e che i percorsi didattici debbano essere elaborati passo a passo insieme agli studenti.
La risposta della classe fu positiva e iniziai a introdurre le basi dei concetti spiegati da Kahneman, i cosiddetti “Sistema 1” e “Sistema 2”. Alla base del pensiero intuitivo, il cosiddetto “pensiero veloce”, sta una serie di processi automatici, rapidi e spesso inconsci. Questo è il Sistema 1. «Il Sistema 1 è quello che ci fa reagire istintivamente quando tornate a casa dopo una serata con gli amici e siete in ritardo. E per di più non avete risposto al telefono tutta la sera a vostra madre. Infilate le chiavi nella toppa, aprite la porta e là in piedi ad aspettarvi c’è lei, con un’espressione inferocita. Nel momento esatto in cui la vedete, stabilite con accuratezza che è arrabbiata, anzi, incavolata nera. Sapete che vi dirà qualcosa di tagliente. Lo percepite anche se non vi sforzate di interpretare il suo stato d’animo. È una reazione involontaria e istantanea. Ecco un esempio di pensiero veloce. Il Sistema 1 entra in funzione in questo modo: agisce in fretta e senza sforzo.»
Veniamo ora al Sistema 2. Non ricordo l’operazione che scrissi sulla lavagna ma a voi propongo questa. Provate a svolgere questo semplice calcolo:
12 X 25 = ?
Ora che la risposta intuitiva non basta, il vostro cervello è impegnato a eseguire il compito: ecco un pensiero lento. Ci vuole tempo e concentrazione, tanto che ora, se state provando a eseguire l’operazione, non sareste in grado di parcheggiare la vostra macchina in un luogo molto affollato. Il vostro Sistema 2 è entrato in azione e vi sta dicendo: «Stai calmo. O una cosa o l’altra». La caratteristica principale del Sistema 2 è che subentra quando dobbiamo svolgere attività complesse che richiedono concentrazione. Ecco perché le attività che svolgiamo grazie al Sistema 2 sono annullate se l’attenzione viene distolta. Perderemmo le fila del nostro calcolo se provassimo a eseguirlo mentre parcheggiamo, concentrati nelle manovre.
Eppure, anche il Sistema 1 ha un ruolo nel fare i conti: l’intuizione suggerisce che il risultato è ragionevolmente più basso di 700 e più alto di 120. Ma ho bisogno del Sistema 2 per arrivare alla soluzione, che è 300 (come arrivare al risultato senza avere la calcolatrice, o almeno carta e penna, richiede tempi diversi e strategie differenti in relazione alla nostra modalità e abitudine nel calcolare).
«In pratica, prof» mi interruppe un’alunna, Silvia, «il Sistema 2 ci serve quando il Sistema 1 non basta, da solo, a darci una soluzione».
«Esatto. Il punto è che il Sistema 2 è estremamente pigro, e spesso la nostra mente funziona in una sorta di “risparmio energetico”. Siamo vigili e presenti a noi stessi, ma spesso ci affidiamo al Sistema 1 per osservare e interagire con il mondo senza scomodare il pigro pensiero lento. Oppure serve per controllare se le decisioni prese dal Sistema 1 sono corrette.»
Al termine di questa spiegazione, Tommaso, il più vivace della classe, obiettò che lui non si sentiva così sprovveduto e che confidava molto nella sua capacità di ragionamento.
Fu un ottimo intervento, perché mi dette modo di correggere il senso delle mie parole. Non è questione di essere più o meno intelligenti, più o meno sprovveduti: nella divisione dei compiti tra pensieri lenti e veloci, tra il nostro pensiero intuitivo e una riflessione oculata, non sta il divisore dell’intelligenza. Tant’è che, come sottolinea Kahneman, questa divisione dei compiti funziona benissimo. È ottimale e ottimizzata dall’evoluzione. Sarebbe una tragedia se vivessimo dubitando di ciò che ci circonda, perdendoci in complicati ragionamenti. Immaginatevi di sentire un forte odore di bruciato mentre vi trovate in un edificio affollato. Il vostro istinto vi dice di andarvene subito, di anticipare l’allarme antincendio, evitando la pericolosa ressa da panico. Potreste mettervi in salvo oppure contraddire il vostro istinto e attendere che suoni l’allarme. Poi, una volta che lo udite, potreste chiedervi se non sia per caso difettoso. Potreste, anziché dirigervi verso le uscite di emergenza indicate dai cartelli, cercare di recuperare la planimetria originale dell’edificio per verificare voi stessi che la strada sia quella giusta. Ecco, non fatelo. Correte immediatamente fuori da quel palazzo!
