Per comprendere le origini dei Templari è necessario risalire a circa ottocento anni prima della loro fondazione. Nel corso di quei secoli, due fattori essenziali avevano contribuito a creare le premesse per il sorgere di quest’ordine monastico-militare: l’usanza del pellegrinaggio e la precarietà degli equilibri di potere in Medio Oriente.
Il pellegrinaggio
La pratica del pellegrinaggio, il viaggio del credente verso i luoghi sacri in cerca di illuminazione, di remissione dei peccati o di guarigione fisica, è parte integrante della vita di fede fin quasi dai primordi delle religioni. Nel cristianesimo le sue origini risalgono al IV secolo, quando le autorità ecclesiastiche cominciarono a promuovere la visita ai luoghi santi come cammino di salvezza attraverso il perdono dei peccati. Dio era considerato particolarmente «corruttibile», all’epoca: attraverso le donazioni in favore di istituzioni religiose o le opere di grande devozione – prima fra tutte, appunto, il pellegrinaggio – ci si poteva accaparrare uno «sconto di pena» o persino l’accesso sicuro al Paradiso.
Alcuni storici collocano l’inizio di questa consuetudine intorno agli anni Venti e Trenta del IV secolo. Costantino, primo imperatore romano ad abbracciare la fede cristiana (nel 312), diede lustro alle mete già esistenti e ne creò di nuove; sua madre, l’imperatrice Elena, intraprese il viaggio a Gerusalemme nel 326 e il patrocinio imperiale fece sì che quella pratica acquistasse sempre maggiore popolarità tra gli esponenti dell’élite romana.
Nel Medioevo c’erano importanti santuari cristiani anche in Europa, come la basilica di Santiago di Compostela, in Spagna, e la cattedrale di Canterbury, in Inghilterra, ma la prima destinazione del pellegrino cristiano restava la Terra Santa, e soprattutto Gerusalemme.
Recarvisi permetteva ai credenti di vedere con i propri occhi i luoghi dove era vissuto e morto Gesù. Tra i più popolari c’era il fiume Giordano, dove si poteva rivivere l’esperienza del battesimo di Cristo per mano di Giovanni il Battista, con la speranza di ricevere una purificazione spirituale e persino una guarigione fisica; la meta più venerata, però, era la basilica del Santo Sepolcro, situata sul Golgota, il monte Calvario, che il Nuovo Testamento identificava con il luogo in cui Cristo era stato crocifisso e sepolto, per poi risorgere. La chiesa originaria era stata fatta costruire da Costantino, a partire dal 326, su due siti preesistenti.
All’epoca dei primi pellegrinaggi, la Terra Santa era sotto il dominio cristiano, prima con l’Impero Romano, poi con la sua derivazione, l’Impero Bizantino, ma persino dopo l’espansione dei musulmani in tutto il Medio Oriente, nel VII secolo, i signori locali in genere permettevano agli «infedeli» di attraversare le loro terre per visitare i luoghi della fede cristiana. I musulmani stessi avevano una forte tradizione legata al pellegrinaggio – recarsi alla Mecca, lo ḥajj, è uno dei cinque pilastri dell’islam – e i viaggiatori cristiani erano spesso i benvenuti, in quanto preziosa fonte di reddito: era, in sostanza, una forma arcaica di turismo e la gente del posto era più che ben disposta a spremere un po’ di soldi agli sprovveduti cristiani, con l’imposizione di dazi, la vendita di privilegi, l’offerta di protezione o la semplice estorsione.
Tuttavia compiere quel viaggio era pericolosissimo. Le rotte marittime attraverso il Mediterraneo vedevano frequenti naufragi ed erano infestate di pirati. Le vie di terra erano anche peggio: in Europa, i pellegrini diretti in Terra Santa erano esentati dai pedaggi e protetti dalle cospicue sanzioni applicate a chiunque li aggredisse, ma, una volta giunti in Asia Minore e nei luoghi santi – di solito spostandosi in piccoli gruppi – erano bersaglio dei briganti, che li assalivano e uccidevano per derubarli del denaro cucito nei vestiti. Il fatto che, in genere, dovessero viaggiare disarmati non era certo d’aiuto: erano del tutto indifesi. I loro corpi venivano lasciati a marcire dov’erano caduti, privi di una degna sepoltura, il che rendeva il crimine ancora più odioso agli occhi dei fratelli cristiani.
