2021. Sara
«Mama, io esco!»
«Dove vai?»
«Vado alla casa di riposo.»
«Ancora? Ma ti pagano per questo volontariato?»
«Certo, milletrecento euro al mese con ferie pagate e tredicesima, come tutti i volontari. Quelli che vanno a costruire le case in Africa? Loro prendono uguale ma hanno il vitto e l’alloggio, fortunati, oh!»
«Bint El-Haram» dice cacciandomi. «Mi hai già stancata.»
Bint El-Haram è un “dolcissimo” e “materno” epiteto che mia madre mi riserva e significa: “figlia del peccato”.
Non è detto con cattiveria, almeno credo, dato che me lo dice così spesso che non so più quando mi sta rimproverando o meno, a volte lo dice persino quando parla da sola.
«Quella Bint El-Haram non mette mai in ordine», «Ma perché Allah mi ha dato una Bint El-Haram così, non mi ascolta mai.»
Traducendolo in italiano in realtà fa ridere perché suonerebbe come: “Figlia del peccato! Devi chiudere i sacchetti! Peccatrice!”.
Figlia del peccato in marocchino is the new figlia disgraziata.
«Bye bye.» Le stampo un bacio sulla guancia, afferro lo zaino ed esco.
Poco dopo arrivo alla casa di riposo dove vado due volte alla settimana da un anno a questa parte.
«Buongiorno!»
«Buongiorno, Sara» mi saluta sorridente la signora alla reception. «Sei in anticipo oggi.»
«Matilde non è ancora sveglia?»
«Certo, è nella sala ricreativa.»
«Perfetto» dico mentre firmo il foglio delle visite. «Grazie, ci vediamo dopo.»
Quando mi addentro nell’atrio incrocio uno degli infermieri della casa di riposo.
«Oh, Sara! Cerca di convincere Matilde a riposare un po’ il pomeriggio, ormai non ascolta più nessuno!»
«E pensi che ascolterà me?» rido mentre continuo a camminare.
Matilde è la signora che mi fu affidata un anno fa dal servizio di volontariato. Il mio compito è quello di fare attività con lei e aiutarla in caso di necessità, anche se in realtà Matilde è quasi completamente indipendente, e a volte sembra che sia più lei a badare a me.
«Salve, Matilde!»
«Sei in anticipo» mi scruta da capo a piedi. «Non è educato arrivare prima, se fossi stata occupata a fare altro?»
«Eri occupata a fare altro?»
«No, ma avrei potuto.» Si sistema i capelli. «E comunque le donne devono arrivare in ritardo.»
Matilde è la tipica signora che quando la guardi pensi a quanto sia affascinante e a quanto deve essere stata bella da giovane. Non l’ho mai vista senza il suo impeccabile rossetto rosso, ombretto o fard rosa sulle guance e nemmeno senza la sua collana di perle, gli orecchini o gli anelli vistosi sulle mani. Le sue rughe segnano la bellezza che è stata e che continua a essere. Ogni tanto si mette una piuma colorata tra i capelli grigi, quasi sempre raccolti, e la tira fuori sventolandotela in faccia quando non vuole ascoltarti o vuole cambiare argomento.
«Arrivare in anticipo è maleducazione ma arrivare tardi invece va bene?»
Matilde alza gli occhi al cielo come se non capissi niente della vita. Le porgo un braccio per aiutarla ad alzarsi ma lei lo rifiuta.
«Se una festa inizia alle nove vuol dire che tu devi andarci alle dieci e fare un’entrata teatrale.» Apre le braccia spiegando il suo foulard azzurro.
«Ora come ora, se qualcuno organizza una festa alle nove, o è un aperitivo o un incontro qui alla casa di riposo.»
«Perché, a che ora iniziano le feste di voi giovani di oggi?»
«Sicuramente non prima della mezzanotte.»
«Cosa? E a che ora della notte tornate a casa?»
«Quando si fa giorno.»
«Cosa?» Si porta una mano sul petto. «Non è per niente opportuno per delle signorine, spero almeno che vi accompagnino a casa dei ragazzi perbene.»
