Il dono e il discernimento
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Il dono e il discernimento

Dialogo tra un gesuita e una manager

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Il dono e il discernimento

Dialogo tra un gesuita e una manager

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Chi è Mariella Enoc, la donna che papa Francesco ha di recente confermato alla presidenza dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù? Lo stesso Bergoglio l'ha definita "una leonessa", e anche la stampa - nazionale e internazionale - ne parla spesso come di una "lady di ferro", una "donna tenace". Queste formule, però, ci restituiscono solo una parte della caratura umana e professionale di una delle più importanti manager italiane in campo sanitario. Il dialogo con il padre gesuita Francesco Occhetta ci permette invece di ripercorrere non solo la sua parabola lavorativa, ma di scoprire i nodi più significativi di un'esistenza indubbiamente ricca. Le gioie e le ferite; le speranze e le paure; le convinzioni incrollabili e i dubbi irrisolti; le battaglie vinte e quelle perse, ma comunque combattute sempre fino in fondo. Come nel tragico caso dei tentativi per non far rimuovere la ventilazione assistita al piccolo Alfie Evans.
Ecco dunque che al racconto degli anni alla presidenza della Fondazione Cariplo, della Confindustria piemontese o dell'ospedale pediatrico della Santa Sede, si affiancano le esperienze del laicato, quelle nell'Azione Cattolica e nella formazione dei catechisti, gli incontri con grandi personalità della Chiesa e le riflessioni sui temi dell'etica medica o del rapporto tra azione personale, cambiamenti sociali e impegno per ricostruire la politica italiana.
A emergere, tra aneddoti e immagini memorabili, è il profilo di una manager che è stata capace di non conformarsi alla cultura dominante - promossa da università e aziende - che vede nel dirigente una persona chiamata solo a far quadrare i conti, a discapito di tutto il resto. Il risultato è un volume denso e avvincente, che riesce a offrire il bozzetto di una vita attraverso le scelte che l'hanno strutturata e le principali riflessioni che l'hanno ispirata. Per offrire al lettore la possibilità di sostare per interrogarsi su temi che toccano l'esperienza umana e la vita sociale.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2021
ISBN
9788831804684

Chiamata alla presidenza dell’Ospedale Bambino Gesù

Il 12 febbraio 2015 Mariella Enoc viene nominata presidente del Bambino Gesù, tra gli ospedali per bambini più importanti al mondo. È al timone di un transatlantico di centocinquant’anni di vita costituito di cinque poli di ricovero e di cura: la sede storica del Gianicolo, le sedi di San Paolo Fuori le Mura e di viale Baldelli, a Roma i centri di Palidoro e Santa Marinella. Bastano alcune cifre per capirne la portata e le responsabilità che ne derivano: 607 posti letto, 29.432 ricoveri ogni anno, 342 trapianti, 44.161 giornate di day hospital, 89.558 accessi al Pronto soccorso, oltre 2.100.000 prestazioni ambulatoriali. Ma non solo: al Bambino Gesù si fa ricerca sulle malattie rare e ultra-rare che hanno fornito risposte di cura al 50 per cento dei malati che ne hanno fatto richiesta, con oltre 800 scienziati ed esperti.
L’ospedale era in via delle Zoccolette, è nato con quattro letti per curare bambini ammalati di tubercolosi. Adesso ci sono tutte le specialità, oltre ai centri del Gianicolo, di San Paolo e di Palidoro, che vorremmo ampliare. Abbiamo dato alla sede di viale Baldelli una vocazione totalmente sanitaria, mentre gli uffici amministrativi sono stati accentrati tutti in viale di Villa Pamphili.
La storia vivente dell’Ospedale Bambino Gesù è la storia di un dono che ha inizio nel 1869, quando il duca Scipione Salviati e sua moglie Arabella Fitz-James decidono di far nascere un ospedale per curare i bambini ammalati. Era il 25 febbraio, giorno del compleanno della duchessa, e tutto inizia da un «dindarolo» di terracotta che la famiglia Salviati rompe. Simbolicamente, quel gesto ha posto le fondamenta di una rete di donazioni che ha portato il Bambino Gesù a diventare l’ospedale del papa.