L’istinto ha giocato un ruolo importante nella nostra evoluzione: siamo programmati così in modo da fare affidamento su entrambi i sistemi, e la nostra intuizione è un bellissimo regalo in certi contesti. Diventa un ostacolo solo quando, di fronte a un problema più complesso, scegliamo di non andare oltre, di non scomodare il pensiero lento, il Sistema 2. È allora che incorriamo in errori cognitivi, i cosiddetti “bias”. Dobbiamo imparare come vedere l’elefante che sta proprio davanti a noi in mezzo alla strada. E non riuscire a vederlo capita a molte persone, tra cui la metà degli studenti di Harvard, ad esempio. È un elefante perché basterebbe sapere che possiamo scomodare il Sistema 2 per vedere la realtà sotto un’altra prospettiva. Chiunque, se si allenasse a utilizzare il Sistema 2, potrebbe farlo con la stessa facilità con cui vedremmo, appunto, un elefante sul ciglio della strada. È solo questione di esercizio! L’importante è non sentirsi mai inadeguati e riconoscere quando la nostra percezione ci inganna.
In classe proposi agli studenti di guardare questo disegno e indicare quale fosse il segmento più lungo.
Lorenzo alzò la mano. «Il secondo.»
Silvia intervenne: «È un’illusione, prof. Sono lunghi uguali!». Qualche altro compagno che si era già imbattuto nella famosa illusione di Müller-Lyer annuì. Misurando i segmenti con il righello si scoprirà infatti che sono della stessa lunghezza.
«Il nostro pensiero veloce ci ha suggerito che i due segmenti fossero di lunghezze diverse. E questo spiega molto bene come funziona il Sistema 1: non smetteremo mai di vedere questi due segmenti in questo modo, nemmeno se sappiamo che sono lunghi uguali. Per combattere questa illusione, dobbiamo imparare a non fidarci sempre delle nostre impressioni.»
«A non fidarci sempre delle nostre impressioni davanti all’immagine di Müller-Lyer…» aggiunse una studentessa con ironia. Sembra una battuta ma è un’osservazione acuta: certo, ora abbiamo imparato che non possiamo fidarci della nostra impressione quando vediamo due segmenti con attaccate delle “virgolette”. Però non esiste un manuale dei casi di bias da studiare a memoria per essere sempre preparati. La soluzione è appunto, tornando alla citazione di inizio capitolo, imparare a metterci in discussione.
Mostrai alla classe la scena di un film che amo molto, Interstate 60. Non voglio rivelarvi troppo sulla trama e sui suoi protagonisti, vi basti sapere che un uomo sfida un altro a leggere ad alta voce il seme di una sequenza di carte, fatte scorrere sempre più velocemente davanti ai suoi occhi. Sembra un gioco molto semplice. Cuori, fiori, picche, quadri, fiori… così via. Solo al termine del gioco, lo sfidato capisce il suo errore: in quel mazzo, i cuori erano neri e le picche rosse. Così si indigna: «Mi hai imbrogliato!» dice allo sfidante, che gli risponde così: «L’esperienza ti ha condizionato a pensare che tutti i cuori siano rossi e tutte le picche debbano essere nere. Vediamo quello che ci aspettiamo di vedere, non necessariamente che cosa c’è nella realtà, non è un caso che i bambini che non hanno mai giocato a carte superino il test».
I condizionamenti e l’esperienza, insieme, determinano l’agire del nostro pensiero veloce. Ecco perché dobbiamo stare in guardia! Affidarci al nostro Sistema 1 nel quotidiano va bene, anzi, è necessario. Ma non dimentichiamoci di esplorare la realtà, e di guardare agli eventi con occhio curioso e attento.
Dal fondo della classe Mariella alzò la mano e mi disse in tono scherzoso che avrei potuto replicare la famosa scena dell’Attimo fuggente, quella in cui il professor John Keating sale sulla cattedra e invita la classe a guardare le cose da un’angolazione differente. «Ah, mi volete far licenziare come lui?» risposi, ridendo a mia volta. «E poi sono troppo vecchia per queste cose!»
Quando discutiamo con la classe argomenti nuovi e iniziamo a confrontarci, so che i miei studenti non si accontentano mai di un approccio semplicistico e sono desiderosi di approfondimenti. Sarò romantica, ma a volte di fronte ai visi curiosi dei miei alunni mi viene in mente l’immagine deliziosa dell’uccellino che aspetta con il becco aperto il cibo nel nido, in attesa di spiccare il volo.
Continuai la lezione: «Abbiamo visto qualche esempio di illusione visiva. Prestate attenzione al vostro modo di pensare e sappiate che non dovete dare adito alla risposta più impulsiva del Sistema 1 in problemi del genere. Ma quando ci troviamo di fronte a problemi di altro tipo, è fondamentale riconoscere le situazioni in cui è probabile incorrere in errori, di solito di fronte a illusioni più insidiose: le illusioni cognitive».
Vorrei sfidare voi lettori con un test, anche questo proposto in classe. È un problema semplice, analogo a un esempio che ho trovato nel libro di Kahneman. Vi invito a risolverlo in un tempo minimo, ascoltando cioè la vostra risposta intuitiva.
«Una caramella e una barretta di cioccolato costano in tutto un euro e dieci centesimi. La barretta costa un euro più della caramella. Quanto costa la caramella?»
In classe, quasi tutti hanno ammesso che la risposta istintiva era… dieci centesimi.
«Se non ce l’avesse chiesto lei in questo contesto, prof, avrei dato la prima risposta istintiva» disse Chiara...