Ferragosto (Nero Rizzoli)
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Ferragosto (Nero Rizzoli)

  1. 300 pagine
  2. Italian
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Ferragosto (Nero Rizzoli)

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Spiagge traboccanti di turisti, mare invaso di pedalò e un caldo da scoppiare: è quasi Ferragosto sulla Riviera romagnola. Al Bagno Magnani una moglie sospetta che il marito la lasci ogni giorno da sola per raggiungere l'amante. Nel frattempo, un fotografo noto per il via vai di ragazze nel suo studio viene ritrovato assassinato in posa oscena. A investigare è Andrea Muratori detto Mura, giornalista in pensione e detective dilettante per vincere la noia, che a sessant'anni suonati si è ritirato in un capanno con il principale obiettivo di pescare, giocare a basket e ripetere vecchie storielle insieme ai "tre moschettieri", i suoi ex compagni di scuola. Ma dietro a quelli che sembrano una banale questione di corna e un delitto a sfondo pornografico affiora un segreto che risale alla fine del fascismo: la scomparsa del tesoro che Mussolini portava con sé prima di essere catturato e giustiziato dai partigiani. Fra scaltre ballerine della Martinica, trans brasiliane dal cuore dolce, nostalgici del ventennio e sbronze di rhum (e olio di ricino), Mura si ritrova coinvolto in una corsa senza tregua per trovare la soluzione del duplice intrigo e, forse, lo scoop che potrebbe riportarlo in prima pagina.
Tra commedia gialla e fantasmi del passato, Enrico Franceschini torna con una nuova avventura del Grande Lebowski romagnolo: un'indagine su un misterioso episodio della nostra storia, un viaggio erotico e dissacrante attraverso il mito nazionalpopolare dell'estate italiana.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2021
ISBN
9788831805063

1. I contorni delle cose

(Colonna sonora: Abbronzatissima, Edoardo Vianello)
«La boa di Ferragosto.»
Andrea Muratori lo ripete fra sé come il ritornello di una canzonetta, spaparanzato sulla sdraio, occhi socchiusi, mani incrociate dietro la nuca, piedi appoggiati a uno sgabello, sulla terrazza dell’ultimo capanno in fondo al molo, nel porto canale di Borgomarina.
La boa di Ferragosto.
La boa di Ferragosto.
La boa di Ferragosto.
E gli scappa da ridere.
Dicevano tutti così, durante le lunghe villeggiature al mare da piccolo, all’approssimarsi del 15 del mese. Era la data fatidica del cambio di stagione, perlomeno in Romagna, come una barca che arrivata alla boa ci gira intorno e prende la direzione opposta. Quel giorno, secondo la saggezza popolare tramandata da generazioni di mamme e bagnini, comincia a finire l’estate. Tradizione vuole che scoppi un temporale, magari non proprio il 15 d’agosto, forse il 16, o piuttosto il 17. Da quel momento, nulla è più come prima. Le giornate s’accorciano visibilmente. Cala la temperatura. La luce muta colore, rendendo più nitidi i contorni delle cose. Secondo il calendario, l’autunno inizia soltanto il 21 settembre, ma a Ferragosto si capisce già che le vacanze volgono al termine, che si prepara il ritorno in città.
Per Mura, come gli amici lo hanno sempre chiamato sin da bambino, adesso le vacanze non finiscono mai: è andato in pensione appena passata la sessantina. Malvolentieri, inizialmente: non è stata una scelta sua. Dopo una vita da corrispondente estero nelle capitali di mezzo mondo, si è sentito messo da parte in anticipo. Colpa della crisi dei giornali, che hanno bisogno di tagliare gli organici per sopravvivere. Colpa sua, ne è intimamente convinto, se non è riuscito a rendersi abbastanza necessario perché facessero un’eccezione. Ora però si è abituato alla nuova parte. Non si sta mica male ad aspettare il giro di boa di Ferragosto, nella località balneare della propria infanzia, sapendo che le ferie andranno avanti lo stesso. Finisca pure l’estate, per lui non finirà la pacchia.
«Quando sento parlare di boa, mi viene la nausea.» Una battuta del mitico Gianni Brera, il più grande giornalista sportivo italiano. Puntuale, la ripeteva alla fine del girone d’andata, davanti agli articoli dei cronisti concorrenti, decisamente più scarsi, che scrivevano il bilancio del campionato nel momento in cui per l’appunto aveva girato «la boa». Uno dei tanti luoghi comuni di cui è infarcito il mestiere. C’è poco da fare: Mura ha lasciato i giornali ma i giornali non hanno lasciato lui. Nemmeno ora che è felicemente pensionato.
