Tutto cambia ancora.
Richiamo subito Urru: deve parlare con l’ambasciatore e con il ministro in Italia. Allo stesso tempo Mancini deve informare la famiglia, sperando che non abbiano già visto il video online. Come per la lettera e l’ipotesi di suicidio, cerchiamo di correre più veloci delle notizie.
Poi, parlo con Caruso. Deve correggere ancora una volta l’intestazione del fascicolo.
«L’incidente, il suicidio, e mo questo…» commenta il pm.
L’asticella si alza.
Adesso indaghiamo per omicidio.
Noi riguardiamo il filmato dall’inizio. Ci fissiamo sui particolari. La sequenza dei fatti. Ciò che rivela. Ciò che invece resta oscuro.
Ho moltissime domande in testa. Vecchie e nuove.
Ma ce n’è una più importante delle altre.
Chi ha ucciso Grande?
Anche Zhu Sicheng ci raggiunge davanti al pc. Se Tong ha il suo fiato sul collo, il vicecommissario generale percepisce l’alito di drago di Yun Heng che lo avvolge. La sua furia vacilla, è preoccupato. Non incute più paura. Ha paura. E si vede, si annusa.
«Quindi, come scopriamo chi ha ammazzato l’italiano?» dice.
«Procediamo come in ogni indagine per omicidio» rispondo io.
Ci concentriamo sulla vittima, e vagliamo tutto.
Abbiamo già aperto una breccia nel muro della famiglia, e ci hanno dato l’accesso alla Rete aziendale e ai conti. Adesso allarghiamo quella breccia.
«Sentite la Procura del Popolo, sentite il ministero di Pubblica Sicurezza, sentite Kang. Dobbiamo fare tutti i passi necessari.»
Esaminare i cellulari di Grande, le utenze cinesi e quelle italiane.
Controllare i computer, i tablet personali e l’agenda.
Perquisire senza restrizioni ogni posto dove siamo già stati e dove non siamo potuti andare. Appartamenti, fabbriche, uffici.
Tornare al parcheggio, che a questo punto è la scena del crimine.
Acquisire i tabulati delle celle di zona e i filmati delle telecamere di sorveglianza attorno al parcheggio e rivedere i filmati del giorno in cui Grande è morto e dei giorni appena precedenti.
Rintracciare l’hacker che ha messo in Rete il video.
Risentire l’assistente, il socio e i familiari. E fare le dovute verifiche su chiunque fosse vicino alla vittima, anche collaboratori e amici.
Andiamo a caccia dei moventi, che nei casi di omicidio sono sempre gli stessi: avidità, gelosia, invidia, vendetta.
«Se vogliamo scoprire chi ha ucciso Grande, dobbiamo scoprire il perché.»
Zhu Sicheng approva la mia linea. Tong, no.
«Prima di tutto, c’è una cosa che dobbiamo fare» dice l’Yiji jingjian.
Tiro a indovinare: «L’hacker?».
«Sì. Innanzitutto, dobbiamo identificare e trovare chi ha messo il video in Rete.»
«E perché sarebbe una priorità?»
«Perché se oltre a diffondere quel filmato lo ha anche girato potrebbe essere un testimone…»
«Sì, ma nel caso sarebbe il video la sua testimonianza. Quindi, va bene, troviamolo e sentiamolo, ma dobbiamo stabilire un ordine con cui procedere, e questo non è il primo punto.»
Tong insiste. È calmo e determinato: «Invece è proprio il primo punto. L’hacker potrebbe avere visto altro, potrebbe avere altri filmati, o potrebbe avere una versione più lunga dello stesso che ha messo in Rete».
La Yien passa con lo sguardo da me a Tong come se seguisse una partita di tennis, ma non interviene. È in atto un conflitto: Tong è il suo superiore, e qualunque sia la sua idea di nuovo non può esprimerla.
Zhu tace, e lascia che ci scanniamo tra di noi.
Io fisso Tong. La sua urgenza è sospetta.
«Vuoi concentrarti sull’hacker perché può darci informazioni, o perché ha smantellato definitivamente la tua indagine?» lo provoco.
«La stessa indagine alla quale lei, vicequestore Wu, ha partecipato attivamente…»
«No, semmai io sono quello che attivamente l’ha smontata.»
Tong stringe i denti. Non è più calmo, inizia ad arrabbiarsi.
«Abbiamo solo seguito gli indizi.»
«Sì, quelli che stavano lì belli comodi sotto i nostri occhi…»
La rabbia di Tong monta.
«Che cosa vuole dire?»
«Niente.»
Tong arriva a ebollizione. Non ha la gelida capacità di Zhu di trattenersi, e esplode. Per quanto come qualifica io stia sopra a lui, sono pur sempre un poliziotto straniero, e non ci sta a farsi trattare come uno sprovveduto.
Il collo già grosso come un tronco si gonfia, spinge in fuori la grande pancia, e incrocia le braccia muscolose sul petto.
«Lei non è qui per insegnarci come si fa il lavoro di polizia.»
Io non indietreggio.
«Invece a quanto pare sì.»
