Giovannino nostro babbo
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Giovannino nostro babbo

  1. 448 pagine
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Giovannino nostro babbo

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Scriveva in una lettera Giovannino Guareschi: «Posseggo un grosso capitale che nessuna inflazione, nessuna rivoluzione potrà mai portarmi via: il ricordo vivo di una giovinezza intensamente vissuta e mai tradita. E il ricordo di quei cinque, o dieci o quindici giorni che rappresentano nella vita di ogni uomo, anche dell'uomo che campa cent'anni, qualcosa di diverso, d'importante, d'indimenticabile. La vita è breve proprio per questo: anche se si campa un secolo, si "vivono" pochissimi giorni». I due figli di Guareschi, Alberto e Carlotta - noti in tutto il mondo come "Albertino" e "la Pasionaria" -, che da anni si occupano con intelligenza e grande sensibilità delle opere del padre, sono andati alla ricerca della sua giovinezza e dei pochi, fondamentali giorni della breve ma intensa vita di Giovannino. I loro ricordi, e il loro nutritissimo archivio, creano così una miniera di storie, di personaggi ed episodi inediti per i tanti affezionati lettori del grande autore della Bassa: insieme con loro scopriamo che il "vero" Peppone era il socialista Giovanni Faraboli, che il primo don Camillo era don Lamberto Torricelli, arciprete di Marore, che il paese dove si svolgono le storie del prete e del sindaco più famosi del mondo è Roccabianca, che il «Mondo piccolo» è la Bassa parmense. Scopriamo le vicende dei Lager nazisti nei quali Guareschi fu internato, la «Resistenza bianca» di cui fu tenace protagonista («Non muoio neanche se mi ammazzano!»), la storia del processo De Gasperi in forma di fotoromanzo. Scopriamo infine il rischio corso da generazioni di spettatori: che don Camillo non fosse interpretato da Fernandel ma da Gino Cervi, con Giovannino nei panni di Peppone... Una serie inesauribile di storie splendidamente illustrate da centinaia di immagini, fotografie, disegni: un eccezionale "album di famiglia" che tuttavia, come scrive Giovanni Lugaresi, uno tra i maggiori conoscitori italiani di Guareschi, «non rappresenta un fatto strettamente privato, perché in quelle immagini che mostrano ambienti, humus, fantasia, intelligenza, sentimenti, princìpi, valori di Giovannino, c'è una fetta di storia del nostro tempo, al di là di un "mondo piccolo" che finisce per dilatarsi ai quattro angoli della Terra, rappresentando un "paese dell'anima" nel quale ciascuno di noi può identificarsi, o comunque trovarsi... È un percorrere - continua Lugaresi -, scorrendo queste pagine, la sua vita, la sua storia personale, che sono anche vita e storia d'Italia...». Mezzo secolo della nostra storia, della nostra vita, attraverso le vicende di un uomo straordinario: Giovannino nostro babbo è uno struggente "come eravamo", un autentico regalo di Natale per gli innumerevoli appassionati lettori del grande "poeta" della Bassa. I quali, nell'eventuale occasione di una gita alle Roncole, nei pressi di Busseto, potranno ammirare una mostra antologica sul medesimo argomento, di cui il presente volume costituisce un ideale, splendido catalogo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2021
ISBN
9788831803083

Il caso Einaudi, il “Ta-pum del Cecchino”

GIOVANNINO OSSERVA CON ATTENZIONE LA VIGNETTA INCRIMINATA SULLA QUARTA PAGINA DEL «CANDIDO» Foto Farabola, Archivio Fotografico Guareschi – Roncole Verdi (PR)
GIOVANNINO OSSERVA CON ATTENZIONE LA VIGNETTA INCRIMINATA SULLA QUARTA PAGINA DEL «CANDIDO»
Foto Farabola, Archivio Fotografico Guareschi – Roncole Verdi (PR)
Il 18 giugno 1950 nostro padre pubblica su «Candido» una innocente vignetta di Carletto Manzoni dove figurano due file di bottiglie bene allineate recanti, in collage, l’etichetta «Nebiolo – Poderi del Senatore Luigi Einaudi». Le etichette “fanno da corazzieri” al Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, disegnato sul fondo. La vignetta non è altro che una bonaria presa in giro del Presidente della Repubblica, non perché questi sia un produttore di vino (connotazione peraltro simpatica, dato che il vino che produceva pare fosse buono).
AL QUIRINALE
PODERI DEL SENATORE LVIGI EINAVDI IN DOGLIANI (PIEMONTE)
La ragione della presa in giro nasce dal desiderio di fare sommessamente notare l’inopportunità che sull’etichetta del suo vino figurasse la sua carica pubblica di «senatore»: alla fin fine, era una sorta di ufficializzazione di un marchio commerciale. Un’interrogazione alla Camera dei deputati degli onorevoli Treves (PSI) e Bettiol (DC) convince il sottosegretario alla Giustizia, onorevole Tosato, a concedere l’autorizzazione a procedere. Nostro padre, direttore responsabile, e Carletto Manzoni, autore del disegno, vengono assolti in prima istanza ma, su ricorso del Procuratore generale della Repubblica, vengono condannati in appello a otto mesi con la condizionale per vilipendio a mezzo stampa del Presidente della Repubblica.
Questa condanna, purtroppo, sarà la causa della sua detenzione per la successiva condanna per diffamazione a mezzo stampa dell’ex presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. E qui comincia la dolorosa vicenda che ha modificato, stravolgendola, la vita a nostro padre e che gli è costata la carriera e una grossa fetta della sua vita.