La boa di Ferragosto.
Da ragazzo, il modo di dire alludeva anche a un altro genere di bilancio: quante ragazze hai avuto, questa estate? Se le conquiste fino a quel momento fossero state scarse, dopo il 15 agosto sarebbe restato poco tempo per rimediare: entro qualche settimana le discoteche avrebbero chiuso. Il luogo designato per rimorchiare, allora, era quello. Lunghe serate in cui ballava, sudava, beveva, fumava, sostanzialmente s’annoiava: e concludeva poco. Di rado la sua media era alta. «Sei un patacca» lo ammoniva Gianca, il compagno di giochi e avventure dell’adolescenza. «Il tuo errore è che vai in discoteca troppo presto, quando ha appena aperto. Vacci quando sta per chiudere, come me. Alle tre di notte ogni ragazza ancora sola ti accoglierà a braccia aperte perché a quel punto o te o niente.» Poi aggiungeva un commento sconcio su cos’altro gli avrebbero spalancato.
Balle: anche Gianca tornava quasi sempre a casa solo. Il mito del rubacuori, secondo Mura, era creato dagli stessi romagnoli: una razza di uomini con il vizio di spararle grosse. «È grande due volte il Grand Hotel più il Duomo» dice una voce fuori campo all’apparizione del transatlantico Rex: op. cit., Amarcord, regia di Federico Fellini. Figuriamoci se non esageravano in materia di conquiste. «Catenacci, non ci crede nessuno»: gli torna in mente la gag di Alto gradimento, trasmissione radiofonica cult della sua giovinezza, su un nostalgico camerata che narra le imprese del Duce, sparandole talmente grosse da suscitare l’ilarità collettiva. Nato anche lui da queste parti, Benito: non è mica una coincidenza. Nessun italiano ha mai abbellito la realtà più del condottiero che ha mandato i connazionali a conquistare la Russia d’inverno con le scarpe di cartone.
Stacca le mani da dietro la nuca: gli si stavano addormentando le dita. Già che c’è, riapre gli occhi, inforcando il paio di Ray-Ban che gli ha regalato Caterina detta Cate. «Non sei vecchio, sei solo un po’ vintage, come questa marca di occhiali» gli dice aggiustandoglieli sul naso, quando viene a trovarlo. Non succede spesso. Un po’ perché, con trent’anni meno dei suoi, dopo qualche giorno la Cate a Borgomarina si annoia. E un po’ perché continua a esercitare il mestiere che lui ha abbandonato, girando il pianeta come corrispondente di guerra. Rapporto difficile da definire, il loro. Infatti, non lo definiscono: sono leggermente più che due amici ma assai meno che un’autentica coppia. Mura sospetta che lei abbia flirt occasionali o prolungati con i colleghi che incontra al fronte. Poi però ogni tanto viene a visitarlo e gli si infila nel letto. Friend with benefits si dice in inglese: amica (o amico) con benefici, alla lettera. Mura traduce scopamica. Del resto sul terrazzo del suo capanno, una volta ogni due o tre mesi, non si sta male. Oltre alle sdraio e a un paio di lettini da spiaggia, c’è la rete a bilancino appesa per pescare: le visite di Cate sono di solito l’occasione per una cena con i vecchi amici, che l’hanno accettata come membro ad honorem della combriccola.
Ha detto che si sarebbe fatta viva intorno a Ferragosto. Per lui o per la scorpacciata di pesce? Essendo una buona forchetta, propende per la seconda ipotesi. Che a Ferragosto non è una cena, bensì un pranzo, in cui si mangia così tanto e così a lungo da diventare tutt’uno con il pasto serale. Da consumare tuttavia, secondo le tradizioni della Romagna, non al mare, non sul suo terrazzo affacciato sul porto canale, bensì in campagna, possibilmente su una collina ombreggiata, con alberi sotto cui ripararsi dalla calura.
Stira le braccia, sbadiglia, s’alza in piedi. Il pranzo di Ferragosto, ecco il suo compito della giornata. Un appuntamento da organizzare come si deve, se non vuole essere preso per il culo dai commensali. Non avrà bisogno di mettersi personalmente ai fornelli, dove le sue capacità si limitano a uova strapazzate, spaghetti al pomodoro e panini alla mortadella. «Perché, il panino alla mortadella è un cibo da preparare?» lo rimbecca la Cate, quando discutono delle sue qualità culinarie. «È roba che si mangia anche quella, no?» replica Mura. Per poi ordinare una pizza da asporto.