L’espansione musulmana
Tra il 634 e il 641, forze musulmane presero il controllo di Siria, Persia, Turchia, Armenia e Palestina, con una campagna militare guidata dal califfo Rāshidūn ’Umar, compagno e successore del profeta Maometto. Tra le molte battaglie combattute, una avrebbe avuto profonde ripercussioni sul futuro della regione. Nell’aprile del 637, dopo sei mesi di assedio, Sofronio, patriarca di Gerusalemme, si arrese a ’Umar, ponendo fine al dominio cristiano della città. Si narra che, arrivando, ’Umar smontò dal cammello ed entrò nella Città Santa a piedi, in segno di rispetto. E con un gesto di tolleranza religiosa – atteggiamento raccomandato dallo stesso Maometto –, i dominatori musulmani della regione continuarono a permettere a cristiani ed ebrei di compiere pellegrinaggi a Gerusalemme.
Il successore di ’Umar, il califfo Uthmān, proseguì l’opera di espansione, prendendo Cipro, e, durante un attacco a Costantinopoli, diede alle fiamme la flotta bizantina. L’islam, poi, si diffuse ancora di più sotto la dinastia degli Omayyadi, insediatasi a Damasco nel 661. Nell’VIII secolo le città cristiane della Penisola Iberica, tra cui Siviglia, Granada e Barcellona, furono saccheggiate da eserciti omayyadi. Gli invasori musulmani attraversarono persino i Pirenei, entrando in Francia, dove attaccarono città come Bordeaux, Carcassonne e Tours, prima di essere duramente respinti dal nonno di Carlo Magno, Carlo Martello, nel 732. Riuscirono comunque a occupare parti della Linguadoca e della Provenza per vari decenni. Altrove, territori cristiani continuarono a ritrovarsi sotto attacco.
I dominatori islamici consentivano in genere alle popolazioni sottomesse di professare il proprio culto: monasteri, chiese e comunità dei cristiani in Siria e Palestina proseguirono per lo più a operare. C’erano però varie limitazioni imposte alla pratica delle religioni non musulmane: il divieto, per esempio, di costruire nuove chiese e sinagoghe, di suonare campane e di manifestare pubblicamente la propria fede.
A cristiani ed ebrei era proibito portare armi, andare a cavallo, testimoniare in tribunale contro i musulmani e sposare donne di fede islamica; erano costretti, inoltre, a indossare abiti che li distinguessero dai dominatori. Chiunque fosse sorpreso a fare proselitismo tra gli islamici era punibile con la morte.
L’Europa medievale
Intanto, con il tramonto dell’occupazione romana, tra la metà e la fine del V secolo, e il sorgere dei nuovi regni di origine germanica, l’Europa era sottoposta a una profonda riorganizzazione delle strutture politiche, sociali, economiche e culturali. Anche se le tradizioni di epoca imperiale furono spazzate via, la diffusione del cristianesimo, iniziata sotto i romani, guadagnò slancio e finì per prendere piede in tutta Europa.
Agli albori del secondo millennio, gran parte dell’Europa conobbe una significativa espansione economica e territoriale, nonché un’importante crescita demografica e urbana, e il cristianesimo si conquistò un ruolo centrale nell’esistenza delle persone. Molti si recavano in chiesa quotidianamente e pregavano cinque o più volte al giorno; era credenza comune che esistesse un regno spirituale, parallelo a quello materiale, e che l’Inferno o il Paradiso attendessero ogni defunto. Le cose buone della vita erano considerate un segno del favore divino, le disgrazie arrivavano per colpa dei peccati commessi.
La Chiesa era una colonna portante della società e la religione scandiva le tappe della vita di ognuno, dal battesimo alla sepoltura, passando per matrimonio, confessione, feste comandate ed estrema unzione. Il potere ecclesiastico aveva un ruolo fondamentale nel governo delle nazioni e poteva aiutare un monarca a formare un esercito nell’imminenza di un conflitto. Istituti religiosi come monasteri e conventi erano centri culturali e, al tempo stesso, ricchi e potenti attori sulla scena sociale.
In tutta Europa il cristianesimo, nella forma che sarebbe in seguito diventata il cattolicesimo romano, era la sola religione riconosciuta. Culti pagani, ebraismo e altre fedi esistevano, ma erano malvisti, trattati con sospetto e talvolta perseguitati e oppressi. Nel corso del Medioevo, la Chiesa cattolica ampliò le proprie infrastrutture, costruendo enormi cattedrali e fondando università. Gli esponenti della gerarchia ecclesiastica – vescovi e arcivescovi – contribuivano a plasmare le leggi ed esercitavano una forte influenza a livello governativo. Il vero potere, però, era nelle mani del papato, con sede a Roma. Il papa era al di sopra di chiunque altro, al punto che poteva persino scomunicare un re.