il fatto…

Nostro padre entra nel 1954 in polemica con De Gasperi e la DC in difesa di Pella che, al profilarsi del pericolo iugoslavo alla frontiera di Trieste, non aveva esitato a inviare due divisioni dell’esercito per difendere il confine. Poi una domenica pomeriggio riceve la visita di una persona che gli consegna dei documenti: le fotocopie di due lettere firmate “Degasperi” che pubblica il 24 e 31 gennaio 1954 con un duro commento. Nei primi giorni di febbraio De Gasperi lo querela.
Viene istruito il processo e viene condannato a dodici mesi per diffamazione. Non ricorre in appello e il 26 maggio entra nel carcere di San Francesco a Parma dal quale uscirà il 4 luglio 1955 (409 giorni) in libertà vigilata. Il 26 gennaio 1956 termina la libertà vigilata.
Il nostro commento: nostro padre, querelato da De Gasperi con ampia facoltà di prova, consegnò al Tribunale le lettere accompagnate da una perizia calligrafica che ne attestava l’autenticità e che non venne tenuta in considerazione.
Nel procedimento l’ampia facoltà di prova, in pratica, gli fu negata perché non gli furono concessi né le nuove perizie richieste né l’ascolto di testimoni a suo favore. Sulla base delle testimonianze a favore di De Gasperi, del suo alibi morale e del suo giuramento che le lettere erano false, il Tribunale decise di aver raggiunto la “prova storica” del falso, condannandolo a un anno di carcere per diffamazione. La sentenza metteva in evidenza il fatto che, anche nel caso di una perizia grafica favorevole all’imputato, «una semplice affermazione del perito non avrebbe potuto far diventare credibile e certo ciò che obiettivamente è risultato impossibile e inverosimile». Offeso per questa palese ingiustizia che gli aveva impedito di difendersi, decise di non ricorrere in appello.
Il giorno prima della scadenza del termine per il ricorso nostro padre era a Milano dove aveva terminato il lavoro settimanale del giornale e stava per portarlo alla Rizzoli. Nostra madre che, come al solito, lo aveva seguito a Milano, saliva nel suo studio dicendogli che al piano terreno c’era Scelba (presidente del Consiglio e ministro degli Interni ad interim), che voleva parlargli.«Digli che non posso scendere perché devo finire il giornale» le disse. Scelba, dopo un’attesa di un paio d’ore, se ne andava infuriato. Ritornato alle Roncole incontra Poldén Sgavetta, il falegname di famiglia con il quale aveva un appuntamento, e gli spiega la ragione del ritardo concludendo: «Io ho continuato a camminare avanti e indietro nello studio per due ore e ho fumato due pacchetti di sigarette, ma quel… se ne è andato con le pive nel sacco. Perché» conclude «avrebbe voluto convincermi a ricorrere in appello… sicuramente era pronta un’assoluzione per insufficienza di prove». Assoluzione che, per chi come lui era convinto, come lo siamo noi, dell’autenticità delle lettere, sarebbe stata infamante in quanto avrebbe lasciato su di lui l’ombra del dubbio. Avendo perso la condizionale nella precedente condanna a otto mesi per vilipendio di Einaudi – nonostante fosse stata nel frattempo decretata un’amnistia che riguardava reati ben più gravi – si costituì il giorno prima di essere arrestato nel carcere di Parma. Non chiese grazie o agevolazioni, non usufruì di condoni e, durante la sua incarcerazione, gli venne assommata la pena della precedente condanna.
Scontò in carcere quattrocentonove giorni uscendone in forza di legge e grazie alla qualifica di «buono» ottenuta in carcere. Scontò i rimanenti sei mesi in libertà vigilata.
Nel 1956, nel corso del processo contro Enrico De Toma, il fornitore delle due famose lettere, il Tribunale di Milano affidò a un collegio di tre periti l’esame delle due lettere negato due anni prima a nostro padre. La conclusione dei periti fu che «non esistevano prove tali da stabilire inequivocabilmente la falsità delle lettere». Il Tribunale incaricò un successivo perito fotografico che dichiarò le lettere «sicuramente false». La difesa di De Toma impugnò la perizia e ne chiese una di parte. Sconcertante il responso dei periti della difesa che dichiararono di rilevare «palesi diversità fra dette lettere e quelle pubblicate su “Candido”».
Il Tribunale non tenne conto di ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. GIOVANNINO NOSTRO BABBO
  4. Roncole e l’«Incompiuta»
  5. Roncole e dintorni
  6. Le macchine di Giovannino
  7. Roncole, il ristorante di Giovannino
  8. Fontanelle: Faraboli...
  9. La Signora Maestra
  10. ... Primo Augusto
  11. 1910: La vita a Fontanelle
  12. Fontanelle, 1911: Giovannino cresce
  13. 1914: L’ultimo anno di Giovannino a Fontanelle
  14. La genesi del «Mondo piccolo»
  15. Alla scoperta del «Mondo piccolo»
  16. Parma: il trasferimento della Signora Maestra
  17. Parma: il lavoro, Ennia
  18. Alla scoperta di Milano
  19. Il «Bertoldo»
  20. Il “richiamo”, il Lager, l’impegno
  21. Ancora a Milano: il «Candido»
  22. Don Camillo in libreria
  23. Giovannino e il cinema
  24. Il mondo piccolo di Giovannino
  25. Il caso Einaudi, il “Ta-pum del Cecchino”
  26. Il congedo dell’Ometto
  27. Il merlo in cima al pioppo
  28. Copyright