«Quanta esperienza avete in indagini per omicidio?» continuo.
Tong sgrana gli occhi. «Noi siamo la Divisione investigazioni Criminali. Abbiamo tutta l’esperienza e la competenza necessarie.»
«Davvero? Dite ogni cinque minuti che in Cina in pratica non esiste criminalità, che il numero di reati è vicino allo zero. Quindi, esattamente su quanti omicidi avete indagato in questa Questura negli ultimi anni? Uno? Due? Cinque? Dieci al massimo? E quante volte, invece, siete stati impegnati su furti, truffe e bustarelle?»
Tong non risponde neppure, non lo ritiene necessario.
Dice soltanto: «La Renmin jingcha è conosciuta come una delle migliori forze di polizia del mondo, vicequestore Wu!».
Nel tono riemerge quella sfumatura di superiorità verso il laowai, lo straniero.
La Yien è stata con me, mi ha visto all’opera. E adesso, infatti, tenta di intromettersi.
«Forse, il vicequestore…»
Ma Tong no, non c’era. E la ignora.
«E lei, Wu, su quanti delitti ha indagato in Italia?»
Per Tong e Zhu io sono solo un mezzo cinese che viene da un Paese che nemmeno conoscono, e che è stato infilato nella loro inchiesta dall’alto, per ragioni politiche.
Quindi, Tong mi sta mettendo alla prova.
Ora sono io che arrivo in fretta a ebollizione. Però, prendo un respiro.
Non mi piace dover fare questi giochi di forza, dover affermare chi sono e di cosa sono capace. Ma a volte è necessario.
Fisso Tong, fisso anche Zhu e la Yien, e rispondo: «Trentotto».
Ho combattuto molte volte, e ho sempre vinto.
Ho indagato su trentotto omicidi. Diciassette quando stavo alla Mobile a Bologna, più quelli avvenuti a Roma e legati al Demone.
«E li ho risolti tutti.»
«Quindi» concludo, «l’indagine è la vostra, ma quando parlo sarebbe bene se mi ascoltaste.»
Tong butta fuori il fiato dal naso come un toro pronto a caricare. Se potesse, mi staccherebbe la testa con le mani.
Ma non può.
Guarda Zhu Sicheng. Lo guardiamo tutti. Sta a lui decidere. E il Fu zongjingjian sceglie la via che gli consente di mettersi nella posizione migliore con Yun Heng senza sputtanarsi. È quest’ultimo infatti che ha acconsentito a farmi entrare nell’inchiesta, e io ho portato un contributo significativo.
«Si fa come dice il vicequestore Wu» conclude.
Allo stesso tempo, sempre per l’effetto a cascata delle responsabilità, non può screditare del tutto Tong, perché è lui che gli ha assegnato la direzione dell’indagine. Per cui, nel tipico modo cinese di risolvere certe controversie, mi dà ragione ma dà anche un contentino al suo funzionario.
«E mentre procediamo, avviamo anche le ricerche dell’hacker che ha postato il video.»
Prima che io o Tong possiamo aprire bocca per protestare, Zhu sgattaiola via e rientra nel suo ufficio. Deve parlare nuovamente con il sottosegretario Yun.
Anche la Yien si allontana per sentire Du e quelli della Scientifica, e allertarli di tornare al parcheggio.
Tong fa un sorrisetto sarcastico. È un osso duro. E evidentemente la questione non è risolta.
«Hai convinto l’Yiji jingdu Yien e il dirigente Zhu, ma non hai convinto me, Wu.»
Per la prima volta mi dà del tu, e nuovamente sottolinea la mia estraneità.
«Puoi avere risolto anche cento omicidi nel tuo Paese. Ma qui è tutto diverso.»
In quel momento, un pensiero su Grande mi attraversa la testa.
Poi replico al sorrisetto del commissario di prima classe. Nemmeno io sono tanto tenero.
«Su una cosa hai ragione, Tong: hanno ammazzato un italiano in Cina, e nessuno di voi ha mai svolto un’indagine del genere.»
Parliamo di nuovo con la famiglia alla sede della IIC. Margherita Galli Grande, suo figlio Christian, e Giulio Grande. A questo terzo incontro Maria Sole è stata lasciata in hotel, perché temono che verranno affrontate questioni disturbanti.
Hanno ragione.
Mancano anche Bruni Albano e Yun Heng. È un vertice operativo, e hanno delegato chi nelle rispettive parti ha compiti specifici.
Urru, Mancini, Di Castro e Centofanti sono seduti al tavolo. Di fronte, Tong, la Yien e Zhu Sicheng. L’avvocato Kang siede accanto ai familiari di Grande.
Io, ovviamente, sto in mezzo.
E dato che parlo italiano, spiego meglio alla famiglia ciò che Mancini ha già anticipato loro.
Mostriamo il video sul televisore nell’angolo della sala.
Per i cinquantasette secondi della sua durata, nessuno della famiglia emette un fiato.
Sono confusi. Attoniti. Poi, a poco a poco, diventano furibondi.
Soprattutto la moglie di Grande. È una donna abituata a gestire problemi complessi, a dare ord...