Il tessitore (Nero Rizzoli)
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Il tessitore (Nero Rizzoli)

  1. 348 pagine
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Il tessitore (Nero Rizzoli)

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Informazioni sul libro

NERO RIZZOLI È LA BUSSOLA DEL NOIR FIRMATA RIZZOLI.
Il commissario Bartolomeo Rebaudengo e il medico legale Ardelia Spinola sono un pilastro l'uno per l'altra: tra alti e bassi, una storia d'amore e un'amicizia scoppiettante, hanno sempre condiviso ogni difficoltà che la vita li ha costretti ad affrontare.A innescare il vizioso circolo degli eventi, questa volta, è il rinvenimento del corpo di una ragazza nel vano di un pick-up di un malcapitato idraulico a un posto di blocco nell'entroterra ligure. Dai primi esami esegui-ti la causa del decesso sembra essere compatibile con una caduta, ma la dottoressa Spinola nota un tentativo di strangolamento. Gli indizi sono comunque scarsi. È a questo punto che arriva, del tutto inaspettata, la telefonata di Augusto, un occasionale compagno di aperitivi di Ardelia che, chiuso in un'auto al buio e strafatto, le chiede di raggiungerlo con una certa urgenza perché ha commesso una pazzia grossa quanto una casa Per non parlare poi della presenza di una cellula eversiva di stampo fascista che, tra nebbie autunnali e giornate di sole ancora tiepide, turba la tranquillità del Basso Piemonte. Sembrano fatti privi di collegamento ma un disegno torbido e inquietante li lega. Bartolomeo, con la sua mente pacata e lucida, e Ardelia, con il suo fuoco intuitivo e la sua follia, dovranno rimetterli insieme tassello dopo tassello, immergendosi ancora una volta nelle pieghe di un enigma intricatissimo, che darà loro parecchio filo da torcere.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2022
ISBN
9788831807678

Quindici

Quando si riprende scopre di essere in un locale completamente buio. Non è legato, come verifica all’istante. Di per sé significa poco. È fornito di sufficiente fantasia per immaginare che l’assenza di manette, corde o catene rappresenti un conforto temporaneo e illusorio. Quindi resta fermo nella stessa posizione in cui si è risvegliato, soprattutto per non mostrare ai carcerieri, nel caso lo stiano osservando, di essere tornato cosciente.
Del momento del sequestro ricorda pochissimo. Era a Trieste, ospite a casa di suo cugino Elvir. Era quasi il tramonto di un pomeriggio smagliante, come solo possono esserlo quelli della città giuliana. Ignora da quanto duri la sua prigionia, ma da non più di qualche ora, giudicando la moderata necessità di urinare. Tra due giorni avrebbe dovuto varcare il confine e raggiungere la famiglia per salutare la vecchia madre ormai prossima alla fine. L’ultima tappa italiana era necessaria, una breve sosta per rivedere, oltre al cugino, alcuni amici fidati, che sarebbero rimasti delusi se non si fosse presentato. Deve ammettere che chi lo ha sequestrato e caricato su un mezzo, forse un furgone, è un professionista. Di quel momento ricorda soltanto il buio improvviso, un senso di soffocamento, la perdita di punti d’appoggio e poi l’incoscienza. Un’operazione velocissima in quella zona della città così multietnica da aver perduto qualsiasi fisionomia o radice. Comunque un posto dove chiunque avesse assistito al prelievo di sicuro si sarebbe ben guardato dal correre alla polizia, avendo imparato che la condotta più conveniente è quella di essere distratti, e se possibile invisibili.
La sua mente lavora in modo febbrile per dare un volto o un’appartenenza alle persone che lo hanno rapito, e soprattutto lo scopo. Lo hanno fatto per estorcergli informazioni? Di che genere? Se hanno agito in quel territorio, la scelta potrebbe indicare una capacità organizzativa maggiore rispetto a quella detenuta in altre regioni. Dovevano comunque conoscere le sue intenzioni, aver ascoltato le telefonate, individuato i contatti. Chi può avere così tanto potere? La risposta più ovvia è che si tratti di un’organizzazione governativa, favorita nella gestione delle intercettazioni e della sorveglianza. E questa possibilità risveglia in lui un forte malessere, quasi una nausea. Una struttura simile, però, avrebbe potuto colpire in qualunque altra località del suolo italiano, senza per forza attivarsi a un passo dal confine. Forse non si tratta di Servizi nazionali, ma di qualche organizzazione privata con agganci poderosi nella rete delle telecomunicazioni. Preferibile? Difficile dirlo adesso. Così tanto disturbo per un cittadino poco appariscente e “quasi” ignoto? La sua figura è insignificante rispetto a criminali di chiara fama, a terroristi, a trafficanti ricercati dalle polizie di mezzo mondo. Potrebbe essere stato un errore? In cuor suo teme che non sia così.