All’interno della Chiesa, tuttavia, si annunciava tempesta. Il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, nel V secolo, aveva trasferito il potere all’Impero Romano d’Oriente – l’Impero Bizantino – di lingua greca e con capitale a Costantinopoli (l’odierna Istanbul, in Turchia). I secoli successivi videro la Chiesa cattolica d’Occidente e quella ortodossa d’Oriente fronteggiarsi in frequenti dispute su questioni teologiche e di supremazia: dispute che, nel 1054, sfociarono nel cosiddetto Grande Scisma. I leader delle due Chiese – il patriarca di Costantinopoli, Michele I Cerulario, e papa Leone IX – si scomunicarono a vicenda, creando una frattura che non si sarebbe mai davvero sanata. Questa divisione accrebbe la reciproca sfiducia tra Oriente e Occidente, aggravata, non molto tempo dopo, dalla perdita di territori dell’Impero Bizantino nell’Italia meridionale a causa dell’invasione dei normanni.
Tensioni crescenti
All’inizio della dominazione musulmana, a Gerusalemme i rapporti tra le religioni erano stati per lo più pacifici. Con il tempo, però, cominciarono a inasprirsi e nel X secolo gli islamici si fecero più aggressivi nei confronti degli infedeli che vivevano tra loro. Nel 938, i cristiani subirono un grave attacco mentre partecipavano alla processione della Domenica delle Palme e il martyrium del Santo Sepolcro fu incendiato, con danni ingenti anche all’adiacente rotonda dell’Anastasis. La basilica fu nuovamente presa d’assalto nel 966, quando il tetto del martyrium fu dato alle fiamme e il patriarca bruciato vivo; l’ingresso orientale fu occupato e convertito in moschea.
Intorno a quell’epoca, lo spirito bellicoso e di conquista si affievolì e l’espansione araba rallentò. I bizantini ottennero importanti vittorie nel Mediterraneo orientale e in Medio Oriente, riprendendosi Creta nel 961, Cipro nel 965, e, dal 969, conquistando Antiochia, Aleppo, Laodicea. Grazie a quest’ultimo successo, controllavano ormai una fascia costiera che si estendeva attraverso la Siria fino a Tripoli e al Libano settentrionale. Nell’intento di ampliare il proprio dominio, nel 975 l’imperatore Giovanni I Zimisce lanciò una campagna militare per la riconquista di Gerusalemme, che era ancora una città a prevalenza cristiana. Riuscì a prendere Damasco, poi Nazareth e Cesarea si sottomisero al suo comando. Le autorità musulmane di Gerusalemme erano pronte a negoziare la resa, ma lui volle prima cercare di impossessarsi delle ultime roccaforti islamiche rimaste sulla costa mediterranea. La sua morte improvvisa fece sfumare l’occasione, lasciando Gerusalemme in mano agli islamici.
All’inizio dell’XI secolo la situazione per i cristiani era peggiorata. Nel 1004 il dominatore sciita di Egitto, Africa settentrionale, Palestina e Siria meridionale, il califfo fatimide al-Ḥākim bi-amri’llāh, lanciò una campagna anticristiana che portò a confiscare beni ecclesiastici, requisire e bruciare croci e dare alle fiamme chiese (il califfato dei Fatimidi, che regnava dall’Egitto, rivendicava la discendenza da Fatima, la figlia di Maometto). Furono emanate leggi anticristiane e compiute frequenti persecuzioni. Nel decennio successivo andarono distrutte più di trentamila chiese, tanti furono costretti a convertirsi all’islam e molti altri fuggirono in territorio bizantino. Nel 1009 al-Ḥākim colpì al cuore la cristianità, ordinando di distruggere la basilica del Santo Sepolcro.
Il califfo scomparve misteriosamente una notte del febbraio 1021 e il suo successore, il figlio Abū al-Hasan ’Alī al-Ẓāhir li-i’zāz al-Dīn Allāh, autorizzò Costantino IX Monomaco, imperatore bizantino dell’epoca, a riedificare la chiesa a proprie (astronomiche) spese. La ricostruzione, iniziata nel 1048, proseguì solo dopo infinite trattative: tra le concessioni fatte dai bizantini ci furono l’apertura di una moschea a Costantinopoli e il rilascio di cinquemila prigionieri musulmani. Abū al-Hasan permise ai pellegrini non musulmani di attraversare le sue terre, ma nel clima di persecuzione vigente i pellegrinaggi erano diventati sempre più pericolosi: uno stato di cose cui contribuiva non poco la diffusa mancanza di leggi in tutto il Medio Oriente. Ai pellegrini furono imposte varie restrizioni: dovevano vestirsi in un certo modo, potevano entrare nelle città soltanto a piedi ed era loro severamente proibito anche solo guardare le donne musulmane.
