Il viaggio dell'umanità
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Il viaggio dell'umanità

Alle origini del benessere e della diseguaglianza

  1. 360 pagine
  2. Italian
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Il viaggio dell'umanità

Alle origini del benessere e della diseguaglianza

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Negli ultimi secoli c'è stata una vertiginosa crescita economica e un miglioramento sostanziale delle nostre condizioni di vita. Questo balzo in avanti però non è avvenuto contemporaneamente e con le stesse modalità in tutto il mondo e ancora oggi, accanto a regioni ricchissime e avanzate, ce ne sono di molto povere e svantaggiate: come giustificare queste diseguaglianze? L'economista Oded Galor spiega il "mistero della crescita", la disomogeneità con cui è avvenuta, e la relativa questione della sostenibilità della nostra specie - unica tra tutte a raggiungere e mantenere una prosperità duratura - sul pianeta Terra. E accompagna il lettore in un viaggio nel tempo: dalle civiltà della Mezzaluna fertile, alla secolare stagnazione economica (la "trappola della povertà"), fino allo shock economico, sociale, culturale provocato dalla rivoluzione industriale; poi, poiché fattori geografici, culturali, sociali e politici (colonialismo, globalizzazione ecc.) non bastano a spiegare le disparità di ieri e di oggi, inverte la rotta e ci porta dove tutto è iniziato: nell'Africa dell'Homo sapiens, migliaia di anni fa. Solo così è possibile comprendere le forze fondamentali sottese alle ruote del cambiamento, che lente, e tuttavia inesorabili, agiscono da millenni, e hanno determinato mutamenti radicali, però tuttora non uniformi, nella società umana.
In questo saggio multidisciplinare, rigoroso, ma dallo stile chiaro e divulgativo, Oded Galor, attraverso la teoria della crescita unificata, ci dimostra come le tappe dell'evoluzione umana possono spiegare la storia del progresso e ci consegna una prospettiva rassicurante per il futuro. Niente è già scritto, diseguaglianze e oppressione possono essere risolte, o almeno mitigate, con l'educazione, la tolleranza e una maggiore parità di genere: la storia dell'Homo sapiens ci indica la strada da seguire.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2022
ISBN
9788831807432
Argomento
Histoire
Parte prima

L’odissea umana

1

Primi passi

Salendo per il sentiero tortuoso che conduce alle grotte del monte Carmelo, nell’odierno Israele, possiamo immaginare la maestosità di questo ambiente in epoca preistorica. Il clima mediterraneo sarà rimasto piacevole durante l’intero anno, con qualche moderata fluttuazione di temperatura tra una stagione e l’altra. Il torrente che serpeggia nella valle verdeggiante adiacente sarà stato una fonte di acqua potabile, mentre le foreste che fiancheggiano la catena montuosa avranno costituito un buon terreno per la caccia a cervi, gazzelle, rinoceronti e cinghiali; più lontano, nelle aree aperte selvagge tra la stretta pianura costiera e i monti della Samaria, saranno cresciute delle specie preistoriche di cereali e alberi da frutto. Nel corso dei millenni, il clima caldo, la diversità ecologica e l’abbondanza di materie prime avranno reso le grotte del monte Carmelo la dimora ideale per numerose bande di cacciatori-raccoglitori. Di fatto, i resti dissotterrati in queste antiche caverne – oggi dichiarate Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO – mostrano una serie di insediamenti preistorici succedutisi nell’arco di centinaia di migliaia di anni, oltre a far emergere l’elettrizzante possibilità di incontri tra l’Homo sapiens e i Neanderthal.1
I ritrovamenti archeologici fatti in questo e in altri siti sparsi per il globo indicano che gli esseri umani arcaici e i primi uomini moderni continuarono lentamente ma con costanza ad acquisire nuove abilità, padroneggiando l’uso del fuoco, sviluppando lame, asce da pugno e utensili di selce e calcare sempre più sofisticati e creando opere d’arte.2 Un fattore chiave di questi progressi culturali e tecnologici, che sarebbe giunto a definire l’umanità stessa distinguendoci dalle altre specie, è stata l’evoluzione del cervello umano.

