Borghese mi ha detto
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Borghese mi ha detto

L'ultima testimonianza del principe nero

  1. 272 pagine
  2. Italian
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Borghese mi ha detto

L'ultima testimonianza del principe nero

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Il 4 dicembre 1970 Giampaolo Pansa, allora giovane giornalista della "Stampa", si presenta a Junio Valerio Borghese e gli chiede un'intervista. Strano a dirsi, ma il vecchio militare lo prende in simpatia e gli dà appuntamento il giorno dopo nel suo ufficio personale a Roma. Da questo incontro di poche ore nasce un documento storico: l'intervista sarà pubblicata sulla "Stampa" il 9 dicembre 1970, pochi giorni dopo il tentato colpo di Stato passato alla storia come "golpe Borghese", e sarà l'ultima concessa dal vecchio comandante. Borghese è un personaggio controverso: medaglia d'oro al valor militare nel 1941 per le sue imprese da sommergibilista, nel 1943 aderisce alla Repubblica Sociale assumendo il comando della X MAS; dopo la guerra aderisce al Movimento Sociale Italiano, da cui prende le distanze per fondare nel 1969 il Fronte Nazionale. Quando concede l'intervista, può essere considerato un'icona della destra extraparlamentare italiana, di cui ben rappresenta l'ideologia e la visione politica. Pubblicato per la prima volta nel 1971, Borghese mi ha detto rappresenta un'analisi lucida e appassionata di una parte della politica e della società italiana dei primi anni Settanta e viene qui riproposto arricchito da un'appendice che raccoglie altri scritti di Pansa su questo tema.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2022
ISBN
9788831807302

Io e il Fronte.