* * *
«Ciao, Ardelia, allora, hai deciso quando venire a trovarmi insieme alla pianista?»
«Non lo so, devo ancora chiederglielo…»
«Non gliene hai parlato?» domanda l’architetto con voce scontenta. La noia dev’essere la sua più odiata compagnia, insieme alla separazione dal lavoro e dal suo ambiente. Quel luogo che prima del “disastro” era una parentesi quasi piacevole, ora è diventato l’incubo quotidiano e la caccia a qualche emozione assorbe molte delle sue energie. Riprende senza aspettare una risposta: «Il vecchio è isterico, prima con la faccenda della rete elettrica, adesso con la storia di Bogdan che non rientra, è sclerato più del solito».
«Come sarebbe a dire che non rientra? Non era in ferie? Racconta meglio» lo incalza la Spinola. «Anzi, comincia dalla rete elettrica: di quali problemi parli?»
«Ma sì, questo però è successo già da un po’. Dopo un temporale, siamo stati parecchi giorni con la rete sia elettrica che telefonica che funzionavano a singhiozzo. Quando meno te lo aspettavi saltava il quadro generale e anche se lo facevi ripartire manualmente, dopo un po’ saltava di nuovo e il fisso era muto. Qua non c’è soltanto il vecchio citrullo con il badante di turno, ma forse non te ne sei accorta perché sei sempre venuta di sera o di domenica, ma ci sono anche personale di servizio, lavatrici che lavano, aspirapolvere, la domestica che striglia e pulisce, televisori accesi e tutto il resto. Quindi immagina che disastro con la luce che va e viene. È stato il segretario a chiamare l’assistenza, io ovviamente non sono più autorizzato, data la mia condizione di detenuto domestico. Finalmente ci hanno mandato una squadra. Sono stati lì due giorni a trafficare e poi hanno trovato il guasto: pare che fosse un pasticcio che coinvolgeva sia luce che telefoni. S’era fuso non so bene cosa, probabilmente per colpa di un fulmine. Zio Serse ha dato di matto con tutti quegli estranei per casa, era più odioso del solito, ma il carattere pacato del nuovo badante, come ti avevo già detto arrivato per sostituire temporaneamente Bogdan, lo ha placato. Adesso però siamo punto e a capo con il suo solito aiutante che non ritorna.»
«Ecco, appunto, adesso raccontami la faccenda di Bogdan.»
«Sì, era in ferie. Solo che allo scadere del permesso non è tornato.»
«Come sarebbe a dire non è tornato? Gli sarà successo qualcosa. Ha chiamato?»
«No!»
«Tu lo hai cercato?»
«Certo, poi ho girato la cosa ai carabinieri, che non hanno fatto nessun progresso. Telefono irraggiungibile. Forse loro con i potenti mezzi dell’Arma lo hanno localizzato, ma a me non hanno riferito nulla.»
«Che strano…» commenta Ardelia.
«Magari semplicemente si è rotto i coglioni e si è dato irreperibile, ha buttato il telefono in mare e non tornerà mai più. Chissà, forse meditava la fuga da un po’.»
«Ha portato via qualcosa?»
«No, ha lasciato i suoi effetti qui, come uno che conta di tornare. Adesso resta da vedere chi lo sostituirà, perché Sing ha un incarico temporaneo.»
«Quello nuovo si chiama Sing?»
«Non me lo ricordo, sono io che lo chiamo così per fare prima. O anche Bangla. Non so bene da dove arrivi. Senti, ne abbiamo parlato abbastanza, questa storia mi innervosisce, cambiamo discorso: allora, quando venite su? Magari un po’ di musica potrebbe allietare il vecchio e distendere un pochino l’atmosfera, che ne dite?»
«Provo a chiedere a Norma, domenica potrebbe andar bene?»