A Ferragosto non se la caverebbe con pizza, spaghetti o mortadella. A cucinare penseranno gli altri, in una competizione maschile fra il Barone e il Professore, assistiti dall’Ingegnere prodigo di consigli: i suoi tre ex compagni di classe e amici di una vita. I tre moschettieri, come si sono autobattezzati: che poi, insegna Dumas, in realtà erano quattro, quindi c’è posto anche per Mura. «Uno per tutti, tutti per uno» declamano imitando D’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis. In altre parole, sarà un gran casino in cucina, sporcheranno tutto, dimenticheranno di sicuro ingredienti cruciali, e a mettere pietanze in tavola, mentre loro si atteggiano a celebrity chef, provvederanno le donne che generosamente li sopportano: la Raffa, la Carla e la Mari. Quanto alla Cate, starà a guardare, fumando e godendo dello spettacolo, in attesa di gettarsi famelica sul risultato di quegli sforzi.
A Mura spetta soltanto la ricerca del luogo del delitto: il casolare in collina da prendere in affitto per una giornata, dove rischieranno di morire soffocati da passatelli, strozzapreti, cappelletti, tagliatelle e abbastanza antipasti di pesce, grigliata e fritto misto da sfamare un esercito. Se al pranzo di Ferragosto non mangi come nella Grande abbuffata, il film di Marco Ferreri su quattro amici che si ammazzano letteralmente in un’orgia gastronomica, non è un pranzo di Ferragosto. Ha chiesto consiglio a Rio, il bagnino del Magnani. È ora di uscire dalla tana e andare a sentire cosa gli ha trovato.
«Capanno»: appostamento fisso di caccia, pesca, coltivazione o allevamento, formato da una costruzione di muratura, di legno, di tela o di rami intrecciati, recita il dizionario. In Romagna sono dappertutto: lungo i canali, i fiumi, gli stagni e in riva al mare. Quello che è diventato l’abitazione di Mura è l’ultimo di sette sul molo di sinistra del porto canale: un passo più in là, c’è il faro e poi l’Adriatico. Una baracca di legno di due stanze e terrazzo, montata su palafitte, che un tempo ospitava pescatori e giocatori di carte ma ora è la sua casa. Gliel’ha affittata per 300 euro al mese il libraio Remo, che neppure voleva essere pagato e spesso dimentica apposta di incassare, in nome di vecchi favori ricevuti da Mura quando era un «noto giornalista», come lo definivano ai dibattiti estivi nella biblioteca di Borgomarina. Noto poco, rispondeva lui, giornalista sì, vabbè… comunque raccontava quattro cazzate e i villeggianti ridevano, leccando il gelato. «Cultura in riva al mare», la descrivevano le locandine. Crede che ci sia più divertimento culturale in una giostra, ma contenti loro, contenti tutti.
Indossa una maglietta, infila i piedi nelle logore ciabatte, caccia il cellulare nella tasca dei braghini, ed è pronto per la missione. L’ora è giusta: l’una. Quando i bagnanti tornano in massa dagli stabilimenti balneari per andare a mangiare nelle case, nei B&B, negli alberghi tre stelle con piscina tre metri per due: un controesodo puntuale come un orologio, i bambini sporchi di sabbia dalla testa ai piedi, le madri cariche di sporte, i padri con una montagna di secchielli, salvagenti e materassini che gli coprono anche la faccia. Tutto cambia, in Romagna, ma non lo spettacolo del biblico rientro all’ora di pranzo: quello è rimasto uguale dal tempo della sua infanzia. All’epoca sua madre, tornata in anticipo, quando era pronto in tavola appendeva un asciugamano alla finestra: si vedeva dalla spiaggia, il segnale che il babbo doveva riportarlo a casa. Ora basta un messaggino sullo smartphone, ma la sostanza è invariata. Al massimo ogni tanto si danno il turno: il padre va su per primo a cucinare, la madre segue con i bambini. Un piccolo omaggio maschile alla parità dei sessi, per quanto sia di gran lunga preferibile mettere l’acqua sul fuoco e apparecchiare, piuttosto che badare a quei diavoli dalla faccia angelica che rispondono al nome di figli: ne sa qualcosa pure Mura, che sulla spiaggia di Borgomarina, tra un divorzio e l’altro, ha vissuto l’esperienza nei panni di genitore.