Parla Valerio Borghese
Ho parlato con Valerio Borghese, a Roma, il 4 e il 5 dicembre 1970, appena due giorni prima dell’“adunata” nelle tre palestre per il presunto complotto contro lo Stato.
Non avevo mai incontrato l’ex-comandante della X MAS. L’anno precedente, all’inizio del dicembre 1969, inviato a Roma dal mio giornale, «La Stampa», per un’inchiesta sull’estrema destra extraparlamentare, ero entrato in contatto con lui attraverso un suo collaboratore. Era il dottor Antonio Leva, triestino, presentatosi come responsabile dell’ufficio stampa del Fronte Nazionale. Leva mi aveva dato il numero di telefono di un ufficio di Borghese, quello in via Giovanni Lanza 130, e io lo chiamai. A rispondere fu il principe: disse che stava per partire e che non poteva ricevermi. Gli spiegai perché lo cercavo, e, per pochi minuti, parlammo della situazione politica, del Fronte e delle idee del Fronte.
Ho conservato gli scarni appunti di quel colloquio. Borghese disse: «Il Fronte non è un movimento fascista. Noi siamo dei patrioti, siamo dei combattenti, siamo contro questo governo, contro questo tipo di democrazia parlamentare. Vogliamo un governo di autorità. Non c’è libertà dove le leggi non sono rispettate, e in Italia, da vent’anni, i governi non sanno far rispettare le leggi». Gli chiesi se intendeva ricostituire un partito fascista. «Ricostituire il PNF? – rispose il comandante, alzando di scatto la voce – Non mi viene neanche nell’anticamera del cervello! Sarebbe una follia pura. Niente arditi, niente fez neri o saluti romani o labari: sono molto dannosi.» Quanto al resto, mi rimandò alla lettura degli “Orientamenti programmatici” del Fronte, un opuscolo stampato in rosso che il dottor Leva mi aveva consegnato dicendomi: «Oggi, caro dottore, c’è una ubriacatura di libertà...».
Alcune delle battute di Borghese apparvero il 10 dicembre 1969 sulla «Stampa» in un lungo articolo dedicato alla contestazione di destra. L’inchiesta, quella volta, non andò più in là. Due giorni dopo, infatti, una bomba portò la strage nella Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, e Alberto Ronchey mi assegnò con altri colleghi a quel servizio, estremamente più urgente.
Per incarico del direttore della «Stampa», ripresi l’indagine sull’estrema destra l’anno successivo, il 30 novembre 1970. Proposi di aprire l’inchiesta con due colloqui, uno con l’onorevole Giorgio Almirante e l’altro con Borghese, e Ronchey accettò. Intervistai subito il segretario del MSI la mattina di mercoledì 2 dicembre, a Palazzo del Drago, a Roma. Meno facile fu incontrare il presidente del Fronte. Il 3 dicembre, per telefono, parlai con uno dei più stretti collaboratori di Borghese, il costruttore edile Guadagni, già segretario nazionale del movimento. Dopo qualche trattativa, il mio incontro col principe venne fissato per le 11 del giorno successivo, venerdì 4 dicembre, in via Giovanni Lanza. Ci andai con il fotoreporter Mimmo Frassineti, dell’Agenzia Team.
Un po’ appesantito, le guance cascanti, l’aria più vecchia dei suoi 64 anni, l’anello nobiliare e la fede nuziale all’anulare della mano sinistra, Borghese mi ricevette in una camera dell’impresa Guadagni che aveva sulla porta d’ingresso una curiosa targhetta: La Facciata. Quella non era la sede del Fronte, precisò, ma la sua stanza privata di lavoro. L’ufficio, molto modesto, era pieno di cartoline, di lettere, di giornali, di libri, di fascicoli che coprivano quasi per intero anche la vecchia scrivania di Borghese, tanto che il comandante pareva difeso da una robusta, anche se disordinata, trincea di carta. A sinistra, c’era un armadio pieno di documenti: «È il materiale per la storia della Decima durante la Repubblica Sociale Italiana – disse il principe – ma non ho mai tempo». Sulle pareti spiccavano ricordi della sua vita passata e un segno di quella presente. Proprio dietro di lui, stava il gagliardetto della X MAS, azzurro, con il teschio dalla rosa in bocca. Poi lo scudetto della Flottiglia. Quindi antiche, splendide stampe di Malta e un orrendo quadro ad olio. Borghese me lo mostrò ridendo: «Ecco, così il mio ragioniere immagina un sommergibile...». Infine, sulla parete di sinistra, uno dei manifesti del Fronte Nazionale, affisso, mi spiegò Guadagni, durante i giorni caldi dell’affare Lavorini. Stampato su carta rossa, rappresentava un bambino piangente sotto una mano artigliata. Su ognuna delle dita adunche era scritto: «Corruzione, droga, pornografia, omosessualità, prostituzione». Il bambino piangeva e diceva: «Mamma, papà, cosa aspettate a difendermi?». Titolo: «Italia drogata e democratica».
Borghese notò subito che, assieme al quaderno per gli appunti, avevo portato un registratore. «Un momento – disse – fermo con quel coso lì...» e cominciò a parlare. Mi domandò perché volevo intervistarlo, io glielo spiegai, lui chiese su quali argomenti avevo intenzione di interrogarlo, poi aggiunse, sorridente: «Adesso, la faccio io a lei, l’intervista...». Parlammo abbastanza a lungo di politica, e poi del mio libro sull’esercito di Salò; il principe era assai tranquillo e molto cortese, e si lasciò fotografare senza dar segni di fastidio per le richieste di Frassineti. Poi disse che da moltissimo tempo non concedeva interviste a giornali italiani («e “La Stampa” non mi piace affatto...» precisò), aveva partecipato ad una trasmissione di due ore alla TV francese sui mezzi d’assalto, ma aveva rifiutato ogni invito della nostra TV «perché non obiettiva». Quindi mi chiese: «Lei scriverà su di me un articolo obiettivo?». Risposi di no, che non sarebbe stato possibile, che io non ero un giornalista obiettivo e non credevo al mito dell’obiettività. Borghese parve soddisfatto della risposta: «Lei ha il coraggio della verità. Va bene, dunque, le dò l’intervista. Ma venga domani pomeriggio, perché adesso non ho tempo».
L’indomani era sabato 5 dicembre. Cominciammo a parlare poco dopo le 16 e finimmo verso le 19. A tutto il colloquio assistette Guadagni e, in parte, anche Frassineti che fece altre foto. Debbo dire che Borghese non solo fu cordiale e gentile, ma si rivelò pazientissimo: sopportò decine di domande, e rispose parlando a torrente, senza risparmiare parole o fiato. La sua voce era robusta, a tratti imperiosa, e lui spesso serrava il pugno, in un gesto duro che doveva essergli abituale. Mi lasciò registrare tutto. Poi, ormai da un pezzo era buio, mi congedò stringendomi forte la mano e invitandomi, non so se ironicamente, a iscrivermi al Fronte: «Venga, venga con noi. Si sentirà un uomo libero».
Scrissi l’articolo la sera di lunedì 7 dicembre, a Roma, proprio mentre, secondo l’accusa, gli uomini raccolti dal Fronte si preparavano ad assaltare il palazzo della RAI e qualche ministero. E il pezzo, con il titolo Deliri del principe nero, apparve sulla terza pagina della «Stampa» il 9 dicembre, ventiquattro ore dopo il fallimento del presunto golpe. Lo accompagnava una foto che, per la verità, non rendeva giustizia al principe. Lietta Tornabuoni, quando la vide, rise: «Sembra Gambadilegno...» disse.
Finita la mia inchiesta, conservai i “caricatori” con la voce di Borghese. Lo faccio sempre con i personaggi che, per qualche motivo, mi colpiscono. Allora non immaginavo che quei nastri potessero essere riascoltati tre mesi dopo con interesse. Quella che segue è la loro trascrizione completa, con qualche isolata e lievissima correzione formale. La pubblico qui di seguito senza commenti, e senza neppure dire quale giudizio dia delle risposte di Borghese, soprattutto di certe risposte. Ma forse non sbaglio se penso che – al di là dell’interesse immediato, di cronaca (Borghese meditava il golpe? Oppure è tutto un equivoco?) – la testimonianza del principe sarà utile per chi, un giorno, vorrà ricostruire l’itinerario politico, le idee e i progetti di una certa destra italiana.