Dalle parole dei papi al Bambino Gesù si capisce quanto la Chiesa si prenda cura dei bambini ammalati e di come, nel farlo, fondi i «presupposti» etici e antropologici di salute, di malattia, di sofferenza e di cura, di finitezza e di dignità. Il primo papa a varcare la soglia dell’ospedale è stato Giovanni XXIII nel Natale del 1958, a poco più di due mesi dalla sua elezione. Le immagini della visita fanno il giro del mondo, e quell’occasione straordinaria porta un bambino ricoverato a scambiare il papa per Babbo Natale. Il pontefice ritorna tra le corsie dell’ospedale nel Natale del 1962. Papa Paolo VI visita l’ospedale il 1° gennaio 1968 e nella sua omelia sottolinea il valore redentivo della sofferenza; dieci anni dopo, nel 1978, affida all’ospedale il complesso della Pontificia Opera di Assistenza a Palidoro, che aveva terminato le sue attività.
I pontefici hanno lasciato parole e gesti profetici ai bambini ammalati e all’ospedale. Per me rimane un faro nella notte l’intervento di papa Giovanni Paolo II quando, l’8 giugno 1982, ha sottolineato il valore e la centralità della ricerca scientifica: «Auspico che questo Ospedale pediatrico Bambino Gesù sia un segno di avanguardia, un centro di studio, in cui a questi piccoli siano offerti, con le cure sempre più avanzate della tecnica e della scienza, l’affetto e la dedizione più delicati, ispirati al messaggio di amore del Vangelo di Cristo».
La ricerca scientifica diventa per la Chiesa una forma di evangelizzazione e di amore, di personalizzazione della medicina e di rigore per la cura. La scienza è una forma di carità. I frutti del cambiamento iniziano ad arrivare tra gli anni Ottanta e Novanta, quando l’ospedale apre il servizio di genetica (1983), il laboratorio di bioingegneria (1984) e diventa Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (1985), entrando a pieno titolo nel campo della ricerca. Nel 1986 viene realizzato il primo trapianto di cuore su un paziente pediatrico. Nel 1992 apre il Centro di assistenza per bambini malati di Aids. Nel 1999 viene inaugurato il Dipartimento di emergenza e accettazione. Nel 2000 il Laboratorio di analisi del movimento, cui si aggiungerà la Robotica. Nel 2010 viene impiantato il primo cuore artificiale. Nel 2014 aprono i Laboratori di ricerca genetica e biologia cellulare, tra i più grandi d’Europa dedicati alla ricerca pediatrica, con macchinari di ultima generazione per il sequenziamento genetico.
Oggi le ricerche del Bambino Gesù sono all’avanguardia nel campo pediatrico: dalle Car-T, le cellule geneticamente modificate che possono guarire la leucemia, al riconoscimento di molte malattie rare a cui viene dato un nome. Su di queste nessuno investe perché non hanno redditività nel farmaco. C’è poi il grande capitolo delle malattie metaboliche e di quelle reumatologiche, della ricerca applicata che si fa anche in sala operatoria e della neuroradiologia che sviluppa le immagini facendo modelli 3D. Tutto questo mondo, per molti aspetti sconosciuto, fa parte dell’innovazione della medicina.
Quali altre eredità morali hanno lasciato i papi?
Durante la visita del 30 settembre del 2005, papa Benedetto XVI pone al centro della cura la sua umanizzazione: «Qui è vostra preoccupazione assicurare un trattamento eccellente non solo sotto il profilo sanitario, ma anche sotto l’aspetto umano». Il pontefice chiede di «umanizzare la tecnologia» e «professionalizzare la cura» per rendere cattolica, vale a dire per tutti, la missione dell’ospedale. Nel 1996 per finanziare l’ospedale nasce la Fondazione Cari bambini, denominata oggi Fondazione Bambino Gesù.