I Selgiuchidi
Per mantenere saldo il potere, i leader musulmani cominciarono ad appoggiarsi a combattenti stranieri, soprattutto membri di varie tribù altaiche che si erano spostate nei territori del califfato abbaside dal 970 circa. Convertiti di recente al ramo sunnita dell’islam, questi bellicosi nomadi, originari dell’Asia centrale, erano ostili sia agli infedeli sia ai musulmani della diramazione sciita, e miravano a impadronirsi del potere.
Nel 1055, un sultano dei Selgiuchidi, fazione altaica giunta dalle steppe dell’odierno Kazakistan, depose il califfo arabo a Baghdad. Sedici anni dopo, nella battaglia di Manzicerta, in Anatolia orientale, i Selgiuchidi sbaragliarono l’esercito bizantino, massacrando migliaia di soldati e catturandone altrettanti. Assunsero il controllo della Siria settentrionale e nel 1073 strapparono Gerusalemme ai Fatimidi.
La sconfitta bizantina a Manzicerta ebbe ripercussioni in tutta Europa. Nel 1074 l’imperatore bizantino Michele VII invocò, contro i Selgiuchidi, l’aiuto di papa Gregorio VII. Il pontefice era ansioso di prestargli assistenza, ma impegnato in un conflitto per la supremazia tra il papato e quei territori di area germanica che avrebbero in seguito preso il nome di Sacro Romano Impero.
Intanto i Selgiuchidi proseguivano la loro espansione territoriale. Nel 1076 sottrassero Damasco ai Fatimidi; più tardi, quello stesso anno, una sollevazione scoppiata a Gerusalemme, in risposta al brutale governo dei nuovi dominatori, permise ai Fatimidi di riprendere la città, solo per perderla di nuovo l’anno successivo, dopo che i turchi l’ebbero stretta d’assedio. Questi, ottenuta la resa, uccisero tutti i musulmani presenti (circa tremila persone), in quanto sciiti, e un considerevole numero di ebrei. Stranamente, i cristiani furono in gran parte risparmiati; di lì a poco, però, i Selgiuchidi tornarono a eliminare chiunque non fosse un musulmano sunnita. Cristiani, ebrei e pagani erano oggetto di rastrellamenti e venivano giustiziati, i loro luoghi di culto rasi al suolo.
Dal 1080, e per il decennio successivo, i bizantini riconquistarono alcuni possedimenti ai musulmani, reclamando parte del territorio che costeggiava il Mar Nero e il Mar di Marmara, ma per mettere a segno vittorie significative avevano bisogno di aiuto. Nel marzo del 1095, l’imperatore bizantino Alessio I Comneno inviò una lettera e una delegazione al papa di origine francese Urbano II, nella città di Piacenza. Nella missiva descrisse le atrocità subite dagli abitanti di Gerusalemme per mano dei Selgiuchidi e suggerì che cattolici e bizantini si unissero a formare una coalizione militare cristiana per scacciare i musulmani dalla Terra Santa. All’epoca, i bizantini avevano ormai dovuto cedere gran parte dell’Anatolia ai turchi e l’imperatore sottolineò che per i cristiani non era più sicuro compiere pellegrinaggi a Gerusalemme e in Terra Santa. Il papa fu colpito da quelle notizie e se ne fece portavoce presso un concilio di autorità ecclesiastiche e laiche a Clermont, in Alvernia, nella Francia centrale.
Il concilio di Clermont
Inaugurata il 18 novembre 1095, l’assemblea vide la partecipazione di trecento ecclesiastici, di cui tredici arcivescovi, riuniti per nove giorni nella cattedrale di Clermont per discutere di questioni interne alla Chiesa. Poi, il 27 novembre, papa Urbano II guidò i delegati all’aperto, dove era stato allestito un trono di fronte a una folla che comprendeva buona parte della popolazione cittadina. Il pontefice aveva fatto sapere che quel giorno – il penultimo del concilio – avrebbe tenuto un intervento in risposta a una richiesta d’aiuto giunta da Oriente: l’uditorio era troppo vasto per entrare nella cattedrale e si era dovuto ricorrere a misure alternative. Dal suo trono, Urbano si rivolse alla folla, descrivendo nel dettaglio le minacce che incombevano sulla cristianità. Oratore persuasivo e carismatico, esortò i presenti a prendere le armi contro gli infedeli, unendosi ai bizantini per liberare la Terra Santa. Enfatizzò l’onore cavalleresco e promise la remissione dei peccati a chiunque avesse dato il proprio contributo. Rapito dalle parole di quell’uomo carismatico, il popolo rispose gridando: «È il volere di ...