«Andrebbe benissimo, cioè… qui i giorni sono tutti uguali. Magari va meglio per voi che lavorate. A me basta saperlo così organizzo per bene. Cucinare è un’attività che mi distende, solo che a farlo soltanto per me mi vien tristezza.»
«Una domanda indiscreta: al telefono e anche di persona, mi sei parso così assennato e tranquillo, sebbene depresso. Hai smesso con la cocaina, spero.»
«Sì, sì, ho smesso. La mia fortuna era che ne facevo un uso saltuario e solo nelle feste, per cui la rinuncia è stata più psichica che fisica, comunque durissima. Forse se fossi rimasto in città avrei continuato, ma qui ai domiciliari l’approvvigionamento non è una faccenda gestibile con facilità. E poi mancano le occasioni per andare su di giri, non ne vale la pena. Allora verrete?»
«Dammi il tempo di chiedere a Norma. D’accordo che conduce una vita ritirata, però potrebbe aver già preso qualche impegno.»
«Fammelo sapere presto.»
Bartolomeo era seduto al Caffè Bono in via Marenco, Ceva. La giornata era deliziosamente tiepida per essere autunno avanzato, con un sole benevolo e bianche matasse di ovatta che navigano nel cielo limpido in direzione del mare. Di quella mattina ricorderà per sempre l’assurdità del caso. Esistono eventi nella vita che per quanto li si possa rivedere, scansionare, analizzare con perizia e lucidità, insinuano il dubbio che esistano regole indipendenti dalla volontà umana, ubbidienti a un disegno esterno, sempre oscuro.
Bartolomeo, nonostante l’informatica imperante, ha ancora l’abitudine di comprare “La Stampa” all’edicola, perlomeno nelle mattine che lo vedono emergere dal guscio e avventurarsi nel mondo. Se non si tratta di faccende frenetiche, si concede il lusso di un caffè al tavolino e di dare una sfogliata al quotidiano. Non ama sfruttare quello del bar, è troppo schizzinoso, preferisce le pagine croccanti appena comprate che conservano d’odore e la consistenza della verginità. Se quella mattina, penserà più avanti, non fossi dovuto andare dal geometra Pautasso per la faccenda di un terreno da vendere, se avessi avuto freddo e mi fossi seduto dentro, non avrei mai visto. Se avessi tenuto gli occhi bassi, intenti a leggere un articolo interessante, non avrei mai visto. Se fossi stato seduto dal lato opposto, idem.
Invece era andata così: aveva sollevato lo sguardo, approfittando del gesto di voltare pagina per dare un’occhiata intorno ed ecco passare due uomini intenti a chiacchierare tra loro. Li aveva visti arrivare e osservato l’abbigliamento, uno parlava e l’altro ascoltava. D’istinto aveva alzato il giornale come una barriera. Gli erano transitati davanti senza guardarlo pur avendo rallentato per cedere il passo a una signora con le sporte della spesa, e proprio in quel momento “aveva visto”: un profilo dal gran naso adunco e la metà superiore del padiglione destro del tutto amputata. In un flash aveva paragonato quel segnale corporeo seminascosto dai capelli piuttosto lunghi a una lepre intravista nel sottobosco, attraverso un varco nel fogliame. Si era nascosto ancora meglio dietro le pagine, ma il tizio, sempre preso dal discorso che stava rivolgendo al suo compare, era sfilato oltre, del tutto disinteressato al signore seduto al bar. Bartolomeo, continuando a guardarlo, aveva richiamato l’attenzione della ragazza che stava portando via le tazzine da un altro tavolo, lasciato cinque euro vicino al portacenere e si era alzato. Pedinare due persone a Ceva, durante una qualsiasi mattinata feriale, camminando in mezzo a gente conosciuta da sempre, stando attenti a non lasciarsi invischiare in una trappola di convenevoli piemontesi, è un’impresa piuttosto ardua. I due si erano allontanati dal centro storico, camminando spediti, avevano superato la biblioteca, il teatro malinconicamente chiuso e proceduto verso il fiume. Restando abbastanza lontano da non essere notato e poter prevenire qualsiasi manovra di controsorveglianza, tipo fermata o inversione del senso di marcia, Rebaudengo aveva continuato il suo pedinamento, osservandoli. Si era occupato poco dell’accompagnatore, perché in quegli attimi la sua attenzione si era concentrata sull’orecchio mutilato. L’amico era più basso e anche più tozzo del compare. Entrambi indossavano un giubbotto, il piccoletto di pelle, l’altro di un materiale tecnico, impermeabile o forse antivento e jeans, ma Orecchio Mozzo aveva un incedere più fiero, il busto eretto e il torace muscoloso, come di persona avvezza al comando e quindi a trasmettere intorno a sé una volontà di controllo. Stavano procedendo lungo via Moretti e all’improvviso avevano varcato un portone. Bartolomeo lo aveva oltrepassato, memorizzando il numero civico. Non si vedeva citofono, ma non sarebbe stato difficile identificare gli inquilini. La tentazione di mettersi a bighellonare aspettando che almeno uno dei due, magari il suo “preferito”, rimettesse il naso fuori, era stata forte, ma forse poco saggia e certamente noiosa. Una telefonata all’“amico invisibile” che lo aveva sconsigliato di interessarsi alla faccenda era da escludere. Chiamare Alberti? Oppure ricorrere al sempre fedele, sebbene in pensione, maggiore Michele Bonaldo che con la discrezione sua tipica e il favore del ritiro dal campo di battaglia, avrebbe potuto eseguire qualche ricerca?
