- 180 pagine
- Italian
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Milano in 10 passeggiate
Informazioni sul libro
Milano, la città d'Italia forse meno simile a tutte le altre, con un'identità e un paesaggio unici e a volte poco compresi. Eppure, anche le vie, i palazzi e le panchine di Milano raccontano storie importantissime, a volte lunghe secoli, a volte recenti ma fondamentali per la storia del Paese. Non solo il Duomo o il Cimitero Monumentale, ma ogni piazza, chiesa, viuzza nascosta, portico e perfino lapide a Milano ha una vicenda, magari dimenticata, che vale la pena conoscere e raccontare. Fra le strade della grande città crocevia riecheggiano voci e passi di personaggi straordinari, come Sant'Ambrogio, Alessandro Manzoni, Carlo Emilio Gadda e Umberto Eco, che hanno contribuito a far prosperare il capoluogo lombardo con la loro vita e le loro opere. In un libro che racconta le grandi storie della città, ma che allo stesso tempo propone itinerari veri e percorribili a piedi con facilità, Andrea Kerbaker ci guida con il passo sapiente e sicuro di chi la sua città la scopre giorno per giorno da tutta una vita, ma anche la leggerezza di chi ama Milano conoscendone i difetti e i tic, e forse la ama anche per questo. Il risultato sono dieci personali e raffinati itinerari da fare a piedi - o con la mente - attraverso una storia palpitante di più di 2000 anni, fino ai giorni nostri. Una passeggiata unica, divertente e informativa, dentro e fuori la lettura. Per viaggiare dalla poltrona, e per tornare a viaggiare davvero.
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Milano d’autore
Finalmente, fra persistenti urla, angosce, lacrime, bambini, gridi e strazianti richiami e atterraggi di fortuna e fagotti di roba buttati a salvazione giù dalle finestre, quando già si sentivano arrivare i pompieri a tutta carriera e due autocarri si vuotavano già d’un tre dozzine di guardie municipali in tenuta bianca, ed era in arrivo anche l’autolettiga della Croce Verde, allora, infine, dalle due finestre a destra del terzo, e poco dopo del quarto, il fuoco non poté a meno di liberare anche le sue proprie spaventose faville, tanto attese!, e lingue, a tratti subitanei, serpigne e rosse, celerissime nel manifestarsi e svanire, con tortiglioni neri di fumo, questo però pecioso e crasso come d’un arrosto infernale, e libidinoso solo di morularsi a globi e riglobi o intrefolarsi come un pitone nero su di se stesso, uscito dal profondo e dal sottoterra tra sinistri barbagli; e farfalloni ardenti, così parvero, forse carta o più probabilmente stoffa o pegamoide bruciata, che andarono a svolazzare per tutto il cielo insudiciato da quel fumo, nel nuovo terrore delle scarmigliate, alcune a piè nudi nella polvere della strada incompiuta, altre in ciabatte senza badare alla piscia e alle polpette di cavallo, fra gli stridi e i pianti dei loro mille nati. Sentivano già la testa, e i capegli, vanamente ondulati, avvampare in un’orrida, vivente face.
Tutte le donne che ci abitavano seminude nel ferragosto e la lor prole globale, fuor dal tanfo e dallo spavento repentino della casa, poi diversi maschi, alcune signore povere e al dir d’ognuno alquanto malandate in gamba, che apparvero ossute e bianche e spettinate, in sottane bianche di pizzo, anzi che nere e composte come al solito verso la chiesa, poi alcuni signori un po’ rattoppati pure loro, poi Anacarsi Rotunno, il poeta italo-americano, poi la domestica del garibaldino agonizzante del quinto piano, poi l’Achille con la bambina e il pappagallo, poi il Balossi in mutande con in braccio la Carpioni, anzi mi sbaglio, la Maldifassi, che pareva che il diavolo fosse dietro a spennarla, da tanto che la strillava anche lei.
Avevamo studiato per l’aldilàun fischio, un segno di riconoscimento.Mi provo a modularlo nella speranzache tutti siamo già morti senza saperlo.
Seguivo Montale in lunghe passeggiate dopo l’orario del «Corriere». Una sera si andava per via Manzoni, davanti a noi camminava la Mosca; era piccola, poche ossa, e io la vedevo scura. Aveva un passo breve, incerto e si volgeva spesso, quasi ronzasse gentile con poche parole che restavano nell’aria. Improvvisamente si voltò e nella penombra dei suoi occhi cominciò a distinguermi. Perentoria mi invitò a cena; si era quasi all’angolo di via Bigli dove abitava. Montale rimase in silenzio e io tacqui. Poi, dopo due o tre passi, giusto il tempo per una fulminante meditazione, tornò al marito e con la voce forte dei sordi: «Ma chi è quello?».
Ma è vero che Montale lavora in redazione? È vero che viene al giornale tutte le sere? È vero che lo si può trovare verso le sei, le sette nel suo ufficio? Questo mi sento chiedere spesso, dalla gente di fuori, a cui la cosa sembra inverosimile. Sì, è vero. Verso quell’ora il lungo corridoio bianco al primo piano del «Corriere della Sera» è ancora quieto e silenzioso. Non è ancora cominciata, o sta per cominciare, la cateratta quotidiana di “servizi” e di notizie. Ma da una porta a vetri smerigliati aperta per metà, di fronte a quella del capo-redattore, viene un tic tic di macchina per scrivere. Un battito minuto, discreto e regolare, quasi timido e impacciato al confronto del mitragliamento velocissimo degli stenografi, qualche sala più in là. Chi passa può darsi che metta dentro la testa per curiosità. Vede di schiena Eugenio Montale su una sedia, che scrive un articolo, battendo sui tasti con un dito solo. La macchina per scrivere è una di quelle grandi, da ufficio, collocata su un leggero tavolino, nell’angolo a sinistra. Scrive abbastanza lentamente, ma senza fermarsi, cosicché per una colonna di giornale gli basta poco più di un’ora. Nel caso di cronache musicali fa anche più presto.
Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando nel sobborgo orientale della città sotto un boschetto di tigli: egli si sosteneva da una parte sul mio braccio, dall’altra sul suo bastone: e talora guardava gli storpj suoi piedi, e poi senza dire parola volgevasi a me, quasi si dolesse di quella sua infermità, e mi ringraziasse della pazienza con la quale io lo accompagnava. S’assise sopra uno di que’ sedili; ed io con lui: il suo servo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio più dignitoso e più eloquente ch’io m’abbia mai conosciuto; e d’altronde un profondo, generoso, meditato dolore a chi non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo della sua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi e per la nuova licenza. Le lettere prostituite; tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione; non più la sacra ospitalità, non la benevolenza, non più l’amore figliale – e poi mi tesseva gli annali recenti, e i delitti di tanti uomicciattoli ch’io degnerei di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore d’animo, non dirò di Silla e di Catilina, ma di quegli animosi masnadieri che affrontano il misfatto quantunque gli vedano presso il patibolo – ma ladroncelli, tremanti, saccenti – più onesto insomma è tacerne.
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Milano in 10 passeggiate
- Milano, va bene. Ma quale Milano?
- Passeggiata 1. Milano d’autore
- Passeggiata 2. Due parole in croce
- Passeggiata 3. Casetta nera
- Passeggiata 4. La città che sale
- Passeggiata 5. Delitti esemplari
- Passeggiata 6. La vocazione teatrale
- Passeggiata 7. Con i piedi di piombo
- Passeggiata 8. Grand’abbondanza ci dev’essere in Milano
- Passeggiata 9. All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
- Ultima passeggiata. Tutta mia la città
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