Professione: agricoltorea

Quanti anni ha, oggi, comandante Borghese?
B. Oggi ho 64 anni.
Lei è un ufficiale della Marina in pensione? Qual è la sua professione?
B. La mia professione è quella di agricoltore. La mia posizione militare non credo sia perfettamente definita. Dopo aver raggiunto in Marina il grado di capitano di fregata, e dopo essere stato passato capitano di fregata nella Repubblica Sociale Italiana, sono stato radiato dai ruoli della Marina del Sud, come era logico del resto, dopodiché non ne ho mai più saputo niente. Quindi, teoricamente, dovrei essere stato retrocesso a marinaio e da marinaio, all’età di 36 anni, passato all’Esercito, perché la leva di mare ad una certa età passa all’Esercito, col grado di soldato. Anzi, per essere esatto, sono stato cancellato dai ruoli degli ufficiali con un provvedimento del Luogotenente nel 1944, di Umberto, dal governo di Brindisi.
Da allora non si è mai più bene saputo che cosa sono. Quando la Marina si rivolge a me ufficialmente mi chiama “comandante”, ma credo che sia abusivo questo titolo dal punto di vista strettamente legale.
Junio Valerio Borghese nel suo studio di Roma.
Junio Valerio Borghese nel suo studio di Roma.
La Marina si rivolge a lei?
B. La Marina si rivolge a me per una cosa o l’altra, o per una comunicazione. Qualche anno fa, per esempio, mi mandò una lettera chiedendomi di compilare delle note caratteristiche di alcuni ufficiali miei dipendenti nel periodo della Repubblica Sociale, per completare la loro pratica, e intestò la lettera al “comandante Valerio Borghese”. Io risposi che avendo raggiunto il grado di marinaio, non potevo, in nessun modo, compilare note caratteristiche a miei superiori. Ma queste sono facezie.
Lei ha una pensione?
B. Sì, ho una pensione per il grado di capitano di fregata, ridotta di qualche cosa perché sono stato cattivo. C’è una legge speciale per cui coloro che sono stati molto cattivi non possono avere la pensione intera, ma una parte. Io figuro nei molto cattivi, e quindi ho una parte della pensione... Viceversa, non è stato ricostituito il mio stato giuridico. La pensione è di 148.000 lire al mese.
Lei è anche medaglia d’oro?
B. Sì.
Ed ha un assegno per questa medaglia d’oro?
B. Ho un assegno di 83.000 lire al mese.
Qualcuno ha scritto che lei è molto ricco.
B. Le posso subito dire che sono senz’altro da definirsi un uomo povero.
Povero in che senso?
B. Povero perché non ho beni.
Ma lei non ha delle terre?
B. Ho dell...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Quarant’anni dopo
  4. BORGHESE MI HA DETTO
  5. Avvertenza
  6. Il principe nero
  7. Io e il Fronte. Parla Valerio Borghese
  8. Documenti
  9. I movimenti della destra extraparlamentare
  10. Appendice
  11. Copyright