All’ingresso del porto, un traghetto collega le sponde del molo: una volta costava 20 lire, adesso sono 20 centesimi di euro. Ma il Caronte di Borgomarina gli dà un passaggio gratis: ogni volta Mura accenna il gesto di cercare gli spiccioli in tasca e Caronte biascica in dialetto: «Lascia ben stare». Lo conoscono da quando era un bimbo, da queste parti. E ora che ci è venuto a vivere appartiene al panorama. Come la casa in cui trovò riparo Garibaldi inseguito dai francesi, se non erano gli austriaci oppure le guardie svizzere del papa: l’Eroe dei Due Mondi scappava sempre da qualcuno e da qualcosa. Come le vecchie barche da pesca a vela del primo Novecento, ormeggiate per bellezza lungo il porto. Come il grattacielo di trenta piani che sormonta la cittadina, memento del boom economico degli anni Sessanta, quando l’Italia contadina si scoprì potenza industriale e la Romagna ambiva a diventare la California italiana. Mezzo secolo più tardi, il miracolo italiano si è sgonfiato ma la Romagna no: la costa delle ferie di massa, delle vacanze a basso prezzo già da prima che fosse inventato il termine low cost, del divertimentificio in disco-pub, aqua-park, go-kart, mini-golf, night-club e tutto quanto si può dire in un inglese facilmente comprensibile con due parole separate da un trattino.
Il grattacielo, così come quelli simili costruiti nello stesso periodo lungo la costa fra Milano Marittima e Rimini, è un pugno in un occhio: forse nelle aspettative del 1960 dovevano riprodursi a grappoli, dando un aspetto più uniforme allo skyline, invece ne sono sbocciati soltanto tre o quattro. Ma ormai la gente ci ha fatto l’abitudine: non li vede più come una stravaganza fuori posto. Alla stessa maniera, pensa Mura, hanno accettato lui: l’inviato giramondo che torna al paesello delle origini. Le sue erano un centinaio di chilometri più a ovest, a Bologna, dove è nato, è cresciuto, ha studiato: ma i tre mesi abbondanti di vacanze estive pesavano più del resto dell’anno. Il tempo si dilatava, superando quello dei nove mesi in città. L’estate al mare, per un bambino e poi per un ragazzo, era la stagione della libertà. Per questo si sente più di casa in Romagna che a Bologna. La sua Itaca è in riva al mare.
Sceso dal traghetto canticchia Azzurro, mentre sciabatta verso il Bagno Magnani. È sempre estate per un pensionato: e oggi non c’è una nuvola. Dalle aiuole che cingono gli stabilimenti sale il canto incessante delle cicale: cosa dicono, sfregando senza posa le zampette? «Checaldo checaldo checaldo»: questo gli sembra che cantino. A parte il concerto degli insetti, la spiaggia è silenziosa. Senza turisti, all’ora di pranzo la Riviera romagnola potrebbe passare per un’isola tropicale, se non fosse per le file di ombrelloni colorati: non un corpo in mare, nessuno a prendere il sole, che a quest’ora brucia. C’è però gente che fa lavorare le mandibole anche negli stabilimenti balneari: lasciata la riva del porto canale, Mura attraversa il bar e il ristorantino del Marè, zeppo di clienti. È il lido più figo di Borgomarina, aperto da un famoso allenatore quando si è ritirato dai campi di calcio, sempre frequentato da belle donne. Merito della fama sportiva: il football tira anche quando sei un ex.
Il suo sport quotidiano è la corsa. Cinque chilometri lungo il bagnasciuga, quasi tutti i giorni, alle prime luci dell’alba. Tanto alla sua età non riesce più a dormire: si sveglia che è ancora buio, si rigira nel letto, va a pisciare. Un segno dell’età, la vescica da svuotare con maggior frequenza. Quando prova a riaddormentarsi non ci riesce. E allora mette le scarpette e corre. L’ha fatto anche questa mattina. Ogni tanto aggiunge alla corsetta una nuotata, proprio a quest’ora, quando l’Adriatico è una tavola deserta: come avere una piscina tutta per sé.
«Nuotatina?» lo saluta da dietro il bancone Rio, che conosce le sue abitudini, vedendolo sbucare al bar del Magnani. È lo stabilimento accanto al Marè, ma non potrebbero essere più diversi: uno nuovo di zecca, l’altro esiste da sempre, uno tirato a lucido, l’altro dimesso, il primo preferito dai giovani, il secondo dalle famiglie. La Romagna è fatta così: c’è spazio per tutti.
«Cappuccino, piuttosto» gli risponde Mura. «E brioche.»