Dopo una mezz’ora di indugi, tenendo d’occhio il portone, Bartolomeo è stato premiato da una fortuna a metà. È uscito l’altro, quello con tutte le orecchie, ma l’escursione è stata breve: dopo essere entrato in un negozietto di generi alimentari ne è uscito quasi subito con una sporta piena ed è rientrato nell’edificio. Ma quella toccata e fuga è durata quanta basta da permettere al commissario di scattare qualche foto e inviarla all’amico pensionato. Forse Orecchia Mozza è rimasto all’interno per un motivo preciso, oppure semplicemente ad accendere il fornello per far bollire l’acqua, in previsione di un pranzo tra vecchi amici. All’improvviso Rebaudengo si ricorda di telefonare a Pautasso per disdire l’appuntamento con mille scuse, poi riprende la sua ansiosa vigilanza.
Deve decidere in fretta, ha bisogno di supporto. La sorveglianza al tipo va mantenuta, perlomeno fino al momento in cui aprirà la portiera di un’auto che potrebbe anche essere prestata, ma rappresenterà comunque un collegamento con la sua identità.
L’amico Michele Bonaldo, che continua a rappresentare, pur essendo in pensione, il suo passe-partout con l’Arma dei carabinieri, gli manda due militari in borghese. Dopo tre ore il soggetto esce, solo, e sale su una vettura posteggiata a poca distanza. Le ricerche approdano al proprietario, tal Livio Durante. Un vicolo cieco. L’ottimismo, già debilitato, subisce la botta finale quando un semplice controllo indica essere un giovane uomo morto la primavera di due anni prima. Orecchia Mozza andrà fermato in un banale controllo di pattuglia stradale. L’ipotesi che possa scappare è piuttosto improbabile, posto che non abbia qualcosa da nascondere, tipo un’arma a bordo. Ma gli agenti che lo fermeranno saranno poco solerti e si limiteranno al consueto “patente e libretto”, con tutt’al più una paterna tirata d’orecchio sano per il fatto di andare in giro con la vettura di un defunto senza aver ancora fatto il passaggio di proprietà.
Accade tutto esattamente come previsto: Enea Scanzi esibisce patente e libretto, e promette che al più presto regolarizzerà la situazione dell’auto. Stranamente i militari sono indulgenti.
Le informazioni sull’amico, residente nell’appartamento dove i due avevano sostato, presumibilmente per il tempo del pranzo, si rivelano poco interessanti. È incensurato, sebbene noto per simpatie verso l’estrema destra, ma senza precedenti.
Mentre Bartolomeo medita dieci minuti davanti al telegiornale prima di cena, Nora arriva in salotto asciugandosi nel g...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il Tessitore
  4. Prologo
  5. Scampolo privato della dottoressa Spinola
  6. Uno
  7. Due
  8. Tre
  9. Quattro
  10. Cinque
  11. Sei
  12. Sette
  13. Otto
  14. Nove
  15. Dieci
  16. Undici
  17. Dodici
  18. Tredici
  19. Quattordici
  20. Quindici
  21. Sedici
  22. Diciassette
  23. Diciotto
  24. Diciannove
  25. Venti
  26. Ventuno
  27. Ventidue
  28. Ventitré
  29. Ventiquattro
  30. Epilogo
  31. Ringraziamenti
  32. Copyright