Genesi

Il cervello umano è straordinario: grande, compresso e più complesso di quelli di ogni altra specie. Nel corso degli ultimi sei milioni di anni, le sue dimensioni sono triplicate; il grosso di questa trasformazione è avvenuto tra 200.000 e 800.000 anni fa, ossia in massima parte prima della comparsa dell’Homo sapiens.
Perché le capacità del cervello umano si sono espanse in modo così marcato nel corso della storia della nostra specie? Di primo acchito, la risposta potrebbe sembrare di per sé evidente: è chiaro che il fatto di avere un cervello avanzato ci ha consentito di raggiungere livelli di sicurezza e prosperità ai quali nessun’altra specie sulla Terra è riuscita ad arrivare. La realtà, però, è assai più complessa: se è vero – come è indubbiamente vero – che un cervello paragonabile a quello umano rappresenta un grande vantaggio per la sopravvivenza, perché, in miliardi di anni di evoluzione, nessun’altra specie ha sviluppato un organo simile?
Consideriamo per un momento qualche caso differente. Gli occhi, per esempio, si sono sviluppati in modo indipendente lungo diversi percorsi evolutivi: li ritroviamo in vertebrati (anfibi, uccelli, pesci, mammiferi e rettili) e cefalopodi (tra cui seppie, piovre e calamari) e, nella forma più semplice di ocelli, in invertebrati come api, ragni, meduse e stelle di mare. A quanto pare, il remoto progenitore di tutte queste specie, vissuto più di cinquecento milioni di anni fa, aveva soltanto dei semplici fotorecettori in grado di distinguere la luce dal buio.3 Tuttavia, dato che una visione accurata costituiva un chiaro vantaggio per la sopravvivenza in diversi ambienti, col tempo in alcuni di questi gruppi distinti hanno finito per evolversi, in modo indipendente, delle strutture oculari più complesse, adattandosi in ogni singolo caso ai particolari habitat delle varie specie.
Questo fenomeno – per cui strutture simili, anziché emergere da un tratto esistente in un antenato comune, si evolvono in modo indipendente in specie diverse – è noto come «evoluzione convergente». Esistono numerosi altri esempi di evoluzione convergente, come la comparsa delle ali in insetti, uccelli e pipistrelli e la forma fisica simile che pesci (squali) e mammiferi marini (delfini) hanno sviluppato per adattarsi alla vita sott’acqua. È quindi evidente che varie specie hanno acquisito tratti benefici simili per vie indipendenti, eppure ciò non si è verificato nel caso di un cervello capace di creare capolavori letterari, filosofici e artistici o di inventare l’aratro, la ruota, la bussola, il torchio tipografico, la macchina a vapore, il telegrafo, l’aeroplano e internet. Un cervello simile si è evoluto soltanto in una singola specie, la nostra. Perché, quindi, un cervello tanto potente, nonostante tutti i suoi evidenti vantaggi, è così raro in natura?
La risposta a questo enigma sta in parte nei due maggiori inconvenienti del cervello. In primo luogo, il nostro cervello brucia enormi quantità di energia: pur rappresentando soltanto il 2 per cento della massa del corpo, consuma il 20 per cento della sua energia. In secondo luogo, la sua grandezza rende difficile il passaggio della testa di un bambino attraverso il canale del parto; di conseguenza, il cervello umano è più compresso – o «ripiegato» – di quelli delle altre specie, e i bambini umani nascono con cervelli «mezzi pronti» che necessitano di anni di regolazione fine prima di raggiungere la maturità. Gli infanti umani sono quindi del tutto inermi: mentre i giovani di molte altre specie sono in grado di camminare da soli poco dopo la loro nascita e imparano rapidamente a procurarsi il cibo in modo autonomo, agli uomini servono un paio d’anni solo per acquisire un’andatura stabile, e molti di più prima che possano raggiungere l’autosufficienza materiale.
Dati questi svantaggi, che cosa ha portato allo sviluppo del cervello umano? Stando ai ricercatori, a questo processo potrebbero aver contribuito diverse forze. L’ipotesi ecologica afferma che il cervello umano si è evoluto in seguito all’esposizione della nostra specie alle sfide ambientali. Con le fluttuazioni climatiche e i conseguenti adattamenti delle popolazioni animali, gli uomini preistorici dotati di cervelli più avanzati saranno stati meglio in grado di individuare nuove fonti di cibo, di mettere a punto strategie di caccia e di raccolta e di sviluppare tecnologie di cottura e di conservazione che consentissero loro di sopravvivere e prosperare nelle mutevoli condizioni ecologiche dei loro habitat.4