Sarebbe il menù della sua colazione da Dolce & Salato, il caffè della rotonda sul mare, un rito delle sue giornate tutte uguali: ma stamane lo ha saltato, dopo la corsa e la doccia si è impigrito, ha preparato un caffè con la moka, divorato gli ultimi due biscotti trovati nella credenza, sulla terrazza tirava una piacevole brezzolina, ha perso tempo sfogliando i giornali sullo smartphone e si è assopito. Se per effetto della stanchezza o dei giornali, non sa dire. Può darsi che non c’entrino né l’una né gli altri: è soltanto l’età, per cui a sessant’anni suonati si dorme bene quando non si dovrebbe, per esempio nella tarda mattinata. Se poi si può riposare a qualunque ora, come nel suo caso, impossibile non appisolarsi a torso nudo sulla sdraio, sotto la tettoia che ripara dal sole, cullati dal dolce rumore del mare, piccole onde leggere che s’infrangono sulle rocce del molo. Sessanta sono i nuovi quaranta, affermano gli slogan del marketing. Sarà: quando non hai niente da fare te li senti tutti e sessanta sulle spalle. Ringrazia il vecchio stereotipo della boa di Ferragosto: gli ricorda che il 15 è dietro l’angolo e che ogni tanto anche un giornalista in pensione deve darsi una mossa.
Come ogni buon bagnino, Rio è capace contemporaneamente di dirigere il movime...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Ferragosto
  4. Personaggi principali
  5. 1. I contorni delle cose. (Colonna sonora: Abbronzatissima, Edoardo Vianello)
  6. 2. Un mormorio sommesso. (Colonna sonora: Andavo a 100 all’ora, Gianni Morandi)
  7. 3. Lontano da riva. (Colonna sonora: C’è una strana espressione nei tuoi occhi, The Rokes)
  8. 4. Fatta roba. (Colonna sonora: Stasera mi butto, Rocky Roberts)
  9. 5. Uno per tutti, tutti per uno. (Colonna sonora: Cuando calienta el sol, Los Marcellos Ferial)
  10. 6. I furbi scrivono. (Colonna sonora: Una carezza in un pugno, Adriano Celentano)
  11. 7. Damigella in pericolo. (Colonna sonora: Maracaibo, Lu Colombo)
  12. 8. Il gioco dell’asfissia. (Colonna sonora: Dedicato, Loredana Bertè)
  13. 9. Di notte ti strabilia. (Colonna sonora: Saint Tropez twist, Peppino di Capri)
  14. 10. Un mazzolino di violette. (Colonna sonora: Eppur mi son scordato di te, Lucio Battisti)
  15. 11. Il significato dell’esistenza. (Colonna sonora: Vamos a la playa, Righeira)
  16. 12. Hic sunt leones. (Colonna sonora: Un’estate al mare, Giuni Russo)
  17. 13. La gentilezza degli sconosciuti. (Colonna sonora: Azzurro, Paolo Conte)
  18. 14. I piccoli piaceri. (Colonna sonora: Una rotonda sul mare, Fred Bongusto)
  19. 15. Aspetta e spera. (Colonna sonora: Tintarella di luna, Mina)
  20. 16. Krav Maga. (Colonna sonora: La bambola, Patty Pravo)
  21. 17. Pezzi da otto. (Colonna sonora: Io ho in mente te, Equipe 84)
  22. 18. La figlia del Corsaro Nero. (Colonna sonora: Sognando California, Dik Dik)
  23. 19. Pensione Marco. (Colonna sonora: Stessa spiaggia stesso mare, Piero Focaccia)
  24. 20. Lente di ingrandimento. (Colonna sonora: Sapore di sale, Gino Paoli)
  25. 21. Fantasmi. (Colonna sonora: Quando quando quando, Tony Renis)
  26. 22. Un bel giochino. (Colonna sonora: Bang Bang, Dalila)
  27. 23. Certi misteri. (Colonna sonora: Il cielo è sempre più blu, Rino Gaetano)
  28. 24. Ho capito tutto. (Colonna sonora: Al mondo, Mia Martini)
  29. 25. Attiva e passiva. (Colonna sonora: Bésame mucho, Los Panchos)
  30. 26. Vecchie abitudini. (Colonna sonora: Un’estate fa, Franco Califano)
  31. 27. Il diluvio universale. (Colonna sonora: Domani è un altro giorno, Ornella Vanoni)
  32. La compilation del Prof
  33. Nella stessa collana
  34. Copyright