«Oh, quello naturalmente.» La tengo a braccetto mentre passeggiamo nel giardino della casa di riposo. «Ci accompagnano fin davanti al portone…»
«Oh, bene bene.»
«… e poi entrano anche loro.»
«Sei licenziata!» dice con sdegno, sorpassandomi.
«Io sono una volontaria» la raggiungo ridendo. «Non puoi licenziarmi, soprattutto non puoi farlo tu.»
Ogni mese Matilde mi licenzia tipo… sempre.
«Se tu sei la mia volontaria è solo perché il servizio di volontariato ti ha mandato qua e io l’ho permesso ma non ho bisogno dell’assistenza di nessuno.»
«Infatti sei solo in una casa di riposo con assistenza ventiquattro ore su ventiquattro.»
Matilde si ferma e mi guarda con aria gelida.
«Sei licenziata.»
Si sistema il foulard sulle spalle con aria sdegnata, sorpassandomi nuovamente. Matilde, nonostante la sua età avanzata, ha una mente lucidissima e anche fisicamente non è messa male.
Il suo vero problema è il carattere. Da quel che ho saputo dal servizio di volontariato, molti ragazzi a cui era stata affidata hanno richiesto un cambio di servizio o di essere affiancati a qualcun altro. Matilde non è facile da gestire ma a me piace la sua compagnia, il suo comportamento acido, e il suo vivere in un’altra epoca mi diverte. Non so molto della sua storia, se non che ha dei figli di cui non ha mai voluto parlarmi e il fatto che in tutto il periodo in cui sono stata qui nessuno è mai venuto a trovarla.
Mi avvicino di nuovo a lei che alza gli occhi al cielo infastidita.
«Mi hanno comunicato che il pomeriggio non vuoi mai riposare. Dovresti farlo, ti fa bene riposare un po’.»
«I vecchi e i bambini riposano.»
«Be’, tu sei vecchia e ti comporti come una bambina, quindi direi che puoi riposare.»
«Farò un reclamo scritto ai tuoi superiori! Manderò una lettera con l’elenco dei tuoi comportamenti sconvenevoli verso di me! Ragazzina irrispettosa, ho una certa età, devi portarmi rispetto.»
«Hai una certa età solo quando conviene a te.»
«Una lettera che spedirò con la raccomandata!»
«Nooo, la raccomandata nooo.»
Finalmente ci sediamo a uno dei tavolini dove alcune persone leggono il giornale, giocano a dama o semplicemente chiacchierano.
«Quale degli incompetenti che lavorano qui te lo ha comunicato?»
«Sssh» le faccio segno. «Non essere maleducata.»
«Non ho bisogno di dormire. Vogliono solo che io dorma tutto il giorno, sai quanto costa questo posto? Pago per dormire!»
«In realtà fanno un sacco di attività: film, ballo, pittura, letture e tanto altro… ma tu le rifiuti tutte.»
Matilde tira fuori la piuma sbattendomela in faccia per zittirmi, poi si sistema meglio sulla sedia e chiude gli occhi.
Mi sono spesso chiesta cosa le sia successo nella vita e cosa l’abbia portata a non avere più alcun tipo di rapporto con nessuno.
«Come si chiamano i tuoi figli?»
Matilde rimane con gli occhi chiusi senza rispondermi, facendo finta di non avermi sentita.
Mi arriva un messaggio sul cellulare da Manila, una delle due mie amiche più strette, che mi dice di raggiungerla per una riunile.
Una “riunile” è una riunione utile nei momenti più tragici ma che in realtà è inutile. Utile perché si parla del problema consigliandoci e trovando soluzioni, ma inutile perché tanto ognuna alla fine fa quel che vuole.
Dopo qualche minuto di silenzio mi alzo e saluto Matilde, che però non ricambia.
«Se continuerete ad avere discussioni così le farai venire un infarto» mi rimprovera l’infermiere della struttura.
«Oppure la tengo viva e pimpante» rispondo mentre ride.
Esco dalla casa di riposo per raggiungere Manila, curiosa di scoprire cos’ha combinato stavolta.