Papa Francesco, invece, visita l’ospedale il 21 dicembre 2013 e ci riceve in udienza il 15 dicembre 2016. Davanti a migliaia di partecipanti ricorda che «il modo» in cui si cura è già terapeutico: «Accompagnare un bimbo che soffre è molto difficile: ci sono tenerezza, carezze, vicinanza e pianto. Per questo le infermiere, gli infermieri sono tanto importanti in ospedale: perché sono vicini alle sofferenze. Le capiscono e sanno come gestirle poiché sono i più vicini al malato. Hanno il fiuto della malattia e per questo li ringrazio tanto». È la forza della compassione che cura i bambini ammalati.
Francesco lo ribadisce perché non sempre la personalizzazione cresce con la tecnicizzazione della medicina. L’«affetto terapia» di cui parla il papa fonda un’idea di cura del Bambino Gesù che non si limita al letto dell’ospedale, ma al prima della prevenzione e al dopo dell’assistenza domiciliare, per non lasciare sole le famiglie.
Il pontificato di Francesco ha sbilanciato l’ospedale a curare oltre i suoi muri: ne è frutto tangibile e paradigmatico l’ospedale di Bangui, che rappresenta l’impegno del papa intorno alla «diplomazia della misericordia».
Ci racconti come è nata la sua nomina a presidente dell’ospedale?
Nel 2014, il cardinale di Torino, monsignor Severino Poletto, aveva consigliato al segretario cardinale di Stato di incontrarmi. Il cardinale Parolin cercava una persona che si occupasse di sanità. Quando mi ricevette non sapevo nemmeno come entrare in Vaticano, ricordo che mi dissero di andare alla porta di Sant’Anna, dove ci sarebbe stata una guardia svizzera per accompagnarmi. Era la prima volta che varcavo la soglia dello Stato Pontificio. Mi propose di entrare nel consiglio di amministrazione dell’ospedale. Gli risposi: «La ringrazio ma sono già membro di dieci altri consigli». Mi convinse dicendomi che l’impegno si limitava a presenziare una volta ogni due mesi. In quel colloquio mi aveva chiesto qualcosa di me, della mia esperienza ecclesiale, e gli dissi di essere una cattolica della domenica. Capii quella sua domanda solamente dopo molti mesi. In realtà, quel consiglio era destinato a diventare un comitato direttivo per occuparsi di modificare la governance del Bambino Gesù. L’impresa, però, si rivelò impossibile, era come scalare una parete di montagna con i tacchi, la mia presenza e quella degli altri membri creava tensione.
Poi il cardinale Parolin me lo chiese da esperto diplomatico senza quasi farmi la domanda. Mi chiamò il 1° gennaio 2015 – pensavo volesse pormi gli auguri – e mi disse che, per quanto riguardava il Bambino Gesù, aveva già pronti due nomi, e anche un terzo, ma era inutile chiederglielo. Io, in realtà, non volevo assumermi quella responsabilità, avevo altri progetti, avevo intenzione di impegnarmi di più nel mondo sociale e filantropico. Il 26 gennaio 2015, alla vigilia del mio settantunesimo compleanno, il cardinale me lo chiese quasi apertamente.
Accettare però significa dover aggiungere un altro peso alle responsabilità che in quel momento aveva. Quando ha sciolto le sue riserve?
Fui nominata il 12 febbraio e il 17 arrivai in ospedale. Ricordo ancora i timori e la paura dell’inizio. Da membro del consiglio avevo vissuto due passaggi molti duri: le dimissioni del mio predecessore e l’uscita dell’ospedale dalla compagine azionaria della Qatar Foundation per l’Ospedale di Olbia. Avevo preteso che, per rendere finalmente agile la governance, il contratto prevedesse la revoca immediata di chi ricopre la presidenza da parte del segretario cardinale di Stato. I primi tempi sono stati molto complicati, ho dovuto gestire il problema dei cinquanta milioni che erano stati dati per l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata; poi quello dell’attico, ma erano latenti problemi ancora più grandi.