L’ipotesi sociale, per contro, sostiene che è stata la crescente necessità di cooperare, competere e interagire con strutture sociali complesse a dare un vantaggio evolutivo a un cervello più sofisticato, con la sua migliore capacità di comprendere le motivazioni degli altri e anticipare le loro reazioni.5 Analogamente, l’essere in grado di persuadere, manipolare, lusingare, raccontare e divertire – tutte cose che rafforzano lo status sociale di una persona, oltre a presentare dei vantaggi già di per se stesse – ha stimolato lo sviluppo del cervello e la capacità di parlare e articolare un discorso.
L’ipotesi culturale, d’altro lato, sottolinea l’abilità del cervello umano di assimilare e immagazzinare informazioni, che possono quindi poi essere trasmesse da una generazione all’altra. In questa prospettiva, uno dei vantaggi peculiari del nostro cervello consiste nella sua efficienza nell’imparare dalle esperienze altrui, cosa che facilita l’acquisizione di abitudini e preferenze utili a sopravvivere in diversi contesti senza dover fare affidamento sul processo, molto più lento, dell’adattamento biologico.6 In altri termini, i bambini umani saranno anche inermi, ma i loro cervelli sono dotati di capacità di apprendimento uniche, tra cui quella di afferrare e far proprie quelle norme comportamentali – la cultura – che hanno consentito ai loro antenati di sopravvivere e che li aiuteranno a prosperare.
Un meccanismo che potrebbe aver ulteriormente contribuito allo sviluppo del cervello è la selezione sessuale. È possibile che gli esseri umani abbiano sviluppato una preferenza per i compagni dotati di cervelli più avanzati anche nell’assenza di palesi vantaggi evolutivi del cervello stesso.7 Forse, cioè, quei cervelli complessi attestavano l’esistenza di qualità invisibili che sarebbero state importanti per la protezione e l’allevamento della prole, e i potenziali compagni erano in grado di inferire tali qualità da caratteri percettibili come la saggezza, l’articolazione di pensiero, la prontezza della mente o il senso dell’umorismo.
L’evoluzione del cervello umano è stata il motore principale dietro al singolare sviluppo dell’umanità, non ultimo perché ha contribuito al progresso tecnologico, con i suoi modi ancora più sofisticati per volgere a nostro vantaggio le risorse e i materiali naturali che ci circondano. Questi passi avanti, a loro volta, hanno modellato i processi evolutivi successivi, permettendo agli uomini di adattarsi con maggior successo ai loro mutevoli ambienti e di sviluppare ulteriormente e utilizzare nuove tecnologie, un meccanismo iterativo sempre più forte che ha condotto alla realizzazione di conquiste tecnologiche ancora più grandi.
In particolare, si pensa che la conquista della padronanza del fuoco, grazie alla quale i primi uomini avevano potuto iniziare a cuocere il loro cibo, abbia poi stimolato un’ulteriore crescita del cervello grazie alla riduzione dell’energia richiesta per la masticazione e la digestione, rendendo così le calorie più accessibili e liberando nel cranio lo spazio in precedenza occupato da muscoli e ossa mandibolari.8 Questo circolo virtuoso potrebbe poi aver favorito lo sviluppo di altre innovazioni nelle tecnologie di cottura, che potrebbero quindi aver condotto a loro volta a un’ulteriore crescita del cervello.
Tuttavia, il nostro cervello non è l’unico organo che ci distingue dagli altri mammiferi: c’è infatti anche la mano. Assieme ai nostri cervelli, anche le nostre mani si sono in parte evolute in risposta alla tecnologia: nella fattispecie, ai benefici offerti dal poter creare e utilizzare strumenti da caccia, aghi e utensili per cucinare.9 In particolare, l’acquisizione delle tecnologie per intagliare le pietre e produrre lance di legno portava a un significativo miglioramento delle prospettive di sopravvivenza per gli uomini in grado di usare tali strumenti. I cacciatori più abili erano più affidabili nel sostenere le loro famiglie, e potevano così crescere un maggior numero di bambini fino all’età adulta; la trasmissione intergenerazionale di quelle competenze avrebbe quindi fatto aumentare la quota di cacciatori esperti all’interno della popolazione, e i benefici portati da ulteriori innovazioni (come lance più resistenti e, in seguito, archi più forti e frecce più acuminate) avrebbero poi ulteriormente rafforzato il vantaggio evolutivo di tali abilità venatorie.
Esempi simili di cicli di feedback positivi sono emersi nell’intero corso della nostra storia: cambiamenti ambientali e innovazioni tecnologiche hanno consentito alla popolazione di crescere e hanno innescato l’adattamento degli uomini al loro mutevole habitat e ai lori nuovi strumenti; quindi, a loro volta, questi adattamenti hanno rafforzato la nostra capacità di manipolare l’ambiente e di creare nuove tecnologie. Come risulterà chiaro, questo ciclo è centrale per la comprensione del viaggio dell’umanità e del mistero della crescita.

L’esodo dalla culla dell’umanità

Divisa in piccole bande di cacciatori-raccoglitori, la specie umana trascorse centinaia di migliaia di anni vagando attraverso le lande dell’Africa e sviluppando al contempo complesse capacità tecnologiche, sociali e cognitive.10 Man mano che gli uomini preistorici continuavano a raffinare le loro abilità nella caccia e nella raccolta, la loro popolazione nelle fertili regioni africane seguitò a crescere, cosa che portò infine alla riduzione dello spazio vitale e delle risorse naturali disponibili per ciascun individuo; di conseguenza, non appena le condizioni climatiche lo permisero, gli uomini iniziarono a disperdersi verso gli altri continenti alla ricerca di nuove terre fertili.
L’Homo erectus, probabilmente la prima specie umana di cacciatori-raccoglitori, si diffuse attraverso l’Eurasia circa due milioni di anni fa. A oggi, i più antichi fossili di Homo erectus scoperti fuori dall’Africa risalgono a 210.000 anni fa (reperti trovati in Grecia) e a 177.000-194.000 anni fa (sul monte Carmelo, nel Nord di Israele).11 A quanto pare, però, i discendenti di questi primi esseri umani che avevano abbandonato l’Africa si estinsero o ritornarono nelle loro terre d’origine durante il periodo glaciale a causa delle condizioni climatiche avverse.12
Fu quindi in Africa, circa 150.000 anni fa, che emerse il più recente antenato (matrilineare) di tutti gli uomini odierni, la Eva mitocondriale. Anche se all’epoca, com’è ovvio, in Africa vivevano numerose donne, le loro stirpi avrebbero poi finito per estinguersi; tutti gli uomini che oggi vivono sul pianeta Terra discendono pertanto da questa singola donna africana.13
L’ipotesi ampiamente accettata della «uscita dall’Africa» afferma che la popolazione di esseri umani anatomicamente moderni oggi presente sul globo discenda in modo predominante da una migrazione più significativa dell’Homo sapiens dall’Africa risalente a 60.000-90.000 anni fa.14 Gli uomini si riversarono in Asia seguendo due rotte: quella settentrionale, attraverso il delta del Nilo e la penisola del Sinai per arrivare nella regione del Mediterraneo orientale nota come il Levante, e quella meridionale, attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb (all’imboccatura del Mar Rosso) per giungere nella penisola arabica (Fig. 3).15 I primi uomini moderni arrivarono nel Sud-est asiatico più di 70.000 anni fa,16 in Australia 47.000-65.000 anni fa17 e in Europa circa 45.000 anni fa.18 Si insediarono nella Beringia intorno a 25.000 anni fa, attraversando il ponte di terra sullo stretto di Bering durante diversi periodi dell’era glaciale pleistocenica, e penetrarono quindi più in profondità nelle Americhe tra 14.000 e 23.000 anni fa.19
Queste ondate migratorie dall’Africa contribuirono alla crescita numerica della popolazione umana e alla sua differenziazione tra le varie regioni del pianeta. Con l’insediamento in nuove nicchie ecologiche, gli uomini avevano accesso a nuove terre dove cacciare e raccogliere e iniziarono quindi a moltiplicarsi più rapidamente; al contempo, il loro adattamento ad ambienti differenti portò a una maggiore diversità umana e tecnologica stimolando la diffusione delle innovazioni e i loro incroci, con la conseguenza di un ulteriore aumento della popolazione.
Alla fine, però, la crescita della popolazione avrebbe portato a quella medesima scarsità di risorse e terre fertili che aveva provocato in partenza le migrazioni dall’Africa; nonostante i loro nuovi strumenti e le tecniche messe a punto, gli standard di vita degli uomini sarebbero gradualmente ritornati a un livello di mera sussistenza. L’incapacità di sostenere l’aumento della popolazione, in congiunzione con i cambiamenti climatici, indusse infine l’umanità a prendere in considerazione un modo di sussistenza alternativo: l’agricoltura.
FIGURA 3. La migrazione dell’Homo sapiens dall’Africa. Le presunte rotte di migrazione dell’Homo sapiens e le loro datazioni approssimative (spesso riviste alla luce di nuove scoperte).

I primi insediamenti

Circa 12.000 anni fa, mentre il clima andava riscaldandosi al termine dell’ultimo periodo glaciale, l’Homo sapiens sperimentò una drammatica trasformazione: in tutto il mondo le persone abbandonarono gradualmente le loro abitudini nomadiche per abbracciare degli stili di vita sedentari e iniziarono a fare grandi passi avanti nei campi dell’arte, della scienza e della tecnologia.
I reperti della cultura natufiana (13.000-9500 a.C.), fiorita nel Levante, indicano che in alcuni posti la transizione alle abitazioni perma...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il viaggio dell’umanità
  4. Misteri del viaggio umano
  5. Parte prima. L’odissea umana
  6. Parte seconda. Le origini di ricchezza e diseguaglianza
  7. Postfazione
  8. Ringraziamenti
  9. Note
  10. Bibliografia
  11. Copyright