Sono arrivata sola, senza alcun passaggio di consegne, senza conoscenze interne. La duchessa Salviati, consigliere dell’ospedale da tantissimi anni, mi diede alcune preziose indicazioni. Cominciai a scegliere alcuni collaboratori ma, nel complesso, il sistema manageriale funzionava bene, così come stava bene anche sotto il profilo economico. I problemi erano legati alla gestione.
All’inizio mi sono spesa per fare in modo che l’ospedale riacquistasse la sua immagine. Il giorno della nomina del nuovo consiglio direttivo della fondazione, uscì la notizia dell’attico. Erano state nominate persone molto conosciute, alle quali ho dovuto chiedere se volessero rimanere. Avevo appena iniziato un progetto, «Vite Coraggiose», con Intesa Sanpaolo. Telefonai al dottor Barrese, il numero due della banca, per dirgli che, se avessero voluto tirarsi indietro, li avrei capiti. Dopo un quarto d’ora il CEO Carlo Messina mi chiamò per dirmi: «Siamo con lei, però si ricordi che crediamo in lei, la responsabilità è sua». Tirai un sospiro di sollievo: il nuovo progetto dell’ospedale era confermato.
Sente di aver commesso errori?
Sì, sono umana come tutti, sento di avere sbagliato alcune scelte e mi sono sentita più volte inadeguata al compito. Scrissi una lettera al pontefice e al cardinale nella quale affermavo che non sarei più potuta andare avanti. Poco dopo incontrai il papa e trovai «il gesuita del discernimento», la persona che capisce i problemi dell’altro e sa leggere nel profondo, senza spendere troppe parole. È stato l’incontro che mi ha colpita di più.
Da quel momento non mi sono più mossa dall’ospedale e, grazie a collaboratori molto bravi, adesso tutto procede sul binario giusto. Anche il segretario cardinale di Stato ha dovuto ammettere, in un recente colloquio, che oggi tutti parlano bene del Bambino Gesù.
L’ospedale è un’eccellenza, gode della credibilità di tutti, è continuamente visitato da capi di Stato, presidenti di governo, ministri, protagonisti del mondo dello spettacolo e dello sport…
Molte persone note vengono a visitare l’ospedale, ma io rimango me stessa con tutti, cerco di fare capire la vera anima dell’ospedale. Faccio sempre veder loro il cuore nascosto dell’ospedale: i laboratori di ricerca, che permettono ai bambini di essere curati con le tecniche più innovative. Non amo molto portarli a incontrare i giovani pazienti, fatta eccezione per gli incontri in ludoteca. I bambini che stanno male non hanno piacere che li si visiti, sono contraria alle visite turistiche in ospedale. Quando è venuto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per i centocinquant’anni dell’ospedale, ho apprezzato molto che mi abbia chiesto di visitare i laboratori e incontrare i giovani ricercatori.
La sua presidenza è stata costruita mattone su mattone su due fondamenta: la costruzione di una comunità e la ricerca scientifica, da intendere come nuovo sentiero dell’evangelizzazione. Ce ne può parlare?
Ho sempre creduto che un ospedale con le radici nel Vangelo debba sapere guarire. Gesù guariva i malati; non li accarezzava soltanto, li guariva proprio. La ricerca scientifica, oggi, fa gli stessi miracoli. Quando una famiglia viene in ospedale, ti chiede che il suo bambino sia guarito. Se non può essere guarito, allora deve essere curato. Ma le frontiere della scienza e della ricerca devono essere percorse, senza mai andare oltre quello che l’etica ci permette di fare.
Il Bambino Gesù è considerato il primo ospedale pediatrico europeo e uno tra i primi nel mondo per questa sua audacia apostolica. Oggi collaboriamo con i grandi ospedali del mondo, grandi società vengono a sostenere le nostre ricerche.
La scienza è una forma di carità, nel tempo della pandemia più che mai ci costringe a riflettere su come condividerla. Un grande chirurgo, Giancarlo Rastelli, ci ha insegnato che «la prima carità al malato è la scienza». La storia del Bambino Gesù e delle sue eccellenze è la storia di un dono condiviso. Mettiamo a disposizione di tutti le nostre conoscenze, anche di chi potremmo definire un concorrente. Il nostro motto è «donare il sapere», non possederlo e nasconderlo. Coniugare scienza e carità è lo spirito con cui viviamo le nostre risorse, per noi quasi missioni internazionali, che sono un dono della ricerca e del rispetto del luogo.
Abbiamo bisogno di una scienza diffusa per tutti. Cerchiamo, come sanità cattolica, di avere e di consolidare qualche polo di ricerca di alto valore scientifico, perché senza la scienza non si può fare medicina. Ma dobbiamo rendere questa scienza patrimonio diffuso, in modo che tutti ne possano beneficiare: non è necessario che tutti facciano le stesse identiche cose, ma è indispensabile che siano condivise. Voi sapete che gli scienziati amano poco diffondere le loro ricerche. Ma perché le IRCCS cattoliche non devono farlo? Perché non devono mettere il loro patrimonio a sistema? L’alternativa è la competizione nella quale si sprecano energie e tempi. Non voglio vedere svanito tutto quello che è stato costruito.
La carità della scienza al servizio dell’uomo è una forma di evangelizzazione, la «carità del sapere» è una delle eredità più grandi di Paolo VI. Lo ha affermato anche papa Francesco, nell’udienza concessa ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, il 12 novembre 2018: «Permettetemi di dirvi a nome [dei popoli]: la vostra ricerca possa giovare a tutti, al fine che i popoli della terra ne siano sfamati, dissetati, sanati e formati».
Insieme alla ricerca ho cercato di investire sulle relazioni e sui legami di fiducia. Un medico, dopo l’intervento di separazione delle gemelline siamesi, mi ha detto che quell’atto operatorio gli aveva insegnato cosa significhi lavorare insieme volendosi bene e stimandosi a vicenda. Spero non venga frainteso per un sentimentalismo a buon mercato. Se, alla fine del mio mandato, rimanesse una comunità coesa, direi di aver fatto la mia parte. Naturalmente esistono situazioni e persone difficili, siamo una comunità di quasi 4000 persone, 500 ricercatori, un fatturato di alcune centinaia di milioni. L’ospedale è un’impresa a cui va data sostenibilità ma, nello stesso tempo, non deve venire meno alla sua missione. Questa è la cosa più complicata da garantire.
La formazione è una forma alta di cura, la trasmettiamo e facciamo in modo che gli ospedali crescano e diventino autonomi fino a dove le loro strutture lo permettono. Accogliamo bambini da tutto il mondo, e i costi sono a carico della fondazione dell’ospedale. La nostra fondazione sta facendo un grande lavoro di fundraising per sostenere sia l’accoglienza sia le cure di questi bambini.
Chi desiderasse aiutare la missione dell’ospedale come può fare una donazione?
L’ospedale riceve donazioni, ha un IBAN (IT 05 B 03069 05020 100000016223) da intestare a Fondazione Bambino Gesù Onlus. Il segretario generale è disponibile a incontrare, a spiegare e a tenere i rapporti tra il donatore e l’ospedale. Lo facciamo nella più assoluta trasparenza: dimostriamo come spendiamo le risorse e rend...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il dono e il discernimento
  4. Introduzione
  5. Tasselli di vita privata: tra volti e ricordi
  6. Gestire la sanità tra la sofferenza e la malattia
  7. Il profilo capovolto della donna manager
  8. Un modello di cura per gli anziani
  9. La sfida della sanità cattolica
  10. L’etica medica: principi e prassi
  11. Chiamata alla presidenza dell’Ospedale Bambino Gesù
  12. Lavoro e filantropia al servizio del bene comune
  13. Eredità e inquietudine di alcune domande